La nostra parola iniziale si chiama bellezza...
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

Mi è capitato di rileggere con attenzione l’enciclica di Giovanni Paolo II Evangelium vitae, e questo riferimento al Vaticano II mi ha costretto a riflettere: «Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l’integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, le costrizioni psicologiche; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili: tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore». (Gaudium et spes, 27)
Come è possibile che – tra questi delitti contro la dignità dell’uomo così drammaticamente evidenziati dal documento conciliare – alcuni siano ora ritenuti un segno di libertà, e non suscitino più quell’orrore e quello sgomento che meriterebbero? Scorrendo qua e là le pagine di tanti quotidiani, di tanti siti internet, ci si accorge che qui sta la grande questione, che è la questione della ragione e del bene. Solo una ragione capace di affermare il suo orientamento alla verità, e una libertà concepita non come auto-affermazione, ma come energia positiva per affermare il bene, sono l’antidoto a questo degrado umiliante dell’uomo.
L’anno che ci attende sia vissuto – e questo vuole essere il mio augurio – come ricerca e affermazione di quella ragionevolezza che nasce dalla fede, cioè dal riconoscimento di Gesù Cristo come realtà presente, come fattore indiscutibile della storia, come un evento che si può toccare, ascoltare, con cui si possono (e si devono) fare i conti nella vita.
Benedetto XVI ha parlato a Verona di una «fede amica della ragione», mostrando come questa allarghi, non mortifichi, gli spazi della razionalità.
Di questo è testimone in particolare il suo messaggio per la Pace, che spero convinca i più al compito irrinunciabile dell’essere uomini.
Non possiamo vivere nella logica del «tanto peggio, tanto meglio», perché questa società sembra al capolinea. Non possiamo tollerare che personaggi pubblici, in veste di sacerdoti, dicano che è motivo di soddisfazione «fregare i preti e la Chiesa» (1) perché hanno dato la Comunione ad un bimbo di sette anni: questa mania di distruzione, questo disprezzo dei nostri valori, questa indifferenza verso una fede integra e fieramente testimoniata, sono una iattura della società. Segno di quella falsa libertà del decadentismo, che non potrà mai fare rinascere un popolo capace di generare spazi autentici e nuovi di umanità.
Ho vissuto in questi giorni una bellissima esperienza con più di 150 ragazzi delle Medie, e ne ho ricavato la certezza che – se trovano proposte affascinanti che vanno diritte al cuore – sono capaci di grandi cose (e quanto dice San Giovanni nella sua Epistola [Giovani, scrivo a voi perché siete forti] non è né sogno né illusione, ma descrizione di ciò che può il cuore dell’uomo, del giovane, quando è educato da uomini veri).
NOTE
1. Scrive Andrea Tornielli su Il Giornale: Si è sentito felice «fregando la Chiesa, i preti e tutti quanti». Don Antonio Mazzi, il vulcanico sacerdote fondatore delle comunità Exodus, in prima fila nella lotta alla tossicodipendenza e del recupero degli emarginati, è un ospite fisso di dibattiti televisivi.
Era in diretta Tv su RaiUno anche la mattina di Natale, durante la trasmissione «Mattino in famiglia», quando i conduttori, partendo da una recente inchiesta dell’Economist sulla felicità, hanno domandato al sacerdote: «E tu, don Mazzi, quand’è l’ultima volta che ti sei sentito felice?». Questa è stata la sua risposta: «Una settimana fa è venuto da me un bambino di sette anni, che non aveva ancora fatto la prima comunione e durante la messa mi ha detto: mi dai la comunione? Io gliel’ho data, fregando così la Chiesa, i preti e tutti quanti».
«Hai fregato anche il bambino...» è stato il commento del sociologo Domenico De Masi, presente tra gli ospiti, mentre già era partita una base musicale che concludeva quella parte del programma.