Tenebre e responsabilità
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La vicenda di Eluana Englaro occupa - giustamente - tutte le prime pagine dei giornali e dei notiziari: da subito, il giorno stesso della sentenza della Cassazione, abbiamo invitato ad un semplice gesto che affiancasse la preghiera, quello di mettere alle nostre finestre un cero acceso, segno della speranza della vittoria della vita sulla morte. Gesto certo semplice e sproporzionato rispetto alla gravità della posta in gioco, ma gesto che ogni uomo di buona volontà può compiere.
Tra le tante prese di posizione (e di alcune abbiamo anche dato notizia sul sito) quella che ci ha molto provocato è la breve riflessione del Vescovo di San Marino – Montefeltro, su “Il Giorno” del 15 novembre, che riportiamo: «L’ora delle tenebre e della vergogna
C’è ancora un modo e il più grave per non considerare l’enormità che la sentenza della Cassazione ha aperto nel nostro Paese. È certamente una tragedia di proporzioni colossali che si renda legittimo l’assassinio di una persona adulta ma debole ed indifesa. È una tragedia etica e sociale di proporzioni spaventose, ma soprattutto, e questo è il punto, è la fine della nostra civiltà italica.
Una civiltà che è durata quasi tremila anni e in cui si sono sintetizzati mirabilmente il genio filosofico della grecità; il diritto romano, fonte di ordine alla convivenza universale; l’irripetibile ed irriducibile annuncio della fede, rivelazione di Dio e salvezza dell’uomo; la grande esperienza della laicità come libertà di coscienza e di ricerca. La civiltà dell’uomo e per l’uomo, indisponibile a tutto, perché disponibile solo al Mistero. La persona umana, una, unica ed irripetibile, protagonista della sua propria storia e di tutta la storia dell’umanità.
Tutto questo non esiste più. Preparato da altri eventi che si sono dispiegati negli ultimi 40 anni e hanno progressivamente annullato l’identità e la dignità della persona, quest’ultimo tratto di penna di oscuri burocrati della Magistratura italiana cancella un’epoca grandiosa.
Finisce l’Italietta, nata male e finita peggio: piccola e quasi insignificante provincia nel grande impero della sazietà e della disperazione.
Chi può e vuole, lavori da subito alla nascita di una nuova civiltà: dovrà necessariamente avere forme e modi nuovi, inizi più umili, ma in essa dovrà battere il cuore antico, che non è stato distrutto perché non può essere distrutto. Il cuore dell’uomo infatti è indistruttibile.
In questa impresa, del far nascere finalmente quella che già Giovanni Paolo II aveva definito la «civiltà della verità e dell’amore», il popolo cristiano saprà fare la sua parte. Ed è certo che avrà accanto moltissimi uomini di buona volontà».
Abbiamo poi letto con sgomento quanto A. Sofri scriveva a proposito “…Ma resto interdetto quando sento che non esiste il diritto di morire, ma tutt’al più una libertà di morire. La morale si fa leguleia, il diritto si fa moralista. Noi umani siamo mortali, siamo condannati a morire. Ma siamo anche liberi di morire. Senza di che saremmo solo condannati a vivere – è questa condanna che l’integrismo religioso chiama “dono”, così da proibircene il rifiuto. Posso vivere solo se posso morire, e vivo perché decido di non morire, fino a quando non sia piuttosto la morte a promettersi come una liberazione ...”.
Ci sono risuonate nella mente quelle parole scritte anni fa in pieno regime nazista: «...Per quanto riguarda coloro che desiderano morire perché un tempo sono stati sani e ora non ce la fanno più, ebbene io credo che lo Stato, che ci impone il dovere di morire, debba anche darci il diritto di morire» [Dal film “Ich klage an” (Io accuso) - Germania, 1941 (propaganda pro-eutanasia)] e «... ai pazienti considerati incurabili secondo il miglior giudizio umano disponibile del loro stato di salute possa essere concessa una morte pietosa.» [Lettera di Hitler a Bouhler e Brandt]».
Di fronte a tutto questo diciamo con forza che nessun uomo ha potere sulla vita altrui, ma nemmeno sulla propria. Vogliamo essere testimoni, anche col lavoro che facciamo sul sito, di questa verità, ed essere fattivamente vicini a tutti coloro che lavoreranno in questa direzione.