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«Anestesia della coscienza»?

Fonte:
CulturaCattolica.it

Sto preparando, col comune amico Fabio Cavallari, una serie di incontri sull’Enciclica Caritas in veritate, di Benedetto XVI: credo che sia uno straordinario documento, su cui tornare, strumento di riflessione e apertura alla speranza, aiuto a che il nuovo millennio abbia più a cuore le sorti dell’uomo. È il manifesto di quella fede che diventa cultura, per cui il cristianesimo è sempre stato fonte e sorgente di civiltà.
E lo sto leggendo anche sotto l’influsso degli avvenimenti, di cui la vicenda Boffo-Avvenire-Feltri non è che un caso, seppur emblematico (per non parlare della sconcertante vicenda del TAR del Lazio, a proposito dell’Insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole, che ha avuto come unico esito quello di fare pensare a tale insegnamento come una sorta di longa manus della Chiesa sullo Stato, atta ad infirmarne la laicità). Ma su quest’ultimo aspetto ritorneremo, grati anche all’Avvenire per avere pubblicato con rilievo ed intelligenza di titolazione una nostra lettera sul caso.
Mentre mi preparavo, mi è saltata agli occhi questa affermazione del Papa, e mi è sembrata utile quanto meno a spiegare quello che è accaduto.
La riporto, perché mi pare che aiuti a capire l’atteggiamento che ci circonda. Di fronte a quello che accade, si bada più a «cose marginali», di cui ci si scandalizza, che alla sostanza delle questioni: «Come ci si potrà stupire dell’indifferenza per le situazioni umane di degrado, se l’indifferenza caratterizza perfino il nostro atteggiamento verso ciò che è umano e ciò che non lo è? Stupisce la selettività arbitraria di quanto oggi viene proposto come degno di rispetto. Pronti a scandalizzarsi per cose marginali, molti sembrano tollerare ingiustizie inaudite. Mentre i poveri del mondo bussano ancora alle porte dell’opulenza, il mondo ricco rischia di non sentire più quei colpi alla sua porta, per una coscienza ormai incapace di riconoscere l’umano. Dio svela l’uomo all’uomo; la ragione e la fede collaborano nel mostrargli il bene, solo che lo voglia vedere; la legge naturale, nella quale risplende la Ragione creatrice, indica la grandezza dell’uomo, ma anche la sua miseria quando egli disconosce il richiamo della verità morale.»
Siamo stati di fronte ad una «anestesia» della coscienza che ha dato credito a note malevole e frutto – come pare accertato – di volontà di emarginazione di una voce libera del cattolicesimo italiano, per cancellare «il lavoro di questi anni a servizio dei Vescovi, del Santo Padre e della presenza cristiana nella società italiana», svolto da Dino Boffo, il quale si è manifestato «sempre pronto a valorizzare tutto ciò che di vero e di buono lo Spirito [ha] suscitato, dentro e fuori la Chiesa», come ci ha ricordato Comunione e Liberazione nel suo Comunicato Stampa sulla questione.

Riporto in nota la lettera pubblicata da Avvenire e una acuta riflessione di Gianni Mereghetti sul caso Boffo.

Egregio Direttore di Avvenire,
ho apprezzato la sua iniziativa di dare voce a noi insegnanti di religione cattolica nella scuola, perché attraverso un dialogo fuori dagli schemi si possa contribuire ad una esperienza di cultura e civiltà.
Premetto che insegno da tanti anni (sono oramai 36) e che curo un sito (CulturaCattolica.it) che è nato inizialmente per sostenere noi insegnanti di religione in una formazione culturale necessaria e indispensabile, e che da anni oramai – per la competenza del prof. Nicola Incampo – offre anche una utile e tempestiva consulenza giuridica, che ci ha visti protagonisti nella vicenda dello Stato giuridico, ed ora nella questione del voto in religione.
Ho anche avuto tanta ospitalità, cordiale e costruttiva, sul «nostro» Avvenire e ritengo che stia da tempo svolgendo un insostituibile lavoro di cultura e civiltà: soprattutto perché mostra come una concezione cattolica della realtà offra a tutti uno sguardo a 360°, senza quei paraocchi laicisti che censurano continuamente quello che non capiscono e che non condividono.
L’esperienza svolta è bella e drammatica, e penso che se dovessi tornare indietro la rifarei senza esitazione: gli incontri con gli studenti e - spesso – anche con i colleghi, sono una ricchezza straordinaria, di cui sono grato al Signore: sono sacerdote e non ho mai pensato che questo fosse soltanto un «mestiere», e il ritenerlo una missione non mi ha mai fatto dimenticare il rispetto dei tanti alunni che non condividevano la mia stessa fede. Certamente da ogni incontro con i giovani la mia fede ha tratto giovamento, credo che ne sia uscita rinforzata e più «baldanzosa».
Vorrei però soffermarmi su alcuni punti che nel dialogo di questi giorni mi sembrano un po’ trascurati: e spero di poter contribuire ad una battaglia di cultura e civiltà (perché se no la nostra vita sarebbe scialba, o inutile).
1. Non possiamo dimenticare il contesto grave in cui ci troviamo inseriti: il Papa e i nostri Vescovi parlano continuamente di «emergenza educativa», e questo riguarda non i giovani, ma il nostro mondo adulto che non sa più dare le ragioni di ciò in cui crede e spera. Se questo è il contesto attuale allora bisogna saper rispondere, senza schemi o barriere. Ho letto ne «Il rischio educativo» questa profonda riflessione: «L’idea di una educazione rivolta ai giovani è il fatto che attraverso di essi si ricostruisce una società; perciò il grande problema della società è innanzitutto educare i giovani (il contrario di ciò che avviene adesso)». Ho sempre pensato il mio essere insegnante di religione cattolica nella scuola come un «lavoro» per questa educazione (e mi ha sempre sostenuto l’affermazione di Paolo VI della Chiesa come esperta di umanità). Abbiamo una vocazione da «protagonisti» e un compito indispensabile nella scuola e nella società.
2. La questione della laicità. Ho sempre pensato che laicità significasse che lo Stato deve saper fare «un passo indietro» di fronte a ciò che non è di sua competenza, e che tale principio è molto simile a quello che la Dottrina Sociale Cristiana chiama principio di sussidiarietà. Da questo punto di vista ho sempre pensato che il fatto che la Chiesa avesse una particolare responsabilità nella scelta degli insegnanti di religione non fosse un vulnus alla laicità, ma proprio una sua precisa affermazione. Così lo Stato riconosce una competenza che non gli spetta, e garantisce ai vari soggetti operanti nella società di consistere con la loro identità. E questo principio allora non ha bisogno, per essere affermato, di esigere una esclusività particolare, né teme alcuna forma di concorrenza con altri soggetti. Un mondo di persone con la loro identità è sicuramente meglio di un mondo omologato (cui, peraltro – purtroppo – sembriamo destinati).
3. Dopo avere tanto lottato, insieme a Nicola Incampo, dalle colonne del sito e nei dialoghi parlamentari, per il riconoscimento dello stato giuridico di noi insegnanti di religione cattolica, nella forma attuale, che riconosce una precisa responsabilità agli Ordinari Diocesani, mi è tornato in mente il motto (nello specifico non condiviso, ma in questo caso utile) «Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani», cioè creare le condizioni anche culturali perché l’IRC abbia sempre maggiore dignità culturale.
Chissà se questi anni belli e drammatici ci vedranno protagonisti! A noi cristiani – dice la splendida Lettera a Diogneto – è affidato un posto che non ci è lecito disertare.
Don Gabriele Mangiarotti, responsabile di CulturaCattolica.it

Lettera a tutti i peccatori

Tempi duri per noi peccatori, per noi che abbiamo infranto la legge, per noi che portiamo nella carne le ferite inferte dal nostro stesso male, tempi duri, il puritanesimo ha vinto, le campane del moralismo suonano a festa. E’ questo il responso del caso Boffo, d’ora in avanti chiunque abbia qualche colpa non si illuda, se è direttore di giornale dovrà dimettersi, se è insegnante dovrà andarsene, se è giudice diventerà imputato, se è imprenditore andrà in rovina, se è attore non troverà più lavoro, se è operaio rimarrà disoccupato. Solo i puri, solo coloro che sono capaci di essere moralmente perfetti, saranno degni di lavorare, di avere cariche pubbliche, di esercitare responsabilità ad alti livelli. Noi, no! Noi peccatori, noi che ci siamo macchiati di colpe, noi che abbiamo commesso errori e continuiamo a farli, noi non siamo degni di stare con i puri, non possiamo sederci alla loro tavola. Il puritanesimo da oggi ci ha messo al bando, vivremo emarginati, derisi dal potere che gradisce la compagnia degli uomini etici. Aspettiamoci di tutto, quello che è stato fatto a Boffo lo subiremo tutti noi peccatori, nessuno verrà risparmiato. E’ una nuova era quella che è iniziata, una era in cui non sarà ammessa colpa, tanto meno perdonata, ma nello stesso tempo come già Kierkegaard aveva preannunciato l’era della disperazione, perché a questo porta la coerenza morale. Per questo di fronte alla violenza puritana beati noi peccatori, beati noi che zoppichiamo, beati noi che incespichiamo nelle contraddizioni della vita, beati noi che ci siamo macchiati di colpe, beati noi che domandiamo uno sguardo umano che ci liberi dal male. Sì, beati noi, perché i puri inaridiscono nella loro coerenza, mentre noi aneliamo alla vita, la cerchiamo, la vogliamo gustare tutta fino all’ultima goccia. Noi, gli impuri, che troviamo la nostra forza in Colui che ci libera dal male. Per questo mentre i puri suonano le loro campane a festa, noi cantiamo con De Andrè “dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior”. Oggi il puritanesimo sembra vincere, ma è già sconfitto, perché l’uomo non è puro, è un grande bisogno, il bisogno di Qualcuno che si sporga verso di lui e lo tragga dal male. Tant’è che Gesù ai “puri” del suo tempo che gli hanno portato l’adultera ha detto: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra”. E’ di questo sguardo che noi abbiamo bisogno, è questo sguardo che rende bella la vita e segna per sempre il corso della storia.

Gianni Mereghetti

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