Con gli occhi della fede
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Vorrei richiamare le scarne e precise parole del Papa a motivazione del suo gesto di rinuncia, perché mi pare spieghino tante cose: “dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza (il Papa deve aver pesato bene questa parola, certezza) che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”.
In questi giorni, se ne sono sentite di tutti i colori, dall’analogia col gran rifiuto di Celestino V, alle dimissioni burocratiche come un qualsiasi addetto a un ufficio amministrativo, dal gesto coraggioso e controcorrente al cedimento rispetto al ministero ricevuto, fino a ritenere che la rinuncia abbia messo in luce la maggior umanità del Papa, come se prima fosse poco umano o, peggio, sovrumano.
Credo invece che il gesto storico di Benedetto XVI sia semplicemente dettato da profonda fede e da realismo cristiano.
Occorre fede per riconoscere “che la Chiesa non è nostra ma è di Cristo” e che “siamo solo umili lavoratori nella vigna del Signore” (come ebbe a dire proprio nel momento della sua elezione al soglio pontificio) anche se si è stati eletti Papa. Occorre il realismo della fede (e non – non solo – coraggio umano, anzi molta umiltà), per rinunciare al papato nella “certezza” di non poter più essere uno strumento utile nelle mani di un Altro, e di agevolare l’azione di Dio nel mondo permettendo che la barca di san Pietro abbia un governo e una guida nuovi, confidando esclusivamente nella forza dello Spirito Santo. Un gesto, per la maggior gloria di Dio.
Mi ha colpito molto che l’ultimo discorso pronunciato dal Santo Padre, prima di annunciare la sua rinuncia (la “lectio divina” al Pontificio Seminario Romano), abbia riguardato proprio la figura di san Pietro e l’elezione di ogni cristiano. “Siamo eletti – dice il Papa – Dio ci ha conosciuto da sempre, prima della nostra nascita, del nostro concepimento”. Poi continua come se parlasse a se stesso, di se stesso: “Dio mi ha voluto come cristiano, come cattolico, mi ha voluto come sacerdote, Dio ha pensato a me, ha cercato me tra milioni, tra tanti, ha visto me e mi ha eletto, non per i miei meriti che non c’erano, ma per la sua bontà”.
Benedetto XVI ha risposto a questa elezione – per lui particolarissima – e ha guidato la Chiesa riconfermando e riproponendo all’uomo moderno le ragioni per credere e per scommettere sulla verità del Vangelo, unica strada per ricostruire una umanità che si scopre sempre più disorientata.
Ciò che mi aveva colpito del papato di Giovanni Paolo II è stato verificare l’operato diretto e attuale di Dio nel mondo, Egli ci ha insegnato che la fede è qualcosa di concreto che agisce, magari silenziosamente, e che cambia le persone e il mondo.
Ciò che invece mi ha colpito di Benedetto XVI è che la fede guida, illumina il cammino, anche quando la situazione è tale da far smarrire chiunque. E la cultura europea, con il suo rifiuto a riconoscere le proprie radici cristiane, sembra non aver più alcun punto di riferimento a cui ancorarsi, e sembra perdersi tra il monistico individualismo inglese, la rigorosa legalità tedesca e la neutrale laicità francese.
Ma il Papa ha risposto alla sua elezione anche con la scelta di farsi da parte e di continuare a “servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio”, affinché Essa possa essere ancora più incisivamente una guida per l’uomo moderno.
Vorrei ringraziare il Papa per averci accompagnato e indicato la strada, in questo periodo di pontificato, senza dar mai per scontata la fede e richiamandoci sempre ad essa, da ultimo anche con l’istituzione dell’Anno della Fede. Che rimarrà, penso, la sua eredità spirituale.