«I care»: Ogni vita mi interessa
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Ci sono notizie raccapriccianti, non solo perché ricordano la violenza presente in tanta parte del mondo, nell’indifferenza dei più, ma anche perché mostrano la codardia di tanti, troppi mezzi di comunicazione e di tanta parte dell’opinione pubblica. Penso a quanto appreso oggi dalla newsletterdi Giulio Meotti «In Europa stiamo legalizzando barbarie e pedofilia - Ex ministro danese condannata al carcere per aver separato le coppie con le spose bambine. Il sistema cede alla sharia. Femministe e sinceri democratici, ci siete o ci fate?»
Ecco la notizia, che potrete trovare integrale sul sito del giornalista: «L’ex ministro dell’Immigrazione danese, Inger Stojberg, ieri è stata condannata a una pena di 60 giorni di carcere da un tribunale per aver ordinato la separazione delle coppie con un minorenne. Stojberg è accusata di aver violato la Convenzione europea ordinando la separazione di coppie di richiedenti asilo di cui almeno una aveva meno di 18 anni.
[…] L’Irish Times in una inchiesta ha titolato: “Non chiamatelo matrimonio infantile, ma pedofilia”. Si parla di Shakila Zareen, che oggi vive in Canada. “Metà della faccia di Shakila è stata spazzata via quando suo marito le ha sparato nel suo paese d'origine, l'Afghanistan. Era stata costretta a sposarlo all'età di 16 anni. ‘Mi picchiava e abusava di me ogni giorno. Un giorno l'ho denunciato alla polizia. Quando lo ha scoperto, mi ha sparato in faccia. Ho perso il bambino che stavo portando in grembo’”.
[…] Stojberg stava cercando di salvare ragazzine di 14 anni sposate a forza in Danimarca. Dagli immigrati in Occidente ci si dovrebbe aspettare il rispetto delle leggi occidentali che tutelano i diritti di tutti e quando non accade dovrebbe essere lo stato che protegge ragazze di 14,15 e 16 anni costrette a forza a sposarsi. Quando le donne occidentali si trovano vittime di relazioni violente sono protette e incoraggiate ad andarsene. Quando le immigrate si trovano in relazioni violente, comprese le spose bambine, si parla di “diversità”. Invece di proteggere queste vittime dai matrimoni precoci, la Danimarca ha scelto di punire Stojberg. La sua condanna dovrebbe diventare oggetto di discussione negli altri paesi europei. Picchetti di femministe danesi avrebbero dovuto animare le piazze di Copenaghen. Invece niente. Si manifesta e si fanno petizioni a Bruxelles se un paese europeo non vuole le nozze gay, ma si condanna nel silenzio generale un ministro che si è battuto contro le nozze forzate delle minorenni.»
Chissà se tra noi sorgerà un moto di difesa della dignità delle donne, contro l’abietto costume delle “spose bambine”, e di coloro che se ne prendono cura, e se nascerà una cultura di difesa della vita umana, sempre, in ogni istante e condizione.
Oh, se lasciassimo cadere le difese di quel «diritto di morte» che si chiama aborto, se ci impegnassimo a sostenere la libertà religiosa contro la persecuzione violenta dei cristiani nel mondo, se amassimo la nostra storia e non ce la facessimo scippare da quella vile cancel culture che esprime solo quell’odio di se stesso da parte dell’Occidente, quell’odio stigmatizzato da Papa Benedetto! Allora forse potremmo vedere rifiorire la vita e la gioia di vivere che è così radicata nel cuore dell’uomo! Quella gioia che sembra morire davanti alla tragedia di quelle morti in Sicilia causate certo dall’incuria dell’uomo, quella morte di Samuele, il bambino nel grembo della sua giovane mamma che aspettava di nascere il giorno dopo: «La storia, purtroppo, nasce da un evento tragico che non vorremmo mai raccontare. Stiamo parlando del crollo di numerose palazzine a Ravanusa, in Sicilia, a causa di una fuga di gas, che ha provocato finora almeno sette morti.
Sette, anzi: otto. A specificare questo dettaglio è stato il giornalista di Rai 2 Milo Infante, in apertura della trasmissione “Ore 14” di lunedì 13 dicembre. «Anche se per la legge italiana un bimbo in grembo, che sta per nascere, non è un soggetto giuridico - spiega il conduttore - credo sia giusto parlare di otto morti perché il cuore di ognuno di noi pensa a questo bambino», che doveva nascere domani, con un parto cesareo programmato all’ospedale San Giovanni Di Dio di Agrigento, dove la mamma Selene - anche lei, con il marito Giuseppe Carmina, morti nell’esplosione - era infermiera.»
Una volta ci appassionava il motto reso popolare da don Milani: «I care – mi interessa, mi impegno…». E la nostra storia ricorda l’impegno di accoglienza, nel rifiuto di ogni guerra, di tanti infelici e bisognosi. Noi ne possiamo ancora essere all’altezza!