Il Natale e lo "sbirro"
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Cari amici,
quando i fogli del calendario arrivano agli sgoccioli, quando tutti si apprestano a festeggiare la fine dell'anno, è abitudine tirare le somme dei trecentosessanta giorni lasciati alle spalle. I quotidiani mettono in rilievo le notizie che hanno lasciato un segno e le tv ripropongo le immagini più incisive. Ognuno di noi, poi, ha nella realtà una privatissima scala delle notizie da salvare, da ritagliare e mettere nel cassetto. Fatti ed eventi sono spesso altro da noi. Ognuno vi assiste da spettatore, a volte ne subisce l'influsso, altre gioisce rivendicando un'appartenenza. Gli eventi che rimangono, quelli che segnano, però sono quelli che ci vedono protagonisti, attori in prima persona. Il più delle volte restano confinati nel giro stretto di posta personale, certamente non entrano nelle scalette dei Tg. In verità sono questi i fatti che meritano di essere custoditi nella mente e nel cuore. Faccio scorrere oggi le immagini dell'ultimo anno e mi accorgo che un verbo sovrasta tutti gli altri: conoscere. Ho conosciuto molte persone, visi e vissuti riemergono tra le mie pupille. Conoscere come farsi incontro. Senza alcun dubbio “Volti e Stupore” , il libro scritto con Suor Maria Gloria Riva, è stato un viatico eccezionale. Scrivere, quando non è posa intellettuale o semplice gorgoglio, permette di dar forza e voce alle parole, permette di instaurare un rapporto privilegiato con il tuo interlocutore. Suor Gloria è diventata così una sorella, Don Gabriele che ha creato tutti i presupposti per questa conoscenza, è diventato un fratello. Assieme abbiamo girato l'Italia, scoperto luoghi e persone, accarezzato mondi e abbracciato la realtà. Ho scoperto il calore del popolo del Meeting, la semplicità dei cittadini di Carpegna, la dotta amicizia della comunità ebraica di Livorno, la fratellanza degli amici di Pavia, e tante altri uomini e città. Ogni luogo è diventato un incontro, ogni città una scoperta. Ho convissuto, grazie ad una trasferta a Bari, con la quotidianità di un prete e di una suora. Mi sono ritrovato in macchina, io non credente, ad ascoltare la recitazione del rosario, e il canto in latino delle Litanie. In silenzio, ho riconosciuto in quelle parole la bellezza dell'essere umano. Ho preso atto di una realtà, che pur non appartenendomi, non posso disconoscere. Ho incontrato, conosciuto.
Conosciuto Magdi Allam, un uomo impegnato ostinatamente nella difesa dei valori umani. Un uomo diverso da me, diverso da Don Gabriele, ma con il quale abbiamo saldato una fratellanza a salvaguardia della sacralità della vita. E poi ho conosciuto da vicino uno “sbirro”. La definizione ha una sua origine etimologica ben precisa (dal latino birrum cioè casacca di color rosso) ma nel gergo comune è oramai ben nota l'accezione dispregiativa di questo termine. Sbirro, è nome che la malavita tutt'oggi utilizza per individuare la forza pubblica ed è tuttora vocabolo usato negli ambienti della sinistra movimentista per classificare carabinieri e polizia. Il commissario Luigi Calabresi fu lo sbirro per eccellenza degli anni 68-72, Mario Placanica quello del G8 di Genova sino ad arrivare all'ispettore di Polizia Filippo Raciti ucciso a Catania da un ultrà. Oggi alla lunga lista si aggiunge Luigi Spaccarotella, Agente della Polstrada coinvolto nell'uccisione di Gabriele Sandri, tifoso laziale. Per quanto siano cambiati i tempi, il clima sociale e quindi anche i protagonisti delle cronache del nostro paese, “sbirro” rimane il termine dispregiativo degli anni '70. L'avversione nei confronti delle forze dell'ordine è sopravvissuta alla fine delle ideologie e alla sconfitta delle utopie. In qualche maniera è entrata a far parte del bagaglio antropologico di quella che potremmo chiamare oggi sinistra-sinistra. Il disprezzo per la divisa è diventato il simbolo superstite di quelle possenti illusioni che pretendevano di rivoluzionare il mondo. Oggi quel disdegno è praticamente fuori contesto, non esistono più le giustificazioni degli anni di piombo, eppure la flebile sottocultura dell'odio è rimasta in vita. Non esistono più attenuanti di sorta e neppure motivazioni razionali. Confesso, che quel termine dispregiativo l'ho usato per anni in prima persona. “Sbirro” come nemico. Mi è capitato a Genova nel 2001, quando ai margini di quel disastroso incontro di massa mi sono ritrovato con un fumogeno tra i piedi senza neppure capire da dove arrivava e perché. Lo ho riutilizzato in seguito senza motivo e coscienza. Mi sono accorto oggi che non frequento più cortei di massa o adunate rosse, che quel termine è sopravvissuto anche alla mia Ragione, latente nel mio inconscio. Sopravvissuto sino a quando non ho conosciuto Adriano e i suoi colleghi, carabinieri addetti alla sicurezza di Magdi Allam. Ragazzi della mia stessa estrazione popolare, impegnati a garantire una voce libera per la libertà. Ho visto Adriano commuoversi al cospetto del racconto della mia storia familiare, della narrazione della mia infanzia con un padre comunista che ha vissuto per la sua famiglia, per la sacralità della vita e per la sicurezza dei propri cari. La sua stessa storia, le stesse emozioni. E quando Adriano mi racconta la sua storia, sono io a commuovermi e a capire la sua vita ed il suo impegno. “Alzarsi alla mattina” mi racconta “e pensare solo a sé stessi è un discorso, ma quando devi pensare alla sicurezza di un altro uomo accanto a te, è tutta un'altra cosa. Non devi fargli pesare le difficoltà, perché sarebbe scorretto e sbagliato, devi ragionare per la sua incolumità”. Adriano come me, ha avuto un maestro, suo padre, e come me ha dovuto affrontare difficoltà ed insicurezza. Ancora una volta mi accorgo che aveva ragione Pasolini: “Studenti, figli di papà, io sto con i poliziotti”. Perché i poliziotti sono figli di poveri. Grazie Pier Paolo, grazie Adriano. Grazie Don Gabriele, grazie Suor Gloria, grazie Magdi. Buon Natale a voi che di questo augurio non ne fate un vezzo modernista. Buon Natale.