«Non c’è amore più grande...»
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Si chiama Veronica anche lei, come la mamma di Loris Andrea. La Veronica a cui mi riferisco è mamma di Alice, 5 anni, e di Matilde, che ha compiuto un anno a novembre.
Ma nel minestrone sempre più indigesto dei nostri palinsesti non c’è (stato) spazio per lei. Un accenno in qualche telegiornale, e via. Notizia archiviata. Non fa audience come l’altra, quella che solletica i nostri istinti peggiori.
E allora la racconto io, la sua storia.
Veronica Giazzon, per tanti anni infermiera all’ospedale ca’ Foncello di Treviso, è morta sabato pomeriggio a 36 anni. Si era sposata nel 2007 e nel 2013, mentre era in attesa della seconda figlia, le è stata diagnosticata una forma di leucemia molto seria. Un’infermiera sa bene quanto è aggressiva la leucemia, ma aveva chiesto che si facesse il possibile per far nascere sua figlia; solo dopo avrebbe affrontato le cure. Matilde, la figlioletta, è nata prematura al settimo mese e dopo il parto la mamma si è sottoposta ad un primo e poi a un secondo trapianto, grazie alla donazione del fratello Davide. Foto bellissime ritraggono la famiglia il 15 novembre, alla festa di battesimo di Matilde. Accanto, il marito Federico e la primogenita Alice.
Veronica Panariello e Veronica Giazzon. Due madri e questa omonimia che non può non far riflettere. Ci ricorda che il cuore è un guazzabuglio e che dentro ogni essere umano c’è il bene ma c’è anche il male.
Ma allo sciacallaggio mediatico, assetato di gossip e di nera, frega niente andare al cuore del cuore delle questioni, e “peccato originale” è roba che non si può più nominare, specie da quando l’ateologo Scalfari ha detto che “il peccato è stato abolito” e i suoi discepoli gli hanno anche creduto.
Pure oggi, nei contenitori pomeridiani che frullano notizie per addormentare i cervelli, in tivù lo spazio è stato dato al voyeurismo e all’“altra” Veronica. Così, come davanti a una fiction ci crediamo tutti Sherlock Holmes. La gente si divide tra innocentisti e colpevolisti e al bar finalmente si può parlare di qualcosa che non siano lo schifo della politica, la crisi, le tasse. E poi ci sentiamo tutti più buoni.
Come può un adulto, come può una madre – fosse proprio lei l’assassina – fare fuori suo figlio, che è carne della sua carne? Ma l’hai visto che visetto, quel bimbo? E com’era contento davanti alla torta di compleanno?...
Non vuole andare, la tivù, fino in fondo.
Ci scandalizza (e guai se non fosse così!) quando a morire ammazzato è un bambino dell’età di Loris Andrea. Non ci si chiede come può, una madre, far fuori suo figlio, carne della propria carne, quando ancora è nel grembo. E non ho visto servizi sulle madri-a-gettone: incubatrici a pagamento. Donne povere, povere donne, che affittano l’utero e poi vendono il figlio, per soddisfare i desideri egoistici di coppie che pagano bene.
E non c’è spazio, in tivù, per la storia di questa Veronica.
Nell’epoca dell’autodeterminazione questa scelta liberamente assunta magari ci commuove qualche minuto, ma subito la rimuoviamo. Al pensiero unico piacciono di più le donne che si autodeterminano e al figlio che c’è dicono no perché finalmente sono cresciute in consapevolezza: anni di femminismo le hanno sessualmente “liberate”, sono capaci di regolare la fecondità, e quando non va dritta come vorrebbero, quel figlio finisce rifiuto tra i rifiuti, ché tanto – Chiara Lalli docet – al massimo “ammazzi qualcosa, non qualcuno”.
Autodeterminarsi piace quando è mettere sé al primo posto. E infatti è considerato egoismo, dal mainstream femminista, lasciare “scientemente” vedovo il marito, orfani i figli, se si vive come è vissuta Gianna Beretta Molla o Chiara Corbella, o questa mamma di Mogliano Veneto, che, tra parentesi, mica erano aspiranti suicide!
E così questa Veronica sarà ricordata dai suoi familiari, i suoi amici, i colleghi di lavoro, il suo paese, ma non aspettatevi che questa storia di vita trovi nei media lo stesso spazio, la stessa eco dell’altra storia: quella di morte.
Il tritacarne postmoderno non è interessato al bene, al bello, al vero. Non è interessato alla vita. Solo all’audience. A quel che fruttano le pubblicità tra gli sfrucugliamenti dal retrogusto sanguinolento e le zoomate sul dolore/orrore di parenti-amici-conoscenti. E del piccolo Loris, dei bambini – ormai si è capito – frega niente a nessuno.
Raccontiamola, invece, questa storia di amore accaduta in provincia di Treviso.
La Veronica ha asciugato il volto di Cristo nella salita al Calvario. Ha conosciuto la Croce. Ha incontrato il più bello dei figli dell’Uomo.
Veronica Giazzon ci ricorda che “non esiste amore più grande di chi dona la vita”. Questo mondo non lo vuole sentire. Ma contra facta non valet argumentum. E’ accaduto. Continua ad accadere. Segno che la morte non ha l’ultima parola.