In nome dell’umanità
- Curatore:
- Fonte:
Qui l'originale, che potete sottoscrivere

Il 7 marzo 1936, Hitler fece il suo primo lancio dei dadi e ordinò alle truppe tedesche di entrare nella Renania smilitarizzata. Un’azione militare terrestre concertata tra la Francia e la Gran Bretagna, per far rispettare il trattato, avrebbe dovuto impedire molte altre tragedie successive, anche in Germania. Ma la disunione tra gli alleati, la crisi economica e la mancanza di strategia ebbero la meglio nei confronti di alcuni politici francesi lungimiranti. Il prestigio di Hitler ne uscì decuplicato, soprattutto tra le sue truppe, galvanizzate dai suoi successi e dalla preveggenza agghiacciante del loro capo, interpretata come sovrumana, mentre lo scetticismo era molto maggioritario fino ai vertici del suo stato maggiore.
Nel 2014, in Iraq, Paese confinante con la Turchia, confinante - quest’ultima - con l’Unione europea, permetteremo allo Stato islamico del Levante, di vantarsi delle sue atrocità e di ubriacarsi del suo successo, garantendo, in tal modo, la continuità del reclutamento di brigate nere, fino anche nel cuore delle nostre città?
La situazione è di tale gravità che voci tradizionalmente ostili al ricorso alle armi fanno appello alla loro forza . Nel 1937, Pio XI aveva espresso “bruciante preoccupazione” (Mit brennender Sorge). “È con il cuore carico e angosciato “ che Papa Francesco ha scritto alle Nazioni Unite il 13 agosto scorso. Come non essere colpiti dal confronto fra questi testi e la pratica consistente nel marchiare edifici con un segno distintivo ed espellerne gli abitanti, per non parlare dei massacri?
La Francia è certamente una media potenza, colpita, come negli anni ’30, da una grave crisi economica e sociale. Ma quando si tratta di difendere la giustizia e la sopravvivenza di popolazioni millenarie, martirizzate alle nostre porte, la storia ha dimostrato che il nostro Paese è stato in grado di eccellere e di trovare il modo per mobilitare il meglio di sé e dei suoi partner .
La Francia può creare lo slancio che genererà il sostegno dei nostri concittadini e delle popolazioni irachene con le quali condividiamo legami speciali e che devono riprendere in mano la loro difesa e condurre vigorosamente il contro attacco.
Ne dipende anche la nostra sicurezza nazionale. Non possiamo lasciare stabilizzarsi alle nostre porte un “califfato”, che spinge fino al parossismo gli estremismi più oscuri dell’Islam. Non abbiamo dubbi che uno “Stato islamico”, così formato, in breve tempo possa diventare una base per colpire l’Europa. Non possiamo accontentarci di bombardamenti incerti o dei troppo distanti attacchi dei droni. Il caso della Libia ci ha dimostrato che è inefficace nel lungo periodo.
Siamo consapevoli della gravità della nostra richiesta, ma il folle aumento della potenza, in Iraq, dei nostri avversari, e la loro politica disinibita di terrore richiedono un intervento urgente di truppe di terra sotto il mandato delle Nazioni Unite. Con umiltà e perseveranza, convinciamo i nostri partner europei. Inoltre, rivolgiamoci ai nostri partner arabi, i cui leader politici e religiosi devono chiaramente denunciare questa situazione e la follia di questi “jihadisti” che deturpano e feriscono, invocando lo stesso Dio, la loro fede di musulmani che vivono la loro fede in pace.
Si tratta di un intervento a lungo termine, nel contatto ruvido della terra, che non possiamo sostenere da soli; ma il nostro dovere è quello di suscitarlo. Non è un caso che molte voci si sono alzate affinché la Francia si coinvolga.
I nostri politici hanno avuto la saggezza di denunciare l’infelice intervento di George Bush in Iraq e, in particolare, la gestione disastrosa del dopoguerra che ha rovinato, in modo duraturo, la fiducia negli Americani e nei Britannici nella regione. Ugualmente, nonostante i rischi, il Presidente della Repubblica ha avuto la saggezza di fare intervenire, tempestivamente e con successo, le truppe francesi in Mali, fiancheggiate dai Maliani e con l’assistenza del Ciad. Sappiamo intervenire nel rispetto delle popolazioni locali e con il loro concorso. Non dobbiamo temere di mobilitaci per l’Iraq.
La nostra voce particolare presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, le maglie della nostra rete diplomatica e la riconosciuta professionalità dei nostri militari siano messi al servizio di un’ampia coalizione volta a intervenire militarmente a terra e all’aiuto alla ricostruzione dell’Iraq, a fianco degli Iracheni.
Una vittoria collettiva è ora possibile senza dover mobilitare una controproducente dismisura di mezzi che non abbiamo. Questa vittoria avrà un impatto positivo sui Paesi confinanti, in particolare in Siria.
Agiamo prima che sia troppo tardi e che la situazione diventi incontrollabile.
(Traduzione a cura di don Pierre Laurent Cabantous)/p>
- Eliette Abecassis, écrivain;
- Valérie Boyer, député des Bouches-du-Rhône(UMP), co-président d’honneur du Comité de Soutien des Chrétiens d’Irak (CSCI);
- Rémi Brague, écrivain, philosophe, membre de l’Institut;
- Faraj-Benoît Camurat, président de Fraternité en Irak, co-fondateur de Sens Commun (UMP)
- Jean-Christophe Fromantin, Député-maire (UDI) de Neuilly-sur-Seine, président de Territoires en Mouvement;
- Erwan Le Morhedec (dit Koz), Avocat à la Cour
- Denis Payre, président de Nous Citoyens;
- François Pupponi, Député-maire (PS) de Sarcelles, co-président d’honneur du CSCI
- Dominique Reynié, Professeur de Sciences Politiques, Directeur général de la Fondation pour l’Innovation Politique
- Philippe de Roux, fondateur des Poissons Roses (PS)
- Antoni Yalap, président du CSCI