Il mio “sì”, libero, di figlia
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Ho visto, bambina e poi adulta, tanti presepi. Statuine di gesso, di legno, di cartapesta. Grandi e piccine.
Ho visto, bambina e poi adulta, tanti affreschi, e dipinti della Natività.
Bambina, “entravo” in quei presepi, in quei dipinti, e non mi vergogno a dire che, adulta, lo faccio ancora.
Cerco, con lo sguardo, la statuina che meglio mi rappresenta, chiudo per un attimo gli occhi e divento lei. Cerco, nei dipinti, un personaggio, anche un po’ nascosto. Quello sono io, mi dico.
Il mio cuore cristiano, il mio cuore bambino sa che le statue, sa che le immagini che, da lì, vedo dentro la grotta, rimandano ad una donna, a un uomo in carne ed ossa. A Maria, a Giuseppe. E a Gesù, Presenza viva allora come ora. E compagnia.
Mi càpita ogni anno, nei giorni che precedono il Natale, di entrare in punta di piedi in un presepe e la mia storia nuova, e rinnovata, inizia da lì. Seguendo con lo sguardo la Madonna che attende, e poi culla, allatta, accompagna, nella crescita, il Suo Bambino. Osservando, commossa, le piccole attenzioni di Giuseppe, padre e sposo.
I miei occhi di bambina e di donna fissano quelli, vigili e premurosi, della Vergine. E così le vedo, le Sue lacrime di dolore e poi di gioia, il 24 notte, mentre è in travaglio e quando poi, per la prima volta, tiene tra le braccia il Bambinello. Le vedo, le Sue lacrime di commozione che accolgono le donne, i pastori, la gente semplice e poi i Magi, davanti alla grotta…
La mia storia inizia ogni anno dentro il presepe. Muovendomi da lì, in un tempo che è sempre uguale e sempre diverso, personaggio tra i tanti eppure – il cuore ne è certo – unico e irripetibile, assisto alla fuga in Egitto, avverto la preoccupazione accorata di Maria quando Gesù per tre giorni si perde a Gerusalemme. E poi vedo le lacrime rigare silenziose il volto della Madonna, lontana dal Figlio che va, perché deve adempiere ad un compito, iniziare la Sua missione tra la gente. Seguo, lo stesso Suo cuore affranto, lo strazio della Madre sulla via del Calvario; ai piedi della croce, La scorgo, muta, accogliere il corpo esanime del Figlio amatissimo.
E’ lì, sul Golgota, che da Cristo morente Maria è affidata come Madre al discepolo. “Donna, ecco tuo figlio” (Gv 19, 26-27). E’ sotto la croce che la Madonna pronuncia, nel cuore, un altro fiat, l’ennesimo. Accetta da Gesù l’invito a farsi carico, attraverso Giovanni, della Chiesa dispersa dei discepoli. Di tutti noi e di ciascuno.
Anche di me, mi dico commossa, mentre, tra il popolo silenzioso dei semplici, assisto a questa crocifissione quotidiana, ingiusta e terribile, eppur necessaria.
Quando il Figlio sta per morire, termina la missione della Vergine come Madre di Gesù in terra, ma è in quel momento, al culmine dello strazio, che da Lui è invitata a collaborare nell’opera di redenzione degli uomini. E’ lì, ritta sotto la croce, che diventa Mamma nostra, Madre della Chiesa, segno della tenerezza infinita di Dio per l’umanità. Un Dio non indifferente nei confronti della Storia di tutti e della piccola storia di ciascuno. Un Dio che ci vuole felici. E salvi. Un Padre che come figli diletti ci ama ad uno ad uno, perché di ognuno l’Unigenito ha lavato e lava, nel sangue, i peccati.
E allora, figlia, continuo a seguire la Madre. Sento, giorno dopo giorno, la Sua costante premura, il Suo amore fedele. Ma, seguendola, personaggio tra gli ultimi in questo presepe che è la vita, continuo a vedere lacrime che Le rigano il volto dolcissimo. A La Salette, nel 1846, e poi a Lourdes, di fronte a Bernadette Soubirous; a Fatima; a Siracusa, nel 1953; a Medjugorje; ad Akita, in Giappone; a Civitavecchia, con la piccola Jessica Gregori e poi davanti al Vescovo, mons. Girolamo Grillo… E ancora, ancora, ancora…
Questa nostra Madre che incessantemente prega e intercede per noi, che mai si stanca di prendersi cura dei figli che sotto la croce Le son stati affidati e, regale eppur discreta, ci indica Cristo: Via Verità e Vita, piange. Spesso, ancor oggi, piange.
A volte sono lacrime di sangue. Lacrime del Figlio Suo diletto, versate per tutto il male che devasta la terra, per il mysterium iniquitatis che regna nel mondo ed ha i suoi influssi nefasti nella vita della società, della famiglia, della scuola, delle istituzioni, della Chiesa stessa. Piange per il sangue innocente che scorre senza fine: per i milioni di vite spezzate, per gli innocenti uccisi nelle carneficine delle guerre, delle persecuzioni, degli aborti. Piange per i Suoi figli che vivono etsi Deus non daretur: come se Dio non esistesse, non si fosse incarnato, non fosse morto per i nostri peccati e risorto per la nostra salvezza. Piange per lo sbandamento interno alla Chiesa, per la scomparsa del senso del peccato, per tutti i segni di ribellione al successore di Pietro…
Le vedo, le Sue lacrime di dolore, e mi chiedo come può un figlio, come può una figlia restare indifferente di fronte al pianto di Sua Madre. Una tra i tanti, eppure incondizionatamente amata come fossi unica, con tenerezza di figlia vorrei consolarLa, vorrei poterLe asciugare le lacrime che rigano il Suo volto dolcissimo.
Guardo la Mater dolorosa, da duemila anni ai piedi della croce, eppure sempre presenza premurosa, e vigile, accanto a ciascuno di noi, e capisco che le Sue lacrime di allora e di oggi sono segno del dolore infinito di Dio e di Sua Madre per il peccato degli uomini, ma raccontano anche la Loro infinita misericordia per la fragilità e la miseria di noi peccatori.
Nel presepe che è la mia vita, tengo fisso lo sguardo su questa Donna minuta. Ha la mano destra sul cuore e la sinistra aperta, come a chiedere e a dare nello stesso tempo.
Anche Lei teneramente mi guarda silenziosa. Sta chiedendo solo il mio “sì”, libero, di figlia; lo stesso da lei mille volte pronunciato. Mi porge la mano perché l’afferri e mai più mi senta sola. So che desidera condurmi da Cristo, Suo Figlio: alfa ed omega dell’uomo e della Storia.
Allungo la mano e, affidandomi a Lei, dal profondo del cuore sgorga il mio fiat.
La Sua mano aperta è certezza del centuplo.