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L’Eucaristia fa della terra un luogo dove si vive bene

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it

«L’Eucaristia è il nostro tesoro più bello. E’ il sacramento per eccellenza; essa ci introduce maggiormente nella vita eterna (cioè nell’amore gratuito, l’unica realtà già eterna), contiene tutti i misteri della nostra salvezza, è fonte e culmine dell’azione e della vita della Chiesa, come ricorda il Concilio Vaticano II (Sacrosanctum Concilium, n. 8). E’ dunque particolarmente importante che i pastori e i fedeli s’impegnino costantemente ad approfondire questo grande sacramento. Ognuno potrà così consolidare la propria fede e compiere sempre meglio la propria missione nella Chiesa e nel mondo, ricordandosi che vi è una fecondità dell’Eucaristia nella sua vita personale, nella vita della Chiesa e del mondo. Lo Spirito di verità testimonia nei vostri cuori; testimoniate, anche voi, Cristo dinnanzi agli uomini, come dice l’antifona dell’alleluia di questa messa. La partecipazione all’Eucaristia non allontana dunque dai nostri contemporanei, al contrario, poiché essa è l’espressione per eccellenza dell’amore di Dio, ci invita ad impegnarci con tutti i nostri fratelli per affrontare le sfide presenti e per fare della terra un luogo in cui si vive bene. Per questo dobbiamo lottare incessantemente affinché ogni persona sia rispettata dal suo concepimento fino alla morte naturale, le nostre società ricche accolgano i più poveri e riconferiscano loro tutta la loro dignità, ogni persona possa alimentarsi e far vivere la propria famiglia e la pace e la giustizia risplendano in tutti i continenti. Queste sono le sfide che devono mobilitare tutti i nostri contemporanei e per i quali i cristiani devono attingere la loro forza dal mistero eucaristico.
“Il mistero della fede”: è questo che proclamiamo in ogni messa. Desidero che tutti si impegnino a studiare questo grande mistero, specialmente rivisitando ed esplorando, individualmente e in gruppo, il testo del Concilio sulla Liturgia, la Sacrosanctum Concilium, al fine di testimoniare con coraggio il mistero. In questo modo, ciascuna persona giungerà a capire meglio il significato di ogni aspetto dell’Eucaristia, comprendendone la profondità e vivendola con maggiore intensità. Ogni frase, ogni gesto ha un proprio significato e nasconde un mistero. Auspico sinceramente che questo Congresso serva da appello a tutti i fedeli affinché si impegnino allo stesso modo per un rinnovamento della catechesi eucaristica, di modo che acquisiscano essi stessi un’autentica consapevolezza eucaristica e a loro volta insegnino ai bambini e ai giovani a riconoscere il mistero centrale della fede e costruiscano la loro vita intorno ad esso. Esorto specialmente i sacerdoti a rendere il dovuto onore al rito eucaristico e chiedo a tutti i fedeli di rispettare il ruolo di ogni individuo, sia sacerdote sia laico, nell’azione eucaristica. La liturgia non appartiene a noi: è il tesoro della Chiesa» [Benedetto XVI, Omelia per la Celebrazione conclusiva del 49° Congresso eucaristico internazionale in Quebec (Canada), 22 giugno 2008].

In questo desiderio di Benedetto XVI che tutti ritornino, specialmente rivisitando ed esplorando, individualmente e in gruppo, al testo del Concilio sulla Liturgia, la Sacrosanctum Concilium, per un rinnovamento della catechesi eucaristica, c’è la convinzione di fede che il Vaticano II è un Concilio da Riscoprire ed una realtà da accettare in pieno. Difendere oggi, nello spirito anche del Motu proprio, la Tradizione vera della Chiesa significa difendere il Concilio. C’è una continuità che non permette né ritorni all’indietro né fughe in avanti; né nostalgie anacronistiche, né impazienze ingiustificate. Ed è all’oggi della Chiesa che dobbiamo restare fedeli, non all’ieri o al domani: e questo oggi della Chiesa sono, per tutti, in comunione con tutti, i documenti del Vaticano II nella loro autenticità. Senza riserve che li amputino. E senza arbitrii che li sfigurino. Ecco, allora, che ritornare tutti alla Sacrosanctum Concilium per capire meglio il significato di ogni aspetto dell’Eucaristia, comprendendone la profondità e vivendone il significato con maggiore intensità fa superare un’autentica crisi della dimensione sacramentale che va curata e guarita.
“La ricezione dell’Eucaristia - ha proseguito Benedetto XVI -, l’adorazione del Santissimo Sacramento - con ciò intendiamo approfondire la nostra comunione, prepararci ad essa e prolungarla - significa consentire a noi stessi di entrare in comunione con Cristo, e attraverso di lui con tutta la Trinità (di cui è sacramento), per diventare ciò che riceviamo e per vivere in comunione con la Chiesa (sacramento di Cristo). E’ ricevendo il Corpo di Cristo che riceviamo la forza “dell’unità”. Non dobbiamo mai dimenticare che la Chiesa è costruita intorno a Cristo e che, come hanno detto sant’Agostino, san Tommaso d’Aquino e sant’Alberto Magno, seguendo san Paolo (1 Cor, 10,17), l’Eucaristia è il sacramento dell’unità della Chiesa perché tutti noi formiamo un colo corpo di cui il Signore è capo”. Si tratta di rifarci continuamente all’ultima cena del giovedì santo, dove abbiamo ricevuto un pegno del mistero della nostra redenzione sulla croce. L’ultima cena è il luogo della Chiesa nascente, il grembo che contiene la Chiesa di ogni tempo. La croce è il luogo dell’obbedienza di Gesù e diventa così il vero albero della vita. Da quest’albero non discende una parola di seduzione, bensì la parola dell’amore redentore, la parola dell’obbedienza, in cui Dio stesso è diventato obbediente e ci offre la sua obbedienza come spazio della nostra libertà perfetta. La Croce è l’albero della vita di nuovo a noi reso accessibile. Con la sua passione Cristo ha per così dire tolto di mezzo la spada fiammeggiante, ha attraversato il fuoco e ha eretto la Croce come vero asse del mondo che permette a questo, all’attuale impossibilità educativa per la dittatura del relativismo, di rialzarsi e ristabilirsi nella sua verità e nella giustizia. Nell’Eucaristia il sacrificio di Cristo viene costantemente rinnovato, la Pentecoste viene costantemente rinnovata. La croce è il luogo dell’obbedienza di Cristo e diventa così, il vero albero della vita, Cristo diventa la figura opposta al serpente, come Giovanni afferma nel suo Vangelo (Gv 3,4). Da quest’albero non discende una parola di seduzione, bensì la parola dell’amore redentore per tutti e per tutto, la parola dell’obbedienza, in cui Dio stesso è diventato obbediente e ci offre la sua obbedienza come spazio della nostra libertà perfetta. Per questo l’eucaristia, come presenza attuale della Croce che deve raccogliere all’altare lo sguardo di tutti, è l’albero permanentemente piantato in ogni tempo e in ogni luogo in mezzo a noi come invito a raccogliere i frutti della vita vera. Ciò implica che la celebrazione eucaristica non possa ridursi a pratica burocratica di auto conservazione comunitaria. Riceverla, mangiare dell’albero della vita significa sapere e pensare che riceviamo il Signore Crocefisso: dunque accogliere e lasciarsi assimilare alla sua forma di vita di amore, alla sua obbedienza, al suo sì incondizionato come misura della nostra creaturalità cioè del nostro essere dono del Donatore divino, significa accettare l’amore di Dio che ci anticipa la vita veramente vita,la vita eterna. “Possiate tutti voi - ha concluso questa argomentazione Benedetto XVI come priorità pastorale - diventare sempre più consapevoli dell’importanza dell’Eucaristia domenicale, perché la domenica, il primo giorno della settimana, è il giorno in cui onoriamo Cristo, il giorno in cui riceviamo la forza per vivere quotidianamente il dono di Dio”.

Il peccato, soprattutto quello grave, in particolare la situazione nota di peccato, si oppone all’azione eucaristica in noi
“Desidero anche - ha ricordato Benedetto XVI dopo la prima condizione del sapere e pensare chi riceviamo della necessità di essere in grazia di Dio - invitare i pastori e i fedeli a un’attenzione rinnovata per la loro preparazione alla ricezione dell’Eucaristia. Nonostante la nostra debolezza e il nostro peccato, Cristo vuole dimorare in noi. Per questo, dobbiamo fare tutto il possibile per riceverlo in un cuore puro, ritrovando costantemente, mediante il sacramento del perdono, quella purezza che il peccato ha macchiato, “armonizzando la nostra anima con la nostra voce”, secondo l’invito del Concilio (Sacrosanctum Concilium, n.11). Di fatto, il peccato, soprattutto quello grave, si oppone all’azione della grazia eucaristica in noi. D’altro canto, coloro che non possono comunicarsi per la loro situazione troveranno comunque in una comunione di desiderio e nella partecipazione all’Eucaristia una forza e un’efficacia salvatrice”.
In una situazione nota di peccato grave e senza la possibilità di confessarsi non è inutile partecipare all’Eucaristia, trovando in una comunione di desiderio appena è possibile confessarsi una forza e una efficacia salvatrice.
E qui pastoralmente emerge la situazione dei divorziati risposati verso i quali l’autentica comprensione e la genuina misericordia non possono mai essere disgiunte dalla verità. Abbiamo del 24 settembre 1994 una “Lettera ai vescovi circa la recezione della comunione eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati”, approvata da Giovanni Paolo II e firmata dall’allora Prefetto della Congregazione della fede, card. Joseph Ratzinger. La Chiesa, “fedele alla parola di Gesù Cristo, afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione Eucaristica”. A meno non si dimostri la “nullità” della precedente unione. Ma è “errato” che basti un loro “giudizio di coscienza”. E’ “competenza esclusiva” della Chiesa. L’“assoluzione sacramentale” va solo a coloro che si pentono di “aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo” e sono “sinceramente disposti” a rimuovere la “contraddizione”. Se non è possibile perché ci sono dei figli, “assumano l’impegno di vivere in piena continenza”. Nessun “carattere punitivo” o “discriminatorio”: questi fedeli “non sono affatto esclusi” dalla Chiesa: “coloro che non possono comunicarsi per la loro situazione troveranno comunque in una comunione di desiderio e nella partecipazione all’Eucaristia una forza e un’efficace salvatrice”.
Il Presidente del Consiglio ha chiesto ad un Vescovo: “Ma quando cambiate le regole sull’eucaristia ai divorziati?”. E’ stata pubblicizzata sui giornali una brutta risposta del Vescovo come se dipendesse dall’autorità superiore del Papa cambiare le regole. Precisa, invece, la risposta del Cardinale Bagnasco, Presidente della Cei. La decisione della Chiesa di non amministrare il Sacramento dell’Eucaristia ai divorziati non è una punizione verso queste persone ma è una ragione intrinseca e nasce dall’interno del sacramento stesso. La ragione di determinate disposizioni non dipende da una disposizione esterna, che può dire di sì o no, ma nasce dall’interno del Sacramento stesso dell’Eucaristia, il sacramento dell’unità perenne tra l’amore di Cristo e l’umanità “Negli anni di sacerdozio e di episcopato in giro per l’Italia ho colto personalmente qua e là, tra alcuni fedeli, l’espressione ed il desiderio di potersi accostare, e il dispiacere di non poterlo fare. Ma questo - ha spiegato il Cardinale in totale comunione con la Sacramentum caritatis e con il magistero di Benedetto XVI -è un sentimento più che buono, più che positivo”. Sta crescendo l’aggregazione di “Separati fedeli”, persone che, purtroppo vivono questa situazione difficile di separazione, ma che vivono ugualmente la fedeltà all’indissolubilità del sacramento e desiderano incontrarsi, pregare insieme,scambiarsi le proprie esperienze, incoraggiarsi e sostenersi a vicenda. Questo è uno dei modi in cui si esprime la maternità della Chiesa”.
Rilevando la diversa risposta del Vescovo e del Presidente della Cei ritengo utile il giudizio del card. Ruini, nell’Omelia per il suo venticinquesimo circa il corpo episcopale chiamato a non lasciare mai solo il Papa. “Sono stato assai aiutato e stimolato sotto questo profilo dal mio compito di Vicario del Santo Padre, in concreto ho percepito quasi fisicamente che sarebbe stato ingiusto lasciarli soli. Già prima, quando non ero ancora Vescovo, ho avuto la stessa sensazione nei confronti di Paolo VI. Essere a fianco del Papa nell’annuncio e testimonianza della fede, specialmente quando questi sono scomodi e richiedono coraggio, è in realtà compito di ogni Vescovo, un aspetto essenziale della collegialità episcopale. Mi permetto di dire che se tutto il Corpo episcopale fosse stato forte ed esplicito sotto questo profilo, varie difficoltà, nella Chiesa, sarebbero state meno gravi e che anche per il futuro questa può essere una via efficace per ridimensionarle e superarle”, come per esempio in rapporto al Motu proprio.

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