#Cañizares: Cosa c’entra piazza #Tienanmen?
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Il caso del card. Antonio Cañizares Llovera, vescovo di Valencia, fatto oggetto il 3 giugno scorso di denuncia penale da parte di alcune associazioni LGBT spagnole e di una probabile mozione di condanna da parte del parlamento regionale valenciano, continua a farmi pensare. Continua a farmi riflettere sui tempi che viviamo e sul significato della mia fede.
Il caso del card. Cañizares mi riporta alla mente il 1989, quando ero a Bologna, dove avevo cominciato la mia prima attività lavorativa, pochi mesi dopo la laurea. Quell’anno mi ricorda il massacro di piazza Tienanmen (per inciso, in Cina lo si ricorda come “incidente di Tienanmen”) il cui anniversario è caduto proprio il 4 giugno scorso. Se non ricordo male, il giorno dopo, la comunità di Comunione e Liberazione di Bologna si radunò per una veglia di preghiera in piazza Santo Stefano, dove vi è uno stupendo crogiolo di chiese costruite una accanto all’altra, e per questo chiamata anche “piazza delle sette chiese”. Eravamo tutti lì in preghiera con in mano dei lumini accesi, che poi depositammo a terra a formare una grande croce di fiammelle. Mentre pregavo e guardavo il mio lumino, ricordo che pensavo di essere stato “fortunato”, di essere stato graziato poiché io avevo avuto la possibilità di finire i miei studi e di cominciare pure a lavorare, anche se lontano da casa. Loro, invece, quei poveri giovani studenti cinesi, gridando il loro desiderio di libertà, non avevano potuto finire i propri studi poiché molti di loro furono schiacciati sotto i cingoli di carri armati o sparati. Rimane impressa nella memoria di tutti noi l’immagine dello sconosciuto giovane valoroso che, da solo, a mani nude, piazzandosi davanti ad una fila di carri armati, li fermò, almeno per un momento. Un indimenticabile emblema dell’ardente desiderio di libertà.
Pensai in quel momento che noi vivevamo in un altro continente, con ben altra libertà, quella di parlare, di pensare, di credere, di pregare e di testimoniare la nostra fede in Cristo agli altri. Proprio come quella sera, liberi di pregare con i lumini accesi, in una pubblica piazza. Però… ci fu un però. Ad un certo punto la polizia ci ordinò di sgomberare perché in due vie adiacenti la piazza premevano gli autonomi, urlanti, che volevano malmenarci. Urlavano contro di noi perché ci ritenevano bugiardi e profanatori di una democrazia, quella cinese, che, nonostante qualche “piccolo” incidente, rimaneva pur sempre parte della “gloriosa rivoluzione culturale”, alba della nuova umanità. Per ragioni di sicurezza, ed onde evitare scontri fisici, e chissà, qualche altro “piccolo incidente”, fummo invitati ad uscire dalla piazza dalla parte opposta. E così facemmo.
Sono solo passati 5 lustri e già mi rendo conto che mi sbagliavo. Nell’Occidente “civilizzato”, da più parti, infatti, si cominciano a sentire e vedere casi che denunciano il persistere della ideologia che tutto vuole imporre, tutto vuole controllare, a partire dal nostro pensiero.
Come il caso del card, Cañizares. Pensate che è stato denunciato e pubblicamente redarguito per aver espresso nella sua omelia, nella cappella di una università spagnola, un forte e chiaro sostegno alla famiglia.
Brutto segnale questo. Significa che, persino in una cappella, in una chiesa,
non si possono più commentare le letture della messa se non in maniera “politicamente corretta”. Come vuole il potere. Come impone il potere. Altrimenti galera, o addirittura il martirio.
Eppure, scorrendo il testo della omelia (nella traduzione fatta da TEMPI) si possono leggere frasi come queste: “Sulla famiglia si gioca il futuro dell’uomo e di tutta la società. Sicuramente viviamo tempi non facili per la famiglia. L’istituto familiare è diventato oggetto di contraddizione: da una parte è l’istituzione sociale più apprezzata, almeno secondo i sondaggi, anche tra i giovani, dall’altra è scossa nelle sue fondamenta da gravi minacce. Esplicite o subdole. La famiglia oggi patisce nella nostra cultura innumerevoli gravi difficoltà e allo stesso tempo subisce attacchi importanti che nessuno può nascondersi. Ci sono leggi contrarie alla famiglia, l’azione ostile di forze politiche e sociali, alle quali aderiscono i movimenti dell’impero gay, di ideologie come il femminismo radicale o la più insidiosa di tutte, l’ideologia di genere”.
Come si vede, sono frasi che, al netto di qualche coloritura, avrebbero potuto esser dette anche da pontefici come Paolo VI, san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI o Papa Francesco. Quest’ultimo, ad esempio, a Napoli, quando, riferendosi alla teoria Gender, la definisce come “sbaglio della mente”; oppure quando afferma: “la famiglia è sotto attacco. C’è un secolarismo attivo, ci sono colonizzazioni ideologiche non solo in Europa”.
Ma i pontefici sono oggi più tutelati poiché capi di uno Stato, quello Vaticano, che ha una sua legislazione. I presuli, come oggi Cañizares, invece no. Loro sono soggetti alla legislazione del Paese in cui officiano e testimoniano la loro fede.
Da più parti ci si dice che noi cristiani siamo nella odierna società scristianizzata una minoranza. Che, dunque, bisogna ricominciare a testimoniare come ai tempi degli antichi romani, nei primi secoli del cristianesimo. Vero. Tutto vero. Ma ripensando a quello che sta succedendo, da oriente, con l’ISIS, ad occidente, con le leggi in Spagna, forse occorre pensare a quella frase, “come ai tempi dei romani”, in maniera più profonda, più drammatica, più vera e meno edulcorata o sentimentale. In una parola: PERSECUZIONE. I primi cristiani, infatti, conobbero la persecuzione, specialmente sotto Diocleziano. In questi ultimi decenni, testimoniare la fede in regimi dittatoriali, come quelli comunisti (URSS, Cina, ecc.), ha significato il gulag, la Siberia, il laogai o la morte. Oggi, invece, in medio oriente, anche la decapitazione, come per San Paolo, o la crocifissione, come per San Pietro. Da noi, in occidente, che siamo così civilizzati e democratici, si comincerà con il carcere? Questo, ancora una volta, dimostra che la libertà non potrà mai essere data per scontata. Rimane sempre da conquistare, rimane un DONO. La nostra libertà dipende dalla testimonianza che sapremo dare, come segno di mendicanza alla Verità.
Diventano allora per noi ancora più drammatiche e più pregne di significato le parole del Vangelo: “Allora Gesù disse ai suoi discepoli: Se uno vuol venire dietro me, rinunzi a se stesso, prenda la sua CROCE e mi segua” (Matteo 16,24).