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La Chiesa non fa discorsi politici, quello della famiglia è un discorso di dottrina

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«Un’attenzione prioritaria merita … la famiglia, che mostra segni di cedimento sotto le pressioni di lobbies capaci di incidere negativamente sui processi legislativi. Divorzi e unioni libere sono in aumento, mentre l’adulterio è guardato con ingiustificabile tolleranza. Occorre ribadire che il matrimonio e la famiglia hanno il loro fondamento nel nucleo più intimo della verità sull’uomo e sul suo destino; solo sulla roccia dell’amore coniugale, fedele e stabile, tra un uomo e una donna si può edificare una comunità degna dell’essere umano».

Il ministro delle politiche per la famiglia Rosy Bindi, a Verona lunedì 19 febbraio per un Convegno su "Maternità e paternità condivise" ha fatto un richiamo alla Chiesa: "Dalla Chiesa mi aspetto tanta pastorale, evangelizzazione e opera educativa perché tutti, ma in particolare i giovani, comprendano il valore del matrimonio e della famiglia che deve essere più promossa che difesa".
Questo modo di valutare è coerente con una concezione della democrazia per la quale non esisterebbero "valori non negoziabili in ambito politico" e quindi per la coscienza dei cattolici democratici. Ed è proprio il criterio di valutazione di tutti quei cattolici che - pur muovendo da un giudizio etico-morale conforme al Magistero - teorizzano la necessità di impegnarsi politicamente esclusivamente sul piano culturale, delle idee, del compromesso su ogni valore, senza alcun riferimento alla propria appartenenza ecclesiale, alla dottrina di fede, pur argomentata razionalmente alla luce della legge morale naturale, dicibile e comprensibile da tutti. E' la cosiddetta "scelta religiosa" o "opzione spirituale", secondo la quale le leggi cambieranno da sole quando, con il nostro apostolato, avremo cambiato il cuore della gente. Che questo sia prioritario nella missione della Chiesa è evidente, ma non esclusivo, non riducibile al privato. Non la pensava così Giovanni Paolo II che nell'Evangelium vitae al n. 90 dice a proposito del valore della vita: "Se le leggi non sono l'unico strumento per difendere la vita umana, esse però svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume… Per questo rinnovo con forza il mio appello a tutti i politici perché non promulghino leggi che, misconoscendo la dignità della persona, minano alla radice la stessa convivenza civile". E non la pensa così Benedetto XVI sui "valori non negoziabili", non determinabili democraticamente perché esigiti dalla natura umana, dalla legge morale naturale, come la vita, la natura del matrimonio e della famiglia, la libertà di educazione dei genitori. Con il disegno di legge sui "Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi", il pericolo maggiore è anche per il matrimonio civile.
Ed ecco perché nell'incontro del 19 febbraio tra Prodi e il Segretario di Stato, quest'ultimo ha ricordato: "Presidente, la Chiesa non fa discorsi politici, guarda ai contenuti. Quello della famiglia è un problema di dottrina", quindi non negoziabile.
La democrazia, che deve rimanere strumento e non fine, tende a misurare il consenso e i numeri eleggono gli uomini. Ma non possono decretare a base di maggioranza la verità, il bene, la vera democrazia di un fatto. E contro questo errore, anche a costo di divenire minoranza, è precisa la "Evangelium vitae":
"In ogni caso, nella cultura democratica del nostro tempo si è largamente diffusa l'opinione secondo la quale l'ordinamento giuridico di una società dovrebbe limitarsi a registrare e recepire le convinzioni della maggioranza e, pertanto, dovrebbe costruirsi solo su quanto la maggioranza stessa riconosce e vive come morale. Se poi si ritiene addirittura che una verità comune e oggettiva sia di fatto inaccessibile, il rispetto della libertà dei cittadini - che in un regime democratico sono ritenuti i veri sovrani -esigerebbe che, a livello legislativo, si riconosca l'autonomia delle singole coscienze e quindi, nello stabilire quelle norme che in ogni caso sono necessarie alla convivenza sociale, ci si adegui esclusivamente alla volontà della maggioranza, qualunque essa sia. In tal modo, ogni politico, nella sua azione, dovrebbe separare nettamente l'ambito della coscienza privata da quello del comportamento pubblico" (60).
"Comune radice di tutte queste tendenze è il relativismo etico che contraddistingue tanta parte della cultura contemporanea…" (70).
Non è possibile ignorare che viviamo in una società con un alto tasso di secolarizzazione. Non si può non prendere atto che una legge che prescrive più diritti che doveri è frutto di una cultura radicale e libertaria, che scambia i diritti dell'uomo come l'uomo dei diritti; favorisce l'eclissi delle differenze tra naturale e artificiale, uomo e donna, bene e male; scambia il desiderio con il bisogno ed esige che questo venga garantito per legge. Certo i cristiani devono ricorrere alla loro tradizione di vita, di pensiero e di azione per accreditare culturalmente il valore antropologico della famiglia come "società naturale fondata sul matrimonio", di cui anche la nostra Costituzione riconosce i legittimi diritti. Ma non possono non agire anche pubblicamente, politicamente in difesa perché la società non abbia a cadere in quel positivismo giuridico descritto da un illustre filosofo del diritto del '900 come Hans Kelsen: poteva concludere senza imbarazzo che l'esito del processo a Gesù è da considerarsi un perfetto prodotto della democrazia deformata da strumento a fine, perché Pilato fece la cosa giusta - nell'incertezza su cosa fosse vero - ad affidare all'arbitrio della maggioranza la scelta fra Barabba e nostro Signore. Ben sapendo - aggiunge Kelsen - che Barabba era effettivamente un malfattore. Anche tra i laici aumentano coloro che sono preoccupati della democrazia formale di Hans Kelsen e si uniscono ai cattolici nell'onesta ricerca, come se Dio esistesse, di fondamenti e scopi perenni della democrazia.

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