La Chiesa diventi maestra di fede
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Il recente sondaggio dell'Eurispes, avente come oggetto i cattolici in Italia, ha scatenato il solito coro di reazioni sfacciatamente esultanti nei mass media laicisti: a quanto pare il cosiddetto popolo di Dio è solo un resto evanescente, mentre la maggioranza dei "cattolici" fa orecchie da mercante alle parole ed alle indicazioni delle gerarchie ecclesiastiche. Una prima osservazione si impone: la lettura dei dati è stata spudoratamente scorretta. Non si possono confondere "battezzati" o "sedicenti cattolici" con "fedeli" e "praticanti": se i dati vengono comparati con quelli della frequenza alla Messa domenicale, che è circa del 32%, si noterà che i fedeli sono straordinariamente attenti al Magistero dei vescovi; anzi su taluni temi, compreso l'aborto, il consenso va molto al di là dello zoccolo duro dei credenti. Ma le riflessioni possono anche andare oltre, come suggerisce un articolo di Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro, pubblicato sul "Resto del Carlino" di giovedì 19 gennaio. La chiave di lettura sta in quella frase di don Giussani che fa da leit motiv al rilancio del "Rischio educativo" in Italia: "Se ci fosse un'educazione del popolo, tutti starebbero meglio".
Ecco che cosa dice Mons. Negri:
"I dati che implicano una massiccia presenza del secolarismo e della scristianizzazione nella società italiana sono evidenti e innegabili. Mi pare molto pertinente l'osservazione dell'amico Franco Cardini che questi fenomeni abbiano aggredito la «mens» del nostro popolo: cioè la mentalità pubblica in quanto formata e progressivamente condizionata dai mezzi della comunicazione sociale. Le forme più diffuse della scristianizzazione si esprimono in quell'ampio relativismo etico, su cui è intervenuto così spesso Benedetto XVI; relativismo etico che sostiene molti fenomeni di irresponsabilità personale ed anche quasi di isterismo collettivo (desideri individuali che vogliono diventare diritti sociali). Nichilismo «soffice» e consumismo come indicava già tanti anni fa Augusto Del Noce. Sembra essersi conclusa quella omologazione in senso individualistico e di massa, che deprecava già tanti anni fa Pier Paolo Pasolini. Ma - e questo mi sembra essere il contributo specifico del mio intervento - c'è un'altra mens che soggiace a questa prima e che, in qualche modo convive con essa, in modo dialettico ed addirittura contraddittorio. E' la mentalità del popolo che non ha ancora rinunciato ad incontrare Dio. L'ho chiamato tante volte il popolo della ragione. Il mio maestro don Giussani ci insegnava che quando la ragione umana, in cui si esprime il cuore profondo dell'uomo, si misura con la realtà è già «oltre» l'immediatezza del quotidiano, sulla strada che porta al Mistero. Un popolo così vive almeno quella «inquietudine creativa», di cui ha parlato così spesso Giovanni Paolo II e che, comunque, rende «grande» la vita. Ma c'è anche un popolo che non vuole rinunziare alla sua fede cattolica: che sente, magari istintivamente, che la fede è la salvezza della vita, che genera criteri realistici di giudizio e che soprattutto forma il cuore alla grande ed esaltante avventura dell'amore. «Perché Dio è carità». E' un popolo che deve essere educato a prendere coscienza della originalità della propria fede ed a svolgerne tutte le implicazioni culturali, etiche e sociali. Nel mio servizio episcopale sono sfidato ogni giorno da questa domanda di educazione. Prima che di occuparci di altro o di dire altre parole, dobbiamo rispondere con la testimonianza della vita e con la chiarezza del magistero a questa domanda di educazione: ed aiutare la nascita di un popolo nuovo che «mangia e beve, veglia e dorme, vive e muore, non più per se stesso ma per il Signore». Il beato Giovanni XXIII ci ha insegnato che se la Chiesa non diventa Maestra di fede e di umanità rischia di non essere sentita più neppure come Madre."