Che critica sia!
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E' passata più di una settimana dal discorso di Benedetto XVI all'Università di Regensburg. Nessuna critica sino ad ora è pervenuta. Non sto ironizzando, anzi ripeto il concetto: nessuna critica a quella lezione magistrale si è palesata sotto i nostri occhi. Il termine "critica" deriva dal greco krínein, "giudicare" e con essa si intende quell'attività del pensiero che, volta all'interpretazione e alla valutazione di un testo, mira ad evidenziare la struttura e il funzionamento del discorso sotto esame, al fine di giungere ad una comprensione dell'insieme o comunque di una parte significativa di quanto espresso dall'autore. E' chiaro che nulla di tutto ciò è stato fatto in merito alla lezione tenuta dal Prof. Ratzinger. Viceversa abbiamo assistito, sino ad oggi, a quella che correttamente si deve chiamare "polemica", cioè un metodo che già in origine non si pone alcun obiettivo dialogante, bensì pone le sue finalità nel discredito e nell'imposizione della propria idea. Quella contro il Papa, se vogliamo essere precisi, non è neppure semplice polemica, ma "polemica sterile" perché non contrappone neppure alcuna tesi alternativa. Le reazioni al discorso di Regensburg si sono concentrate quasi esclusivamente sulla citazione dell'Imperatore bizantino Manuele II, mentre è stato completamente eluso l'intero senso del discorso papale. I mezzi di comunicazione di massa hanno semplicemente fatto quanto la società contemporanea chiede loro. Gli intellettuali, dal canto loro, rispondendo all'unico totem da loro riconosciuto cioè la cultura moderna, non hanno neppure tentato di entrare nel merito delle questioni poste da Benedetto XVI. Strano tutto ciò? No. Siffatto comportamento non è altro che il portato dell'ideologia laicista. La lettura parcellizzata del discorso di Ratzinger era ampiamente prevedibile. La parcellizzazione è, infatti, uno dei fenomeni principali della cultura dominante. Il Pontefice, del resto, all'inizio della sua lezione ha sottolineato proprio questo aspetto. "[…] Una volta in ogni semestre c'era un cosiddetto dies academicus, in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell'intera università, rendendo così possibile una vera esperienza di universitas: il fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell'unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava esperienza viva. […]". Ora, questa critica, sino a qualche tempo fa, era ampiamente in voga anche nell'intellettualità marxista. Si amava ripetere che anche la cultura era stata subordinata alle esigenze di mercato e che quindi si tendeva a privilegiare la formazione specifica ai danni di una cultura che potesse fornire all'uomo una visione più globale sul mondo e sulle cose. E' del tutto evidente che alla società contemporanea non interessa assolutamente che l'uomo sia dotato di codesta conoscenza "totale". Il motivo del resto è abbastanza scontato: le domande epocali, quelle che hanno mosso intelligenze e sensibilità e culture sono state cancellate dall'alveo delle possibilità. Gli interrogativi di Socrate e oggi quelli di Benedetto XVI sono del tutto avulsi e avversi al sistema dominante. La storia è finita, è stato sentenziato più volte. Ma qui si inserisce l'importanza di quella che, proprio su questo sito Don Gabriele ha chiamato "L'Enciclica tedesca". Al cospetto della deriva nichilista dell'Occidente e al terrore proveniente dai paesi Islamici, la società moderna non sa più come rispondere. Si sente sotto scacco matto, impotente ed impaurita. La formazione specifica è inutile, l'acculturazione accademica non basta, l'autosufficienza della politica addirittura ridicola. Anzi, la politica si è ridotta ad essere semplice amministrazione. E' necessario porsi ancora quelle domande essenziali che riguardano l'uomo, la sua essenza e il suo destino. Per fare ciò però è necessario, imprescindibile, recuperare l'elemento fondante: l'identità. E qual è l'identità di questo Occidente, di questa Europa? E' l'incontro tra il Logos greco e il cristianesimo. E' l'incontro tra la tradizione biblica e la ragione. Benedetto XVI non dice all'uomo: tu devi credere al Dio cristiano perché il Cristianesimo è buono, ma dice il Cristianesimo è l'incontro tra l'amore e il sapere. Il Cristianesimo è lo strumento che abbiamo in dote in quanto uomini occidentali, è il nostro humus antropologico. E' del tutto evidente che il discorso di Ratzinger non è rivolto all'Islam e non è neppure rivolto al solo credente, ma è indirizzato all'uomo inteso nella sua accezione più ampia. Al non credente non viene chiesto di abbandonarsi al trascendente, viene detto a chiare lettere: Dio non è estraneo all'uomo, il Cristianesimo assume come suo elemento intrinseco la razionalità del pensiero greco. E' necessario parlare di dialogo con l'Islam? Perfetto, facciamolo ma se non vogliamo ritrovarci risucchiati dal nulla, dobbiamo riprendere coscienza di chi siamo, della nostra identità del nostro essere. E se vogliamo un dialogo dobbiamo anche sapere che il dialogo come la democrazia inizia da due. Da soli si fa solo un soliloquio. Razionalmente dobbiamo chiederci se, in virtù del rispetto multireligioso, siamo disposti ad accettare che il nostro ipotetico interlocutore (l'Islam in questo caso) imponga come metodo di discussione l'assenza razionale della ragione e se per rincorrere il politicamente corretto sia davvero utile e necessario abiurare le nostre radici culturali ed umane. Quindi le nostre origini cristiane, greche e romane. L'umanità si trova davanti ad un bivio: rinnegare se stessa, con la propria storia e il proprio bagaglio di errori e di conquiste, oppure riattivare la capacità di farsi artefice della storia. Il discorso di Regensburg ci ha fornito uno strumento, una lezione filosofica, una prassi concreta per riprendere il cammino. La critica offerta (e in questo caso di vera critica si è trattata) ha voluto mettere alla berlina la ragione moderna. Se siamo concretamente uomini ragionevoli non possiamo prescindere da questa lezione. Nessuno si può sentire dispensato, né i credenti, né i filosofi, né gli intellettuali, né la politica e tantomeno i non credenti che proprio perché razionalisti non possono fingere di sentirsi esclusi. Ancora una volta dopo l'Enciclica "Deus caritas est", con la mirabile lezione del Prof. Ratzinger mi sono sentito parte in causa. Parte in causa come non credente, come uomo che non potrebbe prescindere da Amore e Ragione.