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Che dire? Che fare?

Fonte:
CulturaCattolica.it
Così ha affermato il Card. Bagnasco, a proposito di quanto accade in Libia: «Oltre la Libia c'è tutta l'area del Nord Africa e questo a me pare che corrisponda ad un fatto generale che è successo anche nell'Est, vale a dire ad un certo momento, oltre che ai problemi economici e politici, le popolazioni prima o dopo reagiscono necessariamente ad una antropologia quindi ad una visione dell'uomo che è contro i suoi diritti fondamentali, contro la sua dignità»

Sono i paesi dove ha vissuto Sant’Agostino di Ippona, e qui, da qualche tempo, si sentono rumori di sommosse, di cambiamenti, anche violenti, grida di uomini e donne, giovani e vecchi che cercano, pare, più libertà e rispetto della loro vita, della loro storia, dei loro bisogni.

Al di là delle evidenti differenze, come ai tempi di Sant’Agostino, di fronte al crollo dell’impero, è necessario che un’altra presenza si faccia viva, diventi protagonista di un cambiamento e di speranza per tutti.

Il numero dei morti (il telegiornale ha parlato di molte centinaia, in Libia, e di molti altri nei vari paesi dell’area nord africana e medio orientale) sconvolge. Il potere, ormai incancrenito, non sa rispondere alle domande del popolo che con brutalità ed efferatezza.

È emersa in questi giorni una nuova capacità di comunicazione (un ambasciatore, intervistato alla radio, ha parlato dell’influenza dei social networks): comunicazione che riesce a muovere gli uomini, facendo loro capire che non sono soli, che si possono trovare obiettivi e strategie comuni, che in tanti hanno le stesse domande e gli stessi desideri. È una comunicazione che da virtuale diventa reale, e muove le persone.

Che dire? Che fare?

Certo possiamo guardare anche a Sant’Agostino per trovare qualche risposta, lui che nel suo libro La città di Dio così scriveva: “Questa città celeste quindi, finché è pellegrina sulla terra, chiama cittadini di tutte le nazioni e raccoglie la società pellegrina fra tutte le lingue, senza badare a diversità di costumi, di leggi, di istituzioni con le quali si istituisce o si mantiene la pace terrena, senza eliminare o distruggere nessuna di esse, anzi accettando e seguendo tutto ciò che tende ad un unico e medesimo fine della pace terrena, nonostante le diversità da nazione a nazione, purché ciò non costituisca un ostacolo per quella religione che insegna a venerare l’unico, vero e sommo Dio”.

È proprio così: riconosciamo che questo è il tempo della Chiesa, cioè di uomini che sappiano dare voce, cuore, ragione e carne alla speranza, che sappiano interpretare i segni dei tempi offrendo quella novità perenne che solo Gesù Cristo ha saputo portare nella storia, oggi come 2000 anni fa.

Saprà la Chiesa essere all’altezza di questo compito, di questa responsabilità così gravosa e urgente? Non saranno certo i politici, non sarà la massoneria, non saranno gli intellettuali a guidare nel nuovo millennio gli uomini in lotta per la loro umanità. Non saranno però neppure dei cristiani divisi, troppo presi da questioni particolari, troppo ricchi di disquisizioni esegetiche, troppo interessati ai propri problemi interni. I cristiani preoccupati di piacere agli uomini, da cui vogliono essere accettati, piuttosto che di ascoltare la voce del Signore Gesù non saranno capaci di dare risposte. Sarà la Chiesa di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI a poter dare una risposta, quella Chiesa che sa parlare al popolo e al suo cuore e sa dare le ragioni del vivere e dello sperare. Sarà la Chiesa dei movimenti vivi, delle realtà quotidiane di carità e di giustizia. Sarà la Chiesa capace di incontrare gli uomini, a qualunque religione appartengano, di qualunque cultura e nazionalità siano, creatrice di occasioni di incontro (come il recente Meeting del Cairo ha saputo testimoniare). Sarà la Chiesa dei santi.

Sarà la nostra Chiesa?

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