Dedicato agli insegnanti
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(Heinrich Böll)

Me lo ripeto spesso: è una fortuna essere una mamma-insegnante. Si vedono le cose da due punti di vista. Ne ho avuta conferma al primo collegio docenti del nuovo anno scolastico.
A bocce ferme, mentre gli studenti godono gli ultimi scampoli di vacanze, gli insegnanti si trovano, si confrontano, pianificano.
La novità di quest’anno, come si saprà, è l’introduzione del registro elettronico in tutte le scuole. Registri di classe (firme di presenza, assenze, giustificazioni, argomenti delle lezioni…) e registro personale, con l’obbligo di registrare i voti, in modo che i genitori, dotati di password, possano entrare nel sito ed essere informati in tempo reale. Un ritardo o una assenza del figlio farà partire un sms di avviso alla famiglia.
Ho ascoltato la ratio di quest’ingresso della tecnologia in tutte le classi. Ho preso appunti già lo scorso anno e li riprenderò mercoledì prossimo, quando saremo istruiti sul corretto utilizzo di questi nuovi strumenti. Ho ascoltato le domande tecniche dei colleghi e le risposte tecniche del dirigente. Poi ho alzato la mano. Ho un figlio all’ultimo anno del liceo classico e, mentre ascoltavo, si vede che pensavo a lui (alle mamme capitano di queste nostalgie, quando le riunioni sono noiose…).
Ho fatto presente al preside e all’intero collegio che a mio figlio dirò che – voti online o no – sarà bene che continui ad essere lui, quando torna a casa da scuola, a dire a suo padre e a sua madre, guardandoli negli occhi, com’è andata la mattinata. I voti, nel sito, li guarderò, forse. Ma il suo compito e il nostro di genitori restano quelli di sempre.
Dirò lo stesso ai miei ragazzi il primo giorno di scuola, e ai loro genitori quando li vedrò. Perché non discuto le scelte ministeriali, ma non sarà internet a sostituire il dialogo tra genitori e figli, o un alibi per accorciare il tempo che dedichiamo ai nostri ragazzi.
Qualche collega mi ha guardato perplesso: vedeva, nel registro elettronico, una nuova incombenza per noi, e poi tutti gli aspetti positivi che peraltro indiscutibilmente ci sono. Ma non la minaccia – se usato male – di un grande fratello che, spiandoti, ti deruba della privacy e non solo di quella.
L’ho detto: è una fortuna essere mamma, prima che insegnante. Ho due figli e li conosco quegli occhi che brillano quando i ragazzi tornano a casa da scuola con lo zaino del cuore più gonfio: l’incontro con un testo, o un autore. O per un’intuizione nuova sulla vita, o una discussione in classe. Per la sfida vinta con un problema di matematica, o per un compito di italiano ben riuscito…
Ma conosco anche lo sguardo triste e gli occhi bassi di quando non si è riusciti a superare un ostacolo (avevi ragione, mamma: mi sarei dovuto impegnare di più…)
Guai a togliere ai genitori e ai ragazzi l’attesa e la sorpresa, come il racconto di quella versione di greco da dieci: traduzione ottima, eccellente l’uso del lessico.
Ma guai, anche, a spianare la strada al figlio che torna a casa con passi lenti e il peso nel cuore di chi ha preso un votaccio e sta imparando a capire che – avevi ragione, papà! – senza fatica non si ottiene niente. E te lo dice.
Non è lo stesso, se mamma e papà sanno già.
L’educazione richiede tempo e pazienza ed è fatta di domande e di risposte, di sguardi e di parole. Non è data dalla media dei voti scolatici e non si risolve con un click al computer, o un sms.
L’educazione è un rapporto in cui l’unica password che serve non potrà mai darla lo Stato, perché è quella del cuore.