Napoli: la prima emergenza è l’educazione
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Le drammatiche notizie provenienti dalla città partenopea hanno mobilitato politici, opinionisti e uomini di cultura in analisi, diagnosi e drastiche ancorché tardive proposte di interventi risolutori. Sarebbe negare o nascondere l'intrico dei problemi in campo, inveterati e quasi incancreniti, l'evitare di affrontare i nodi della legalità, della presenza delle Istituzioni sul territorio, della sicurezza quotidiana dei cittadini di Napoli. Altre e diverse voci in verità si sono levate, e come sempre la scuola è stata chiamata in causa, come possibile agente di cambiamento. Si è parlato di "scuola aperta", di apertura a tempo pieno delle aule scolastiche come spazio alternativo di cultura. Del resto nei carteggi della Commissione parlamentare sulla criminalità organizzata, si è affermato con preoccupazione che la camorra è già una scuola parallela per nuovi piccoli adepti, quasi "bambini-soldato" di questa guerra per il controllo illegale del territorio. Tuttavia siamo alle solite: la scuola diviene il serbatoio-contenitore delle problematiche di emergenza della società (dalle tossicodipendenze all'educazione stradale) mentre attraversa essa stessa una gravissima crisi di abbandono, incuria e incapacità quasi insormontabile di assolvere il proprio compito.
"La fragilità della consistenza delle persone del nostro tempo sta nella mancanza di ragioni vere del vivere. E senza ragioni uno non consiste, il suo 'io' è inevitabilmente in balia del Potere culturale, sociale ed economico ed anche politico, cioè del più forte. Ma le ragioni sono date da una seria educazione, che sappia introdurre il discepolo, figlio o alunno, alla realtà totale, con una ipotesi di lavoro e con un metodo": questa frase, posta come introduzione ad un Corso sul "Rischio educativo", illumina su quella che è la vera posta in gioco.
Che sia un problema di qualità dell'esperienza scolastica, e non di puro e semplice apprendimento scolastico della legalità, lo ha chiarito bene il nostro amico prof. Gianni Mereghetti, in una lettera aperta sulle direttive del Ministro della pubblica istruzione, on. G. Fioroni:
"...dopo aver smantellato pezzo per pezzo la riforma Moratti il ministro Fioroni ha varato la sua riforma. Lo ha fatto in occasione dell'anniversario della morte di Francesco Fortugno, firmando la direttiva "Linee di indirizzo sulla cittadinanza democratica e legalità", una direttiva che fa dell'educazione alla legalità il principio cardine della vita della scuola. Infatti in forza di queste linee di indirizzo la legalità deve diventare "una pratica diffusa nella comunità scolastica..."...se la legalità è senza ombra di dubbio un fattore della vita, ed è giusto che a scuola abbia il suo spazio, fino ad essere un contenuto di insegnamento, non è lei che risponde alla domanda "ma io chi sono?" con cui ogni mattina studenti e studentesse entrano in classe. E' questa domanda e coloro che la porteranno a far tornare la legalità al suo posto, quello di garantire ad ognuno, studente, genitore e insegnante, l'avventura di educare e di essere educato, un'avventura che si fonda sulla libertà!"
In un film di alcuni anni fa, ambientato proprio a Napoli, "Io speriamo che me la cavo", si assisteva ad una scena molto eloquente: il maestro che si dedicava al recupero dei bambini evasori dell'obbligo scolastico, impersonato da Paolo Villaggio, veniva interrogato dal dirigente scolastico che gli chiedeva se per caso non facesse parte di Comunione e Liberazione. Al che il primo rispondeva scandalizzato e quasi inorridito che se ne guardava bene. Ecco, è proprio questa incapacità di individuare gli agenti reali del cambiamento profondo (testimoniato, quest'ultimo, anche da due articoli di "Avvenire" del 2 novembre, in cui si descrive il Centro di solidarietà del Quartiere Sanità di Napoli, con l'iniziativa sorprendente di un imprenditore brianzolo di creare in loco una serie di attività con tanto di marchio-DOC) che ostacola una possibilità di vita nuova per tutti. Quando la Chiesa, esperta di umanità, addita i Santi come uomini veri, non ci proietta in un cielo dipinto a nuvole rosa, ma ci richiama con realismo a quell'esperienza vera dell'umano, che sola può dare frutti duraturi anche in questa vita.