Persona e stato
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Nell'ambito delle riflessioni sui mezzi più efficaci per combattere il terrorismo è intervenuto sul Corriere della Sera del 25 luglio 2005 anche Piero Ostellino, che si considera a tutti gli effetti un interprete del "realismo politico laico" che trova nella diffidenza (e talora nell'aperta opposizione) verso ogni riferimento ai "valori morali" il suo tratto di distinzione rispetto ad altre tradizioni di pensiero. Tale riferimento appare ad Ostellino inutile per spiegare i comportamenti politici e per di più foriero di pericolose mitizzazioni che vanno contrastate sul piano teorico e pratico. L'avversario da battere sarebbe in particolare il clima di restaurazione "neospiritualistica" che vorrebbe negare l'indipendenza della politica e del diritto dalla religione e dall'etica.
Questa, in sintesi, è la tesi del breve, ma denso editoriale di Ostellino: per combattere il terrorismo non è necessario fare appello a reazioni morali, basta assecondare la reazione istintiva delle potenziali vittime (in pratica la totalità dei cittadini) che chiedono alla politica protezione dalle minacce e dalla paura e che per questo sono disposte ad accettare forti restrizioni delle libertà individuali e l'uso più esteso della repressione e della violenza da parte dello stato. In questa chiave la politica viene ricondotta principalmente a "prestazione di servizi" piuttosto che a "missione etica".
La prospettiva adottata da Ostellino richiama esplicitamente la concezione hobbesiana dell'uomo, della società e dello stato, partecipa dunque della opzione "morale" implicita nella visione esclusivamente utilitaristica delle motivazioni personali e delle relazioni sociali. L'opzione utilitaristica evita però, piuttosto che risolvere, i dilemmi morali con cui la politica deve fare quotidianamente i conti e che sono ben sintetizzati della distinzione - citata dallo stesso Ostellino - tra legalità e legittimità. Se non tutto ciò che è legale (cioè conforme a regole e procedure previste dall'ordinamento giuridico) è anche buono e giusto, da dove si ricavano i criteri per valutare questa differenza se non dai propri orientamenti di valore, dalle proprie convinzioni ideologiche, morali e religiose?
A differenza dalle visioni idealistiche e giacobine che considerano lo stato come un'entità assoluta, detentrice ed arbitra dei diritti che eventualmente concede ai suoi cittadini-sudditi, la visone liberal-democratica dello stato assegna il primato alla persona con le sue convinzioni ideologiche morali e religiose e la rende in ultima istanza giudice sulla corrispondenza tra legge e giustizia, ovvero tra le leggi e i loro inevitabili riferimenti morali.
Il fatto che nelle nostre attuali società liberal-democratiche non esista un accordo generale sul contenuto da dare ai nostri "valori" (progresso, scienza, libertà, ecc.) non ci esime dalla necessità di riconoscere che la politica non sfugge ai problemi connessi alla faticosa ricerca del consenso sociale anche su questioni tipicamente etiche, come quelle legate all'applicazione delle biotecnologie e dell'ingegneria genetica. L'accresciuto potere di manipolazione tecnica della vita individuale e collettiva apre altrettante questioni etiche e politiche; e molte questioni politiche del nostro tempo coincidono con le nuove questioni etiche.
I sostenitori di una visione agnostica della politica - tra i quali Ostellino intende collocarsi - agitano il timore che le sfide contemporanee possano alimentare il ritorno (di chi?) ad una sorta di Stato etico, ma forse non si avvedono che anche l'idea di stato agnostico può rappresentare la versione contemporanea di una medesima idea di stato: decisore ultimo di ciò che è bene e di ciò che è male per la generalità dei suoi cittadini.
Le decisioni a maggioranza sono nella maggior parte dei casi la via più ragionevole per giungere a soluzioni comuni, ma l'opinione della maggioranza non può essere il fondamento ultimo: ci sono valori - anche di natura politica - che nessuna maggioranza ha il diritto di abrogare, se non a prezzo di rinnegare i fondamenti della convivenza civile. Non è un caso che nei sistemi liberal-democratici i diritti fondamentali delle persone siano messi al riparo dai mutevoli umori delle maggioranze e che analogo trattamento sia riservato al riconoscimento del diritto di espressione delle minoranze.