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Come guarire dall'allergia per la fantascienza

Autore:
Scacco, Antonio
La scienza, oggi, è presente nei settori più importanti della nostra società: da quelli economici a quelli sanitari, informativi, militari, industriali... Non ha senso nascondere la testa sotto la sabbia come lo struzzo.

Mi sono spesso occupato, sulle pagine di "Future Shock", dei rapporti non certo idilliaci che intercorrono tra scuola e sf. L'occasione di ritornare sull'argomento mi viene offerta, questa volta, da un agile, equilibrato e puntuale saggio di Evandro Agazzi, ordinario di Filosofia della Scienza e di Antropologia filosofica alle Università di Genova e Friburgo, dal titolo: Cultura scientifica e interdisciplinarità (Ed.La Scuola, Brescia, 1994).

Tante volte, nei luoghi più svariati (sul treno, al bar, al mare, al supermercato...) o negli ambienti socio-culturali più diversi (impiegati, docenti, scrittori, poeti...), mi è capitato di confessare candidamente che mi occupavo, a livello critico e saggistico, di narrativa di sf. Senza pensarci due volte, il mio interlocutore rispondeva che verso di essa sentiva una ripulsa viscerale. Pare che questo atteggiamento di rifiuto preconcetto non sia appannaggio della sola sf. Anche la scienza va incontro, da parte di certi umanisti, ad una "sottile avversione", ad una "allergica incomunicabilità".
Sentite il seguente episodio capitato al professor Agazzi: "Ricordo ad esempio un collega filosofo - di grande finezza e intelligenza, oltre che di vasta cultura - il quale confessava senza imbarazzo che, di fronte a una qualsiasi formula, fosse essa di matematica, di logica, di economia o di chimica, rinunciava puramente e semplicemente a capire" (p. 86).
Che si tratti - soprattutto nel secondo caso - di una forma assai grave di allergia, è indubitabile. La scienza, oggi, è presente nei settori più importanti della nostra società: da quelli economici a quelli sanitari, informativi, militari, industriali... Non ha senso nascondere la testa sotto la sabbia come lo struzzo. Si rischia di rassomigliare al peripatetico Cremonini che si rifiutò di guardare attraverso il cannocchiale di Galilei perché, sull'autorità dell'ipse dixit di Aristotele che affermava la purezza e l'incorruttibilità dei corpi celesti, non era possibile che il sole avesse macchie!

Ma qual è l'origine della disistima, non solo in Italia ma anche in altre nazioni d'Europa, della scienza? Com'è stato possibile che essa, da una posizione di egemonia goduta nella seconda metà dell'Ottocento, sia poi scivolata, nel nostro secolo, in un ruolo di subalternità? Sul banco degli imputati è da porre il Positivismo, il quale aveva coltivato la fallace illusione che la scienza fosse l'unico strumento di conoscenza e l'unica guida sicura per l'agire umano. Ma il suo progetto piuttosto velleitario di rimpiazzare le altre forme di conoscenza, fu frustrato allorché la fisica meccanica fu messa in crisi da quella relativistica e quantistica. La reazione crociana fece il resto, nel senso che la scienza fu svuotata della sua capacità conoscitiva e fu ridotta al rango di sapere meramente pratico e utilitaristico, del tutto estraneo al compito di formare l'uomo, compito che nella scuola spettava esclusivamente alle discipline umanistiche.
Non mi sembra, qui, il caso di esporre minuziosamente le serrate argomentazioni mediante le quali Evandro Agazzi perviene alla conclu-sione che la scienza, depurata dall'interpretazione scientista che ne dava il Positivismo, è ancora in grado di offrirci un sapere oggettivo e affidabile. Non solo ma essa, proprio a motivo dei due aspetti fatti emergere dalle epistemologie anti-positiviste, cioè la contestualizzazione sociale e la dimensione storica, ha tutte le carte in regola per entrare a far parte, nella scuola, del processo formativo dell'uomo. A ribadire questa asserzione, c'è tutta una sfilza di famosi filosofi - da Cartesio, a Leibniz, a Kant, a Comte, a Spencer, a Russell, a Wittgenstein... - per i quali la conoscenza scientifica, sia per i suoi contenuti che per i suoi metodi, assunse un ruolo precipuo nella maturazione del loro pensiero.

E' fuor di dubbio che la guarigione dall'allergia per la scienza spianerebbe la strada alla guarigione dall'altra allergia: quella per la sf. Sono, infatti, molto stretti i legami di quest'ultima con la prima: l'entomologo Giorgio Celli, parlando di sf al Convegno internazionale di Palermo nel 1978, la definì "descrizione romanzata" del metodo scientifico", "metafora epistemologica". E se non bastasse, si potrebbe citare la parabola seguita dalla sf in Europa: in auge con Verne e Wells finché perdurò il successo del Positivismo, in declino quando prevalse la reazione anti-positivista. La sf riconquistò il suo successo negli USA proprio perché lì scienza e tecnica furono considerate strumenti ideali per l'avanzamento spirituale e materiale della nazione.
Ma la sintonia tra scienza e sf non si realizza solo a partire dalle vicende storiche. Ve n'è un'altra ben più profonda e che va nella direzione auspicata da Agazzi: quella a livello culturale. Da sempre, la migliore sf si è qualificata come riflessione sui problemi suscitati dalla scienza e dalla tecnologia in seno alla nostra società: si pensi a opere come New Brave World di Huxley o 1984 di Orwell. La proposta, poi, di sostituire il termine "science fiction" con "speculative fiction" ribadisce ancora una volta l'esigenza di mettere in rilievo l'irruzione, a volte sconvolgente (da "shock culturale" o "shock da futuro"), della conoscenza scientifica nella conoscenza ordinaria o senso comune dell'uomo della strada.
La malattia è, dunque, diagnosticata, la terapia già prescritta: quando la nostra scuola deciderà di prendere le medicine?

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