Sotto il sole del totalitarismo
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Siamo sicuri che l’affermarsi, nella cultura e attraverso la legge, di nuovi dogmi del modernismo sia davvero sintomo inequivocabile di progresso, di tolleranza, di una società più democratica?
E se così non fosse? Se si trattasse di una nuova forma totalitarismo? Il sofisticato totalitarismo di un potere sempre più accanito contro l’uomo. Immaginiamo che il potere riesca nell’obiettivo di vedere etichettate come intollerabili o addirittura penalmente perseguibili le opinioni contrarie ai suoi progetti abilmente mascherati da battaglie per il progresso della società.
A quel punto grazie all’onda d’urto dei media, dei partiti, delle piazze, lo Stato sarebbe improvvisamente giustificato nel certificare la repressione, anche al costo di introdurre un reato di opinione, uno psicoreato, come diceva Orwell in 1984.
Di immaginazione in fondo ne serve poca, perché in sostanza è quello che succede oggi, ad esempio quando si parla dell’introduzione del reato di omofobia, un crimine nessuno capisce bene cosa vorrà dire o come si commetterà, però è ormai percepito come un passo necessario verso il progresso morale del paese. È una necessità morale, democratica. Esempio: tweet del premier Renzi del 17 maggio 2014: “Giornata mondiale contro omofobia. C’è ancora molto da fare, anche in Italia”.
Chi non lo capisce è un intollerante e va punito, va marchiato.
Altro esempio: tweet del 17 maggio 2014 di Nichi Vendola: “Cacciare il partito degli omofobi dal Parlamento”.
Ma chi sono gli omofobi in Parlamento, se non coloro che sono contrari a matrimoni gay, adozioni gay, fecondazione eterologa, insegnamento gender nelle scuole ecc.?
Come si è arrivati a questo punto? A prospettare l’introduzione di reati d’opinione in Italia nel XXI secolo…
Un prezioso alleato può aiutarci a capire cosa sta succedendo oggi: nientemeno che il più grande intellettuale del ’900. Pier Paolo Pasolini.
Pasolini
“Credete che ad indignare nei reati d’opinione siano quei famosi mesi con la condizionale che rischiamo ogni giorno? Non credo.
Ciò che conta è la condanna, il venire additati all’opinione pubblica come “rei” di idee contrarie alla comunità… la comunità degli intellettuali di sinistra che mi accusa di un reato d’opinione”.
Andiamo con ordine, anni ’70. Idea di Pasolini contraria alla comunità: Pasolini contro il divorzio.
12 e 13 maggio 1974. Si vota il referendum per l’abrogazione della legge Fortuna-Baslini, che quattro anni prima ha introdotto il divorzio nel nostro paese con il voto favorevole di socialisti, comunisti, repubblicani e liberali.
La DC non vuole cancellare la legge in parlamento. Potrebbe farlo poiché dopo la caduta del PSIUP la maggioranza divorzista non c’è più. DC e MSI insieme avrebbero i voti per il dietrofront, ma non lo fanno. E allora spunta un referendum al quale il 59,3% degli italiani vota “no”, ovvero: il divorzio non si cancella. L’affluenza è altissima, sfiora l’88%.
La sinistra e i liberali gridano alla vittoria, al miracolo!
Sembra che l’Italia abbia finalmente compiuto il giro di boa decisivo verso il progresso, verso la modernità, verso la libertà.
Eppure Pasolini, con la sua straordinaria profondità di sguardo sulla realtà, con la sua sensibilità quasi profetica, interviene sul Corriere della Sera, 10 giugno ’74, titolo dell’articolo: Gli italiani non sono più quelli.
“Ma è stato proprio un vero trionfo?
Il 59% dei “no”, non sta a dimostrare, miracolosamente, una vittoria del laicismo, del progresso o della democrazia. Piuttosto dimostra che l’Italia è crollata e che i nuovi ceti medi hanno abbracciato i valori dell’ideologia edonista, del consumo e della conseguente tolleranza modernistica di tipo americano”.
L’Italia è crollata.
Pasolini non parla affatto di vittoria del progresso in quel pezzo, dice che gli italiani sono diventati moderni, e non è che sia un gran complimento.
Chi ha voluto, promosso, progettato questa modernità?
“È il Potere stesso - attraverso lo “sviluppo”, attraverso la produzione di beni superflui, attraverso l’imposizione della smania del consumo, della moda, della televisione - a creare tali valori, gettando a mare cinicamente anche quei valori tradizionali del popolo e della Chiesa stessa, che ne era il simbolo”.
Poi arriva il ’78, un nuovo cataclisma culturale investe l’Italia: la legge 194. A pochi giorni dal ritrovamento del corpo di Moro, in un clima di enorme tensione, l’aborto è reso legale.
E si fa festa, a rileggere i giornali di quei giorni l’Italia sembra finalmente degna di essere annoverata tra le nazioni civili, sui media è la gara ad esaltare la storica affermazione dei diritti della donna.
Cosa dice questa volta Pasolini?
Pasolini nel ’78 è morto da tre anni, lui non ha mai visto l’aborto diventare legale. Eppure della questione ne aveva parlato eccome durante gli anni del dibattito, del dibatto rovente.
Lui è comunista, tutti si aspettano che si spenda, che combatta, a favore dell’aborto.
Ma anche questa volta, il più grande uomo di cultura del paese dà scandalo ai benpensanti della sinistra. Occorre fare attenzione perché il pensiero di Pasolini sull’aborto andrebbe fatto leggere in tutte le scuole, dalle quali è invece inspiegabilmente assente.
Corriere della Sera, 19 giugno 1975: “Sono contro l’aborto”.
“Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero una legalizzazione dell’omicidio”.
Sempre sul Corriere:
“Qui c’è di mezzo la vita umana, ma non la vita umana così, in generale… io parlo di questa vita umana, questa singola concreta vita umana, che in questo momento si trova dentro il ventre di questa madre.
È popolare oggi essere con gli abortisti in modo acritico ed estremistico? Non c’è neanche bisogno di dare spiegazioni?
Si può tranquillamene sorvolare su un caso di coscienza riguardante la decisione di fare o non fare venire al mondo qualcuno che ci vuole assolutamente venire? Bisogna a tutti i costi determinare un genocidio solo perché lo status quo lo impone?
Nel pensare alla vita ciò che conta è la ragione, che non può mai contraddirsi né venire a patti. Essa sancisce i principi, non i fatti, anche se la ragione non può che partire dai fatti.
E non c’è nessuna ragione che giustifichi la soppressione di un essere umano, sia pure nei primi stadi della sua evoluzione. In nessun altro fenomeno dell’esistenza c’è un’altrettanto furibonda, totale, essenziale volontà di vita che nel feto. La sua ansia di attuare la propria potenzialità, ripercorrendo fulmineamente la storia dell’uomo, ha qualcosa di irresistibile, di assoluto, di gioioso.
L’essere incondizionatamente abortisti garantisce a chi lo è una patente di illuminismo, di modernità, di progressismo.
Ma dire che la vita non è sacra vuol dire fare un immenso favore al potere materialista ateo disumanizzante, fare un favore ai produttori che vogliono una società fatta di consumatori. Dire che la vita degli altri è un nulla, che il proprio cuore non è altro che un muscolo è fare un favore al potere”.
Pasolini venne ucciso nel novembre 1975, in circostanze ancora oggi a dir poco misteriose. È un puro esercizio di complottismo pensare che anche per le sue idee contro l’aborto sia stato tolto di mezzo? Ad avviso di chi scrive no.
La 194, unica legge sull’aborto al mondo che porti la firma esclusivamente di uomini - almeno sulla carta - cattolici, viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 22 maggio del 1978: i ministri Tina Anselmi, Francesco Bonifacio, Tommaso Morlino, Filippo Maria Pandolfi, e il Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, tutti della DC.
Dopo quattro giorni, firma anche il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone.
Da quel momento ad oggi, gli aborti praticati in Italia sono più di quattro milioni.
Si dice spesso, si scrive spesso: l’Italia è un paese che non fa più figli. Sbagliato. L’Italia è un paese che li uccide i suoi figli, al ritmo di centocinquantamila l’anno, sotto il sole di un totalitarismo del quale non sappiamo più accorgerci.
I nuovi dogmi
Oggi ci risiamo, nuovi scalini del progresso: i “diritti” degli omosessuali, matrimonio gay, adozioni gay, teoria del gender nelle scuole, e l’orrore più grande, la fecondazione eterologa, portata alle sue più estreme conseguenze, l’eterologa che trasforma la procreazione in un costoso business per borghesi.
Con una leva in più, si chiede anche l’introduzione del reato di omofobia per coloro che con questo “progresso” (le metteva sempre anche Pasolini le virgolette alla parola progresso) non sono d’accordo.
Lo status quo lo impone.
Magari il potere non arriverà al punto da rinchiudere in prigione i colpevoli di questo psicoreato, il potere di oggi è raffinato, e vuole apparire progressista e non grossolano, sa muoversi con disinvoltura nell’autoreferenziale gioco democratico.
Ma non rinuncerà al piacere di marchiare a fuoco i dissidenti.
Ai tempi della Rivoluzione Francese c’erano i Certificati di Civismo, i Comitati di Salute Pubblica, le leggi dei Sospetti, per punire chi non aderiva ai progetti del Terrore. Oggi nuovi giacobini invocano reati di opinione.
Diceva Pasolini:
“Ciò che conta è la condanna, il venire additati all’opinione pubblica come “rei” di idee contrarie alla comunità, contrari al progresso; così la comunità degli intellettuali di sinistra mi accusa di un reato d’opinione.
La mia opinione nel caso specifico, è che considero l’aborto una colpa”. Quanto manca all’Italia di oggi un uomo come Pasolini? Tantissimo.
Settembre 1964, tratto da “Energie Nuove”:
Lei pensa alla possibilità di un incontro con altre forze, con i cattolici ad esempio?
Risponde Pasolini:
“Occorre distinguere tra semplici clericali e spiriti veramente, autenticamente religiosi.
Con i cattolici veramente, autenticamente religiosi, mi pare che sia possibile senza dubbio identificare un nemico in comune: il materialismo ateo e disumanizzante che è appunto alla base del neocapitalismo e che è la sintesi di tutto ciò che è condannato nel Vangelo”.
Il 22 maggio 2014 è il trentaseiesimo anniversario della legge sull’aborto, il più vergognoso scandalo della storia del nostro paese.
Fonte: “Pasolini, saggi sulla politica e sulla società” - Mondadori, 2012.