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"La scelta radicale di Cristo"

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
"E non vi è in nessun altro salvezza. Non esiste infatti sotto il cielo altro nome dato agli uomini per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvi"
(Atti 4,12)

"Per non equivocare sul senso di quanto, nel 1986, Giovanni Paolo II volle realizzare, e che con una sua stessa espressione, si vuole qualificare come "spirito di Assisi", è importante non dimenticare l'attenzione che allora fu posta perché l'incontro interreligioso di preghiera non si prestasse ad interpretazioni sincretistiche, fondate su una concezione relativistica. Proprio per questo, fin dalle prime battute dichiarò: "Il fatto che noi siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercar un consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede. Né significa che le religioni possono riconciliarsi sul piano di un comune impegno in un progetto terreno che le sorpasserebbe tutte. E neppure è una concessione al relativismo nelle credenze religiose…"…La testimonianza che egli [San Francesco] rese nel suo tempo ne fa un naturale punto di riferimento per quanti anche oggi coltivano l'ideale della pace, del rispetto della natura, del dialogo tra le persone, tra le religioni e le culture. E' tuttavia importante ricordare, se non si vuole tradire il suo messaggio, che fu la scelta radicale di Cristo a fornirgli la chiave di comprensione della fraternità a cui tutti gli uomini sono chiamati, e a cui anche le creature inanimate - da "fratello sole" a "sorella luna" - in qualche modo partecipano" (Messaggio di Benedetto XVI del 2 settembre 2006).
Per Benedetto XVI, come ha indicato egli stesso in agosto in una intervista a un gruppo di giornalisti tedeschi, l'impegno fondamentale della Chiesa oggi, in connubio tra fede e ragione, è aiutare a "riscoprire Dio e non un dio qualsiasi, ma il Dio con un volto umano, poiché quando vediamo Gesù Cristo vediamo Dio. E a partire da questo dobbiamo trovare le vie per incontrarci a vicenda nella famiglia, fra le generazioni e poi fra le culture e i popoli, e le vie per la riconciliazione e la convivenza pacifica in questo mondo. Le vie che conducono verso il futuro non le troviamo se non riceviamo, per così dire, luce dall'alto".

Il Concilio Vaticano II ha posto in evidenza - come ricordano in un'Istruzione (pubblicata il 30 marzo 2006) i Vescovi spagnoli (dal titolo: "Teologia e secolarizzazione in Spagna") - gli elementi specifici del compimento della rivelazione, intesa come manifestazione che Dio fa di se stesso all'uomo. E' il risultato della libera e assoluta iniziativa di Dio. Il suo oggetto sono Dio stesso e i propositi della sua volontà; Dio cioè non ci fa conoscere semplicemente qualche cosa, bensì se stesso, come unico Dio vivente, Padre, Figlio, Spirito Santo, in Gesù Cristo, suo Figlio. Le finalità della rivelazione sono la comunione e la partecipazione di vita con il Padre, rese possibili mediante Gesù Cristo per opera dello Spirito Santo che ci fa figli nel Figlio. La pienezza della rivelazione avviene in Gesù Cristo, cosicché conoscere Cristo significa conoscere la Verità, cioè Dio: "Chi ha visto me ha visto il Padre" (Gv 14,9). Di conseguenza, la concezione cattolica della rivelazione sottolinea tanto il suo carattere gratuito e radicalmente nuovo, quanto il suo carattere completo e definitivo (Eb 1,1-2). Dalla comprensione corretta della rivelazione del Figlio dipende tutto l'edificio della fede che professiamo e celebriamo, ciò che viviamo e preghiamo, secondo il Catechismo della chiesa cattolica.
Dopo la parte positiva, i Vescovi spagnoli richiamano modi di argomentare incompatibili con la fede della Chiesa, come ad esempio considerare la rivelazione come una mera percezione soggettiva per la quale "ci si rende conto del Dio" che ci abita e che tende a manifestarsi a noi. Anche quando certi autori usano un linguaggio che apparentemente si avvicina a quello ecclesiale, si allontano tuttavia dal sentire della Chiesa. E' necessario riaffermare che la rivelazione presume una novità, perché fa parte del disegno di Dio che guarda con benevolenza i suoi figli di adozione. Per questo è sbagliato intendere la rivelazione come lo sviluppo immanente della religiosità dei popoli e considerare che tutte le religioni sono "rivelate", in conformità al grado di progresso raggiunto nella loro storia, e in questo senso vere e salvifiche. La Chiesa riconosce, per disposizione di Dio, quanto vi è di vero e di santo nelle religioni non cristiane. Riconosce inoltre che quanto lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e nelle religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica, poiché la sua fonte ultima è Dio. Ne consegue che si può legittimamente sostenere che, mediante gli elementi di verità e santità contenuti nelle altre religioni, lo Spirito Santo operi la salvezza nei non cristiani; questo non significa, tuttavia, che le altre religioni possano essere considerate, come tali, vie di salvezza, anche perché in esse sono presenti lacune, insufficienze ed errori, che riguardano le verità fondamentali su Dio, sull'uomo e sul mondo.
La dottrina cattolica, ricordano sempre i Vescovi spagnoli, sostiene che la rivelazione non può essere equiparata a quelle che alcuni chiamano "rivelazioni" di altre religioni. Tale equiparazione non tiene conto del fatto che "la profonda verità, sia su Dio sia sulla salvezza dell'uomo, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi in Cristo, il quale nello stesso tempo è il mediatore e la pienezza dell'intera rivelazione" (Dei Verbum 2; Dominus Iesus 5). Gesù Cristo, il Figlio eterno del Padre fatto uomo nel seno purissimo della Vergine Maria per opera e grazia dello Spirito Santo, è la parola definitiva di Dio all'umanità. In Cristo si dà la piena e completa rivelazione della missione salvifica di Dio. Pretendere che le "rivelazioni" di altre religioni siano equivalenti e complementari alla rivelazione di Gesù Cristo significa negare la verità stessa dell'incarnazione e della redenzione, poiché Egli è colui che mediante il suo amore smisurato si fece quello che noi siamo per renderci perfetti come la sua perfezione, come dice Ireneo.

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