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L'Eucaristia: volto della misericordia, pane della Koinonia

Autore:
Riva, Gloria
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
Leonardo da Vinci, Ultima Cena, Milano, Convento di S. Maria delle Grazie.
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Ludovico il Moro, chiedendo a Leonardo - nel 1495 - di affrescare il Convento di Santa Maria delle Grazie in Milano, intendeva realizzare in questo luogo - in pieno accordo con i frati domenicani - un mausoleo sepolcrale. Ebbe inizio così un'opera di ristrutturazione globale eseguita sotto la stretta sorveglianza dei domenicani che doveva fare del complesso di Santa Maria delle Grazie un luogo metaforico capace di sostenere il frate in una meditazione continua dei misteri centrali della fede cristiana.

Il visitatore cinquecentesco entrando nel refettorio di Santa Maria delle Grazie in Milano si trovava a sei metri esatti di distanza dal punto focale dell'opera leonardesca e aveva così l'impressione di guardare in quell'ampia sala al piano superiore di cui parlano i Vangeli.
La stanza dipinta da Leonardo è una grande sala addobbata con tappeti multicolore che nascondono quattro aperture per ogni lato. Sullo sfondo tre ampie fonti luminose - una porta dietro a Gesù e due finestre dietro al gruppo degli apostoli - lasciano intravedere un cielo terso e azzurrino. Il soffitto, a cassettoni, è suddiviso in 36 riquadri. Il gioco numerico con il suo simbolismo è evidente: vediamo infatti il continuo rincorrersi dei numeri tre, quattro e dodici. Tre le aperture di fondo, quattro le porte laterali, cioè 3 x 4 = 12; ma anche dodici reali aperture: 3 finestre + 8 porte laterali + 1 ideale grande apertura davanti alla tavola = 12. Il numero tre scandisce poi, per quattro volte, il ritmico agitarsi degli apostoli e a struttura piramidale è anche la figura di Gesù. Il tre allude chiaramente al mistero della Trinità, mentre il numero quattro (= i 4 punti cardinali, i 4 elementi cosmici: aria, acqua, terra e fuoco) è il numero dell'uomo. Il soffitto con il gioco di riquadri ripetuto trentasei volte, cioè 12 x 3, incombe sul Cenacolo indicandolo chiaramente come il luogo della rivelazione del mistero di Dio e dell'uomo, una rivelazione che avviene nel contesto di un banchetto.

All'interno del complesso del Convento, che rappresenta la "Gerusalemme ficta", riflesso terreno della Gerusalemme celeste, questa sala con i tappeti dai fiori multicolore (in numero di otto evocanti perciò l'ottavo giorno) è dunque l'Hortus conclusus, è il giardino dell'Eden che, un tempo sigillato, ha ora dischiuso i suoi battenti all'uomo immerso nelle tenebre della storia.

La cena che vi si svolge è il banchetto escatologico annunciato dai profeti e offerto a tutti i popoli, ma è anche il viatico dato qui e ora, che accompagna l'uomo di ogni tempo verso la salvezza. Questo continuo rimando tra cielo e terra, tra Dio e l'uomo è sottolineato da alcuni espedienti pittorici. La stanza dipinta da Leonardo, infatti, possiede un volume pari a quello reale del refettorio dei frati domenicani, trasportata però a un piano superiore; vi è, inoltre, una doppia illuminazione: una luce filtra dalle tre finestre retrostanti, creando così l'effetto del contro luce, e una seconda proviene da destra, cioè dalle finestre reali del refettorio domenicano. E' proprio tra l'altro della tradizione domenicana sovrapporre i propri gesti e i propri luoghi di vita ai luoghi ai gesti e agli eventi del Vangelo (si pensi agli affreschi del Beato Angelico).

Questo banchetto avviene entro le coordinate della storia umana, ma è trasfigurato dalla luce Pasquale e proprio perché pasquale questa luce non dimentica le ombre della morte, l'ombra anzi, è il criterio stesso con cui Leonardo ha disegnato le singole figure.
Seguendo gli studi di Plinio il Vecchio, Leonardo annotava in uno dei suoi taccuini: "La prima pittura fu sol d'una linea, la qual circundava l'ombra de l'omo fatta dal sol né i muri". Egli riprenderà questo concetto nel suo Libro di Pittura al capitolo 29, facendo riferimento alla "linea circunferenziale delle membra di che si genera la bellezza umana". Cioè la sagoma dell'ombra, invasa dalla luce si è fatta corpo risplendente di armonia. E come dentro a un profilo d'ombra si muovono in armonia tutte le membra così entro le sagome degli apostoli si rispecchia l'intera umanità.
L'ombra della croce è drammaticamente presente in Gesù che, lasciato solo dagli apostoli, abbandona le braccia aperte sulla mensa in un gesto che rimanda inequivocabilmente alla crocifissione. L'ombra di Gesù coincide sorprendentemente con la sagoma dello stesso Leonardo (come si rileva da uno schizzo del 1492 dove compare la sua ombra proiettata sul pavimento), egli si identifica cioè con la solitudine di Gesù, si sente un crocefisso dalla storia a causa della sua genialità.
Il gesto di Gesù di abbandono alla volontà del Padre, di accoglienza di quell'amore che lo porterà alla croce, provoca il moltiplicarsi del pane sulla tavola. Leonardo sovrappone all'evento della Cena quello della moltiplicazione del Pane per significare la perpetuità e l'universalità di questo banchetto.
Un pane per tutti, dunque sul quale grava l'ombra dell'uno che tradisce, l'ombra di colui che mentre mangia con Gesù alza contro di lui il calcagno.
Come abile regista Leonardo coglie la drammaticità dell'attimo in cui Gesù pronuncia quella frase, così solennemente registrata da Giovanni: "In verità vi dico uno di voi mi tradirà!". Il peso di queste parole incombe sugli apostoli i quali esplodono in una serie di reazioni a catena. Il contesto della convivialità rende ancora più drammatico lo scandalo della croce di fronte al quale ogni uomo è impreparato. L'Eucaristia non è il pane di una fratellanza facilona, né di un buonismo ingenuo che troppo frettolosamente passa sopra la fragilità e la libertà umana nei confronti della scelta fra bene e male. Già Paolo avvertiva i cristiani che l'Eucaristia è un pane che mette in luce i contrasti perché capace di rivelare, proprio a partire dalla sua forza di aggregazione, quali siano i veri credenti.

I due principali evangelisti a cui Leonardo sembra essersi riferito nella stesura del Cenacolo - dopo altre numerose fonti della tradizione, tra cui ad esempio la Vita dei Santi scritta dal camaldolese Niccolò Malermi - sembrano essere Luca e Giovanni. Giovanni ha offerto all'artista la sequenza dei dialoghi e la caratterizzazione degli apostoli. Mentre Luca è l'unico evangelista che, all'approssimarsi della festa degli Azzimi, concentra la sua attenzione sui movimenti di Giuda, Pietro e Giovanni (omettendo la cena di Betania, riportata dagli altri sinottici). Egli oppone come in un dittico il tradimento di Giuda e l'allestimento del Cenacolo da parte di Pietro e Giovanni (non di discepoli anonimi come scrivono gli altri evangelisti) (Lc 22, 3. 8).
Nel Cenacolo il centro del movimento scenico posto in atto da Leonardo è rappresentato, oltre che dal gesto aperto di Gesù, dai tre discepoli alla sua destra (la sinistra per chi guarda) e cioè Giuda, Giovanni e Pietro. Tra l'agitarsi confuso degli apostoli essi appaiono i più consapevoli, certo i più vicini alla comprensione del mistero di Cristo.
Molti studiosi hanno visto nel ritmico susseguirsi dei gesti degli apostoli, due movimenti opposti: uno che partendo da Gesù si dilata verso i discepoli, l'altro che - al contrario - dai discepoli converge verso Gesù. Si viene così a creare un andamento simile all'ondeggiare delle spighe agitate dal vento. E' certo che tale movimento coinvolge direttamente l'osservatore. L'antico frate domenicano, in qualunque posto del refettorio si trovasse, avvertiva sopra di sé lo sguardo del Signore Gesù ed era interiormente spinto ad interrogarsi al pari degli apostoli.
Potremmo allora scorgere un altro movimento, per così dire circolare, che seguendo l'inclinazione del capo di Gesù, procede verso Tommaso fino a Simone il quale, posto all'estrema destra del tavolo, invita con la posizione delle mani a guardare all'altro lato, dove Bartolomeo, in piedi e mediante l'inclinazione del busto, obbliga a dirigere lo sguardo verso Pietro, Giovanni e Giuda, laddove cioè si concentra la drammaticità della scena. Giunti qui la tensione si spegne improvvisa, dentro al vuoto che circonda il Redentore. A questo punto l'osservatore è costretto a guardare in volto Gesù e viene anch'egli sorpreso dall'annuncio: "uno di voi mi tradirà". Spinto a confrontarsi con le reazioni dei discepoli, egli viene a comprendere che non si sarebbe comportato diversamente da loro.

Del resto che Leonardo avesse l'intento preciso di offrire ai frati (e quindi a tutti noi) una contemplazione visiva e coinvolgente dell'evento lo dimostrano gli studi accurati che hanno accompagnato l'esecuzione di questo suo capolavoro. Negli anni in cui dipinse il Cenacolo, da buono studioso qual era, Leonardo si dedicò interamente allo studio della fisiognomica, una scienza che si prefigge lo studio dell'anima a partire dalle caratteristiche somatiche e soprattutto dalla morfologia del cranio. Plinio seguendo Aristotele, definiva ethos il carattere permanente di un individuo e pathos la sua emozione momentanea. Scrisse Plinio del pittore Aristide: Aristide fu il primo fra tutti i pittori a dipingere l'animo, sia i sentimenti, che i greci chiamano ethe, sia le perturbazioni emotive.
Questa distinzione fra ethos e pathos è una chiave di lettura indispensabile per comprendere l'opera del Cenacolo. Leonardo ha voluto analizzare, alla luce dei Vangeli, le caratteristiche di ogni apostolo interpretandole come riassuntive dell'intera umanità.
Rispecchiandoci in questi volti e nelle loro emozioni compiamo anche noi un cammino di conoscenza di noi stessi in rapporto a quel mistero di amore e di dolore, di peccato dell'uomo e di misericordia Divina che è l'Eucaristia.

Tommaso punta il dito verso l'alto, gesto tipico nella tradizione monastica per indicare Dio. Di fronte all'affermazione di Gesù egli s'interroga chiedendosi se questo tradimento sia una disposizione divina, ma, pur giungendo a questa preziosa intuizione, Tommaso sarà il più incredulo di fronte alla risurrezione. Egli rimane sullo sfondo, nascosto rispetto agli altri ed è, nello stesso tempo, il più vicino a Gesù. È nascosto perché sarà il discepolo assente nel corso della prima apparizione del Risorto, ma è il più vicino perché egli toccherà il Mistero mettendo quello stesso dito che ora innalza, nelle ferite del Salvatore. Tommaso rappresenta perciò l'indagatore acuto, il teologo che, tuttavia, di fronte alle altezze vertiginose del Mistero sperimenta la fatica del credere.

Giacomo il maggiore, fratello di Giovanni, allarga le braccia desolato. Dai disegni preparatori possiamo arguire come Leonardo abbia dipinto vampate di rossore e improvvisi pallori sul suo volto, tinteggiature andate irrimediabilmente perdute per la tecnica sperimentale usata dall'artista. Giacomo è il "Boanerghes", il figlio del tuono passionale ed istintivo: pur fuggendo al pari degli altri, egli sarà il primo a seguire il Maestro nel dono della vita. Forse anche a questo alludono quelle braccia aperte: braccia di chi accoglie nella sua vita il mistero della croce.

Filippo, buono e sincero nell'amore, viene colpito al cuore dall'annuncio. Si porta le mani al petto ed inorridisce all'idea di poter essere il traditore. Egli è l'uomo che conosce la sua fragilità, ma che non cessa di credere nell'amore del suo Signore. La sua testa è al di sopra di tutte le altre, superando anche quella di Bartolomeo, egli è colui che ha detto a Gesù: Mostraci il Padre e ci basta!.

Matteo compie il gesto elegante dell'uomo colto, mentre si impegna in una discussione con Taddeo e Simone, indica con le mani il Signore Gesù. Egli rappresenta tutti coloro che seguono prontamente Cristo (le sue mani, cioè le sue opere, sono tutte per il Signore) ma faticano a liberarsi dai condizionamenti culturali e dalle loro categorie mentali.

Taddeo e Simone sono animosi ed inclini alla lotta. Taddeo, del quale è registrata nel Vangelo di Giovanni la domanda posta a Gesù: "Perché devi manifestarti a noi e non al mondo?", si ritrae scandalizzato all'annuncio che tra di loro, testimoni privilegiati della rivelazione di Cristo, ci sia un traditore. Simone è "lo zelota": dipinto con tratti imponenti e severi, egli è l'idealista pronto ad esporsi, ma che, come gli altri, dovrà fare i conti con la sua propria fragilità. Questi due discepoli sono lo specchio di quanti si scandalizzano facilmente per le miserie e mancanze altrui, passando troppo frettolosamente sopra le proprie.

Al gesto di Simone fa riscontro quello di Bartolomeo, Natanaele per Giovanni, il quale, dall'altro capo della tavola, si alza di scatto, appoggiando con veemenza le mani alla mensa. Proteso in avanti verso Pietro, tenta di sapere la verità: egli è l'israelita in cui non c'è falsità, sdegnato e incredulo. In lui si ravvisano gli uomini tutti d'un pezzo che vorrebbero ordine e chiarezza, ma che si trovano in imbarazzo di fronte a un Dio che opera nelle tortuose vie della storia.

Giacomo il Minore, parente di Gesù, è ritratto come l'uomo mite che nei momenti drammatici della vita cerca il positivo e la pace. Nel contesto della confusione in atto cerca di tenere unito il gruppo. Il suo braccio sinistro, infatti, avvolge Andrea, Pietro e Giovanni, mentre la mano destra, piena di dolente sorpresa si solleva nell'aria. Fa eco al suo gesto quello di Andrea, fratello di Pietro. Leonardo evidenzia il carattere più pacato di Andrea rispetto a quello del fratello e lo ritrae fermo al suo posto mentre manifesta la sua emozione con un gesto intenso e dignitoso. In Giacomo e Andrea è ritratta quell'umanità che si sottomette alle avversità della vita con realismo e dignità, cercando di trarne un insegnamento e un'occasione di crescita.

Ed ecco l'ira di Pietro "espressa con artifizio nel pallore delle labbra e dalla guancia infiammata" come scrisse Federico Borromeo. Purtroppo anche dopo il recente restauro non è stato possibile rilevare tali particolari. Ciò che rimane è comunque sufficiente per capire il temperamento sanguigno, ma anche l'animo nobile ed elevato del primo fra gli apostoli. Con la mano sinistra Pietro scuote Giovanni per interrogarlo, mentre con la mano destra impugna goffamente (quasi per nasconderlo) un coltello. Egli sarà colui che, pieno di slancio, si dichiarerà pronto a seguire Gesù sulla Croce, e che nell'orto del Getsemani, impugnata la spada, taglierà l'orecchio di Malco, servo del Sommo Sacerdote. Pietro rappresenta quanti pur nella loro sincera adesione alla fede, nelle loro indubbie qualità, presumono un po' troppo di loro stessi; rappresenta quanti, di fronte alle ingiustizie e allo scandalo della croce, sono tentati di farsi giustizia da soli.

Giovanni non ha il capo reclinato sul petto di Gesù come vuole l'iconografia classica, ma il suo capo mollemente piegato su di un lato e le mani giunte e rilasciate, dicono che ha appena lasciato il luogo del suo riposo per rispondere alla richiesta di Pietro. Il viso dolce e sereno testimonia la sua capacità di abbandono alla volontà di Dio, una capacità che gli deriva unicamente dall'Amore. La tradizione cristiana ha sempre ravvisato in Giovanni il primo dei contemplativi, di quanti cioè sono capaci di penetrare il Mistero di Dio non per speculazione intellettuale, ma grazie alla misteriosa intelligenza dell'amore.
"E veramente - scrive ancora il Borromeo - spiegò Leonardo nel viso di Giuda i profondi misteri della fisionomia… imperroché li fece fosco… con occhi incavati… con naso schiacciato." Leonardo faticò molto a dipingere il volto di Giuda "non potendo trovar testa di naturale che rassomigliasse così com'egli si aveva immaginato nell'animo suo" (Armenini). Qualcuno ravvisa in Giuda gli stessi lineamenti di Gesù trasfigurati però dall'espressione cupa e dall'ombra che incombe su di lui. "Satana entrò in lui" annotano gli evangelisti e Giovanni rileva che quando Giuda uscì per tradire "era notte". L'ombra cupa che avvolge Giuda negli eventi della passione è stata evidenziata dalla iconografia classica mediante la separazione netta di quest'ultimo dagli altri apostoli. Nelle ultime cene Giuda è collocato spesso solo, di fronte agli altri commensali, sul lato opposto della tavola.
Nella predicazione domenicana si sottolineava invece il libero arbitrio dell'uomo di fronte all'accoglienza della grazia divina e dunque i pittori che seguivano questa linea di pensiero (come rileviamo ad esempio nell'Ultima cena dell'Armadio degli Argenti del Beato Angelico) raffiguravano Giuda come gli altri apostoli addirittura con l'aureola. Leonardo, dipingendo peraltro all'interno di un convento domenicano, si colloca entro la scia di questa tradizione e inserisce in perfetta armonia Giuda nel contesto del collegio apostolico. Disarmonico è il gesto brusco dell'apostolo - che si ritrae invadendo la tavola - e il suo volto, serrato nel più assoluto silenzio.
Leonardo così dipinge con maestria l'atteggiamento dell'uomo che preferisce le tenebre alla luce perché le sue opere sono malvagie. Il movimento di Giuda è uguale e contrario a quello di Giovanni, il che sottolinea l'amore preferenziale che Gesù nutriva per Giuda, in tutto simile a quello riservato a Giovanni, ma con un esito sorprendentemente diverso a causa della libertà umana nella risposta. La drammaticità di questo rifiuto si coglie però alla luce delle linee prospettiche volute da Leonardo nella sua opera.

Nel corso del recente restauro è stato ritrovato il chiodo usato per tirare le linee prospettiche del dipinto. Il fulcro della prospettiva è l'occhio destro di Gesù e le direttrici che da esso partono abbracciano l'intera composizione. Si è così rilevato che i volti degli apostoli sono tutti sulla stessa linea prospettica. Tutti tranne quello di Giuda che con il suo volontario ritrarsi si toglie dalla prospettiva di salvezza annunciata da Gesù.

La visione d'insieme allora dell'evento della Cena "raccontato" da Leonardo apre a una grande speranza: l'occhio destro del Salvatore rappresenta lo sguardo della misericordia divina dal quale nessuno è escluso. L'uomo è totalmente libero di accogliere o rifiutare l'amore gratuito di Dio. Gli apostoli con le loro diverse reazioni e nel momento della dispersione causata dal dolore e dallo sconcerto, trovano la loro unità proprio nello sguardo pieno d'Amore del Redentore. L'Eucarista è dunque il Pane della Koinonia - della comunione - non già grazie allo sforzo umano o a "meriti" acquistati dall'uomo, ma perché Pane offerto a tutti nella gratuità di un dono senza ritorno che chiede all'uomo solo la libera e umile adesione dell'amore.

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