Minareti e libertà religiosa: apriamo un dibattito
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Il recente esito del referendum svizzero sui minareti islamici ha suscitato come prevedibile una serie di reazioni di vario segno.
Da una parte coloro che, richiamandosi al principio della libertà di culto, vedono come pericolosa la risposta popolare al quesito, anche perché darebbe esca al fondamentalismo e all’estremismo.
Dall’altra coloro che fanno notare la crescente insofferenza europea verso la sempre più massiccia (e non sempre pacifica) presenza islamica in Europa, foriera di incerti futuri in cui parole come “sharia”, “jihad” e “dhimmi” sarebbero costrette a diventare famigliari in un Occidente sempre più disorientato.
Su tutti gli argomenti, due si impongono per la loro evidenza.
In primo luogo, non è possibile dare del “popolo bue” a una maggioranza di persone che esprimono un sentire comune ormai diffuso (basterebbe prestare orecchio, nel nostro piccolo, alle roventi polemiche sulla costruzione di una moschea a Sesto San Giovanni). Se il popolo non è educato, occorre chiedersi chi lo deve educare, chi lo sta diseducando e come e perché.
Kant una volta diceva: «Io, per parte mia, … affermo che ogni volta che una disputa è infuriata per qualche tempo… il problema che stava alla sua base non era mai un problema di pure e semplici parole, ma un autentico problema di fronte a cose»: occorre chiedersi sulla base di quali fatti, sperimentati quotidianamente, un popolo reagisce a certe questioni.
In secondo luogo, se un principio come quello della libertà religiosa è sacrosanto, è anche vero che deve essere applicato sempre e dovunque, secondo il principio della indivisibilità dei diritti [Benedetto XVI, intervenendo il 18 aprile del 2008 di fronte all’assemblea dell’Onu, proprio a proposito della Dichiarazione ha rilevato come “il documento fu il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio di porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società, e di considerare la persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza. I diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana. La vita della comunità, a livello sia interno che internazionale, mostra chiaramente come il rispetto dei diritti e le garanzie che ne conseguono siano misure del bene comune… Il merito della Dichiarazione Universale è di aver permesso a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali di convergere attorno ad un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti”]. In questo senso la reciprocità non è una ripicca o una pretesa, ma una normale giusta applicazione di un principio. Chi viola la libertà religiosa altrui non ha le carte in regola per lamentare razzismi e xenofobie. Si potrebbe obiettare che comunque la nostra tradizione religiosa e culturale è diversa, e deve essere seguita. Ma risuona ancora nelle orecchie quella terribile frase che anni fa un Vescovo tunisino riportava come allarme: “Vi conquisteremo con le vostre leggi, e vi imporremo le nostre”. Si apra un dibattito, ci si interroghi ovunque su questa libertà religiosa e sulla sua applicazione concreta.
Perché ciò che è stato chiesto come diritto, sia riconosciuto da tutti come valore.