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Guardare e vedere

Fonte:
CulturaCattolica.it

Siamo a Pieve di Cadore e ci sorprende un’indicazione: Museo dell’occhiale. Assecondiamo l’invito, sappiamo di essere nella città di Tiziano, ma ci lasciamo alle spalle la casa natale dell’artista, il Museo, persino la Pieve con le opere sue e della bottega, attratti da questa indicazione. La struttura architettonica non è delle migliori, ma appena varchiamo la soglia siamo confortati dalla presenza bella e accogliente della ragazza addetta alla biglietteria.
La storia dell’occhiale in realtà ci affascina. Tempo fa, commentando alcune opere concernenti l’apostolo Pietro siamo stati trascinati dentro la storia di questo insostituibile strumento che ha permesso a molti grandi pensatori, teologi e artisti della storia di continuare a produrre opere meravigliose a dispetto di una inarrestabile miopia. Gli occhiali divennero così l’attributo indispensabile dei sapienti e, soprattutto di Pietro e di altri apostoli per la loro sicura e sapiente interpretazione della Scrittura.
Una parete grigia, che imita le fumose pareti dei santuari in cui ardono instancabilmente ceri votivi, ci offre una panoramica di ex voto. Occhi in cera, ottone e argento, ci guardano curiosi restituendoci il magico momento in cui grazie all’intercessione di santa Lucia, o della Vergine Maria, il malcapitato non vedente tornava a guardare. Dove però non ha potuto la fede, ha potuto l’ingegno dell’uomo e in una seconda sezione ecco le prime timide lenti, una, in bella mostra grazie a una riproduzione, in mano a Giulio II. Campioni antichi del XIII secolo di lenti e vetri convessi usati per la lettura se ne possono vedere a decine dentro gli espositori. Ma ecco nella sala successiva sorriderci lieto il Cardinal Ugo di Provenza che Tommaso da Modena ha immortalato (quasi un secolo dopo) con il primo paio di occhiali della storia dell’arte. Da quel momento iniziò la corsa febbricitante allo strumento poderoso che ti faceva vedere.
Subito vicino ci sorprende san Pietro (dipinto da Konrad von Soest), che inforca con una mano l’occhiale a molla (noto come in Germania come nietbrille) e legge con fare sapiente il libro del Vangelo rassicurandoci della sua assoluta capacità di interpretazione.
Da qui il viaggio nel mondo dell’occhiale si dipana in direzioni diverse e affascinanti: i cannocchiali di tutte le fogge, gli occhialini da teatro, gli occhiali dei falciatori e dei fabbri, gli occhiali di osso, gli occhiali delle dive, quelli dei primi automobilisti. Resti sorpreso della varietà degli strumenti che accompagnano la scoperta e la nascita degli occhiali. Dai minuscoli ferri dell’oculista del XII secolo, alle mole, le trance e i forni che costituirono la base indispensabile delle prime fabbriche, come quella famosissima ancora oggi dei Lozza.
Terminata la visita, ci lasciamo alle spalle la mediocre struttura, ma ci accorgiamo di non vederla più: lo sguardo rimane ingombro delle immagini di quel mondo straordinario, dei filmati dove uomini e donne, con una perizia grande a dispetto di mezzi ancora rudimentali, consegnavano oggetti di rara bellezza.
Sì, nel nostro tour abbiamo visto sollevarsi a tutto tondo la cultura del lavoro italiana, con il suo tenace desiderio di rendere l’uomo più uomo, di sollevarlo dalle sue miserie, di promuoverne la vita e la dignità.
Come siamo lontani da certe culture, anche mediorientali, dove le scoperte scientifiche erano appannaggio di pochi, e per ostentare un lusso, una ricchezza, una classe sociale.
Qui trionfa la logica del dar gloria a un popolo, di farlo progredire grazie all’ingegno di pochi.
Oggi abbiamo occhiali d’ogni tipo, lenti a contatto, occhiali cibernetici che si comandano con un battito di ciglia, ma ci chiediamo un po’ sgomenti dove sia l’uomo e dove sia finito quello sguardo appassionato che mirava a rendere più bella e lieta la vita.

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