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Il 1665, il 2008 e l’8 marzo

Autore:
Pagetti, Elena

“In questo paese vidi uno spettacolo straordinario. Ogni volta che l’imperatore incontra una donna per strada, se è a cavallo fa fermare il cavallo e la lascia passare. Se l’imperatore è a piedi e incontra una donna, assume una posizione di riguardo. La donna saluta l’imperatore, il quale si toglie il cappello in segno di rispetto per la donna. Dopo che la donna è passata l’imperatore continua per la sua strada. E’ veramente uno spettacolo straordinario. In questo paese e in generale nelle terre dei miscredenti le donne hanno l’ultima parola. Sono onorate e rispettate per amore della Madre Maria.” Siamo nel 1665. Uno scrittore turco* in visita a Vienna annota un costume sociale che, per lui islamico, è inaudito ma nello stesso tempo di straordinaria bellezza. Interessante le conclusioni: l’onore riservato alla donna è “per amore della Madre Maria”, dove il “per” indica la causa, la ragione adeguata e sufficiente. Sappiamo che anche nella religione islamica si riserva rispetto a Maria, ma questa devozione è eccezionale, esclusivamente riservata alla sua persona, non esercita alcuna influenza sul genere femminile. Per il cristianesimo Maria è modello, icona della maternità e in Lei ogni donna trova la sua immagine. Questa l’Europa cristiana del XVII secolo. Quanto lontana dall’Europa di oggi! Attraversata dalle accese rivendicazioni femministe del ’68, dall’affermarsi del materialismo e del capitalismo, la nostra cultura è mutata, e con lei l’immagine della donna. L’8 marzo segna la “festa della donna”. Viene da chiedersi “quale donna” celebriamo? A cosa si riferisce l’immaginario dei giovani e degli adulti? La pubblicità ha trasmesso l’idea di una donna-oggetto, ridotta alla sfera della sessualità, sganciata da legami. Abbiamo realizzato un vero progresso o per compierlo veramente occorre che riponiamo al centro la questione antropologica? La descrizione del viaggiatore turco riaccende la nostalgia di una “galanteria” che è profondo senso della dignità dell’essere umano. Benedetto XVI afferma che l’odierna mentalità è maschilista. Per questo invita i cristiani a promuovere una cultura che riconosca alla donna, nel diritto e nella realtà, la dignità che le compete, che le permetta di collaborare alla costruzione della società valorizzando quello che Giovanni Paolo II amava definire “il suo tipico genio femminile”. L’Osservatore Permanente vaticano all’ONU ha denunciato come “l’enorme contributo delle donne alla società nella famiglia come mogli e madri non venga spesso riconosciuto e ricompensato”, così come nel mondo del lavoro non sia sempre loro garantita una pari opportunità. È ancora una volta chiamata in gioco la ragione, la sua apertura e il suo interrogarsi senza paura della verità.


(*Si tratta di Evliya Celibe, citato in B. Lewis, Il suicidio dell’Islam, Mondadori)

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