Progressisti ed integristi, senza differenze
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«Il mondo nel quale viviamo sembra un enorme campo di battaglia»: mai abbiamo sentito definizione più azzeccata della nostra condizione umana. E in questo «campo di battaglia» il problema più grave sembra essere la sopravvivenza della nostra umanità. Le notizie quotidiane riferiscono ogni giorno la situazione di attacco nella quale viviamo, e se una volta si poteva paragonare la nostra situazione a una sorta di Chernobyl dell’umano, oggi siamo di fronte a un capovolgimento tale per cui ci si sente di fronte a immagini e concezioni diverse della realtà. Pensate a parole come vita, libertà, sessualità, famiglia, diritti. Forse solo il suono le fa apparire uguali, ma esprimono una consapevolezza radicalmente diversa. Per parlare del sesso si è introdotto il vuoto neologismo di eterosessualità (stravolgendo il senso naturale del termine, per cui sessuale significa distinto e complementare) o a diritto come facoltà di togliere altri diritti a chi non è ritenuto degno di possederne (basta solo l’accenno all’aborto, da «abominevole delitto» a diritto della persona - sia chiaro, diritto a uccidere).
Sono solo alcuni accenni, ma ci si accorge che oramai è come se mancasse un «territorio comune», una «patria» (e non a caso pensatori acuti parlano proprio della assenza del padre, da cui patria).
«Che fare?» direbbe Lenin. Noi ci chiediamo: «C’è ancora speranza? E se sì, dove?».
In questi giorni la lettura della biografia del grande educatore e testimone don Giussani mi ha dato una grande quantità di suggerimenti. Voglio solo accennare ad uno che mi pare decisivo, anche in riferimento alla situazione ecclesiale in cui viviamo, ove, alla commovente adesione del popolo alla figura di Papa Francesco, si affianca la lettura meschina di tanti mass-media che non sanno fare altro che riproporre schemi stantii sulla sua figura (e sia chiaro, qui mi riferisco in particolare a coloro che, non avendo mai ascoltato quanto i Papi - da Paolo VI della Humanae Vitae a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - hanno detto, ora usano la «loro» immagine di Francesco per bastonare chi non la pensa come loro).
Ecco in breve il suggerimento di Don Giussani: «La certezza della fede si arricchisce nel senso soggettivo, umano, esistenziale proprio se si paragona con essa il flusso della propria vita e perciò la trama dei propri bisogni, esigenze, problemi, situazioni. In una parola, se diventa cultura cristiana… In questi anni del post-concilio progressisti ed integristi, in modo non dissimile tra loro, hanno ritenuto la fede come un dato acquisito. In fondo hanno dato per scontato che la chiesa esiste, dimenticando che di essa, del suo mistero, si deve fare una certa esperienza. La chiesa, invece, avviene e cresce continuamente nel cuore degli uomini e nel vivo degli ambienti e delle situazioni sociali nell’incontro con la presenza viva di Gesù Cristo, nell’arricchirsi esistenziale della certezza di questo incontro, nello sperimentare la sua reale capacità di salvare l’umano in tutta la sua drammaticità e quotidianità.»
Ecco il suggerimento: in questo «ospedale da campo» che è il mondo, solo uomini vivi, che nella Chiesa hanno scoperto il senso della vita e la autenticità della compassione, possono fare ritrovare agli uomini quella sanità che ci rende fieri e appassionati al vivere.