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Stare con il Papa

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it

Le dodici cartelle, qui riproposte, dell’ampia e articolata prolusione svolta il 23 marzo dal cardinale Bagnasco al Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana vanno lette e approfondite tutte per avere uno sguardo alla realtà; per un ristabilimento cioè della verità dei fatti e delle ragioni in merito alla questione della revoca della scomunica ai quattro vescovi seguaci di Lefebvre, al successivo caso Richard Williamson che aveva provocato attacchi carichi di “irrisione” e di “odio”, al profluvio di critiche “pretestuose” che “si è prolungato oltre ogni buon senso” a seguito delle parole che Benedetto XVI ha dedicato all’uso del preservativo: “Non accetteremo – ha detto il card. Bagnasco – che il Papa, sui media o altrove, venga irriso o offeso” con un “ostracismo che esula dagli stessi canoni laici”.
Ma quella del cardinale Bagnasco non è stata una difesa d’ufficio e con sincerità ha criticato “atteggiamenti e parole” che, anche all’interno della Chiesa hanno alimentato “comportamenti diffidenti nei riguardi della Gerarchia e bolla come “insolenti” coloro che – alla Alberto Melloni e Enzo Bianchi – vogliono “far dire al Papa ciò che egli con tutta evidenza non dice”. E’ urgente recuperare il significato teologico dello “stare con il papa, sempre e incondizionatamente” da parte dei credenti, dei cattolici: non con una coscienza acritica, ma con uno “sguardo di fede” purificato sul mistero della Chiesa e sulla sua pietra di fondazione, condizione di reale appartenenza e di “corretto agire ecclesiale”.
In questo momento solo quella forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei primi secoli tra una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti può guardare al mondo culturale in cui siamo collocati con un criterio di discernimento e con adeguata disposizione. Siamo in un tempo di “trapasso culturale” – osserva il cardinale presidente – in cui Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica e la fede in Lui diventa più difficile. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale senza una libertà relazionata alla verità e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. L’etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso. Tuttavia c’è una esaltazione unilaterale e astratta della sua libertà, secondo un’idea di autodeterminazione che “è legge a se stessa, al di fuori di ogni contesto relazionale” di uguaglianza e di fraternità capovolgendo il punto di partenza della modernità, che era la rivendicazione della centralità di ogni soggetto umano come persona, dotata di un’identità peculiare e di una dignità irriducibile alla natura cosmica, valori precedenti “ogni sua autodeterminazione”. Persona, quindi, capace di una libertà che è tale solo in relazione con il valore indisponibile di ogni vita, della pace, della giustizia, della solidarietà e di tutti beni umani fondamentali al cui apprezzamento e rispetto essa peraltro ha bisogno di essere educata.
Nella vicenda di Eluana il confronto fra le “due culture” è stato drammatico fino a far morire la donna in stato vegetativo per 17 anni con una “ operazione tesa ad affermare un diritto di libertà inedito quanto raccapricciante, il diritto di morire” e, cioè, ha precisato il “darsi (suicidio) e dare la morte (omicidio)”. Si tratta di una vera e propria deriva eutanasica, contro cui è partita in questi giorni una mobilitazione annunciata dai “tre organismi di collegamento laicale – Scienza&Vita, il Forum delle Associazioni familiari e RetinOpera – che, nel tessuto vivo delle parrocchie, delle aggregazioni laicali, come degli ambienti e dei mezzi di comunicazione, merita di essere da noi incoraggiata e sostenuta”. Di fronte alle prospettive inquietanti quanto al “diritto all’eliminazione” di tutti i soggetti inabili, quelli più deboli, quelli incoscienti si impone l’unità dei cattolici. Nelle soluzioni prospettate per i “disagi personali gravi” è in gioco non solo qualcosa del sistema socio-assistenziale, ma il “vero volto” di una società intera e il grado della nostra civiltà perché “qui c’entra il reale-concreto della vita nella sua debolezza, dell’esistenza nella sua inevitabile imperfezione, del rispetto dell’uguaglianza dei cittadini, della educazione a tutto ciò delle giovani generazioni”.
Il cardinale ha richiamato l’esempio luminoso delle suore Misericordine, che hanno testimoniato come sia possibile accogliere la condizione umana in tutti i suoi aspetti e momenti.
La Chiesa non solo è amica dell’intelligenza ma ha una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione oggi alla “gravissima crisi economica che sta attanagliando il mondo intero” e per noi in Italia talune condizioni economiche e sociali del nostro Meridione.
Il Presidente dell’episcopato italiano, accogliendo l’iniziativa dell’“Anno sacerdotale” si è rifatto al discorso di Benedetto XVI al clero di Roma. La giustizia si realizza solo se ci sono giusti e questi non ci sono senza il lavoro umile, quotidiano, dei parroci per convertire i cuori facendo un servizio non solo alla parrocchia ma alla umanità: “Chi conosce gli uomini di oggi meglio del parroco? Dal parroco gli uomini normalmente vanno senza maschera (…) Nessun’altra professione, mi sembra, dà la possibilità di conoscere l’uomo com’è nella sua umanità”. E’ così indicato il compito fondamentale della Chiesa italiana nel contesto della grande crisi; e il modo della sua presenza: “Il volto amico di una chiesa che cammina con la gente”, stando “dalla parte delle persone reali…”.

Scarica la Prolusione di Bagnasco
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