I costruttori di soffitte
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«Una generazione può essere giudicata dallo stesso giudizio che essa dà della generazione precedente, un periodo storico dal suo stesso modo di considerare il periodo da cui è stato preceduto.
Una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa, anche se assume pose gladiatorie e smania per la grandezza. È il solito rapporto tra il grande uomo e il cameriere.
Fare il deserto per emergere e distinguersi.
[…] Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente.
Una soffitta su un pianterreno è meno soffitta di quella sul decimo o trentesimo piano? Una generazione che sa far solo soffitte si lamenta che i predecessori non abbiano già costruito palazzi di dieci o trenta piani. Dite di esser capaci di costruire cattedrali, ma non siete capaci che di costruire soffitte.» Gramsci, Quaderni.
Sto leggendo un bellissimo libro di Francesco Ventorino [Luigi Giussani, La virtù dell’amicizia], e mi sono imbattuto in questa citazione di Gramsci (che riporto come l’ho poi trovata in internet).
Di fronte a quello che sta accadendo, mi sembra un’affermazione di capitale importanza, perché stiamo assistendo alla stupida rinuncia al proprio passato, così che giustificheremmo soltanto «la nullità del presente».
In questi giorni col sito CulturaCattolica.it abbiamo documentato il livore (che sa usare in modo accattivante la menzogna) con cui si vorrebbe cancellare l’insegnamento della religione cattolica dalle scuole, per un malinteso senso di rispetto della libertà dei giovani. Quello che è invece evidente è che si costruirebbe un mondo senza memoria, in balìa dei potenti. Come dice lucidamente Gramsci: «Dite di esser capaci di costruire cattedrali, ma non siete capaci che di costruire soffitte.»
A noi non vanno le soffitte. Vogliamo costruire le cattedrali, che sono sempre state una casa per gli uomini, in cui credenti e non credenti hanno saputo trovare accoglienza. È il «diritto d’asilo» che ha reso possibile la vita dell’uomo. Non cediamo di fronte alle chimere di chi, per odio e spregio alla fede (spesso causati dalla superbia), vorrebbe un mondo fatto di sola materia, e di una ragione che non sa più elevarsi di fronte alla grandezza e alla dignità della vita.
Abbiamo imparato che ragione significa «coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori» e non possiamo riconoscerci in una accezione della ragione come misura che esclude il mistero, il diverso, ciò che supera i propri angusti schemi. Ci diventa sempre più insopportabile questa concezione ridotta, che, servendosi di slogan e grazie al potere e agli ingenti mezzi economici di cui dispone, vorrebbe cancellare con un colpo di spugna la realtà che non riesce ad accettare. E’ sciocco solo pensare di abdicare alla storia, e non siamo i soli a crederlo. «Ma la storia è quello che è; volerla rifare noi, a nostro senso voler vedere noi come un tema scolastico il gran tema dei secoli e iscrivervi sopra, con cipiglio di maestri, le correzioni e, peggio, cancellar d’un frego di penna le pagine che non ci gustano e, peggio ancora, castigare con la ferula della dialettica nostra e della nostra declamazione un popolo come uno scolaro, o anche tagliargli il capo di netto, quando è tutto vivo, perché non ha fatto come noi intendevamo che fosse il meglio o come noi avremmo voluto che facesse: tutto ciò è arbitrio o ginnastica d’ingegno, ma non è il vero, anzi è il contrario. La storia è quello che è.» [Giosuè Carducci, citato da Rocco Montano, Il superamento di Machiavelli]