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Rivoluzione francese: cos’era davvero il Terzo Stato?

Autore:
Luca Costa
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
È importante anche ricordare come in Francia, in un capitolo così scottante della storia europea, gli unici che si schierarono apertamente con il popolo e per il popolo, furono i curati di campagna.

Chi rappresentava e difendeva gli interessi dei lavoratori? Complessità sociale e appropriazione politica alla vigilia della Rivoluzione francese
Questo articolo esamina la composizione interna del Terzo Stato francese alla vigilia della Rivoluzione del 1789, mettendo in evidenza la fondamentale distinzione tra la borghesia possidente e i lavoratori (operai, artigiani, contadini, piccoli commercianti). La principale classe lavoratrice erano i cosiddetti braccianti (brassiers), milioni di uomini e donne (spesso giovanissimi) che vivevano solo della forza delle proprie braccia. Attraverso l’analisi dei cahiers paroissiaux e dei cahiers de doléances, si mostrerà come le rivendicazioni popolari siano state prima strumentalizzate e poi rimosse da un’élite borghese desiderosa di controllare il processo rivoluzionario con l’obiettivo di prendere il potere. È impossibile comprendere la Rivoluzione francese conservando una visione omogenea del Terzo Stato, esso era attraversato da profonde contraddizioni sociali, delle quali la storia rivoluzionaria ha conservato le tracce.

1. Il Terzo Stato: un corpo sociale stratificato
La Rivoluzione francese viene spesso letta come un sollevamento unitario del Terzo Stato contro i privilegi dell’Ancien Régime. Tuttavia, fin dalla convocazione degli Stati Generali (5 luglio 1788), questo Tiers état si rivela come un’entità estremamente eterogenea. Il Terzo Stato rappresentava circa il 98% della popolazione francese, ma ciò non implicava affatto che parlasse con una sola voce.
Due grandi componenti vi si contrapponevano: da un lato la borghesia d’affari: banchieri, avvocati, notai, industriali, grandi proprietari immobiliari, ricchissimi, spesso colti e desiderosi di esercitare un ruolo politico più rilevante; dall’altro, i lavoratori privi di proprietà: piccoli artigiani, contadini poveri, giornalieri, braccianti, che costituivano la maggioranza silenziosa, ma dotata di una forte coscienza delle proprie condizioni sociali e delle proprie istanze, grazie all’appoggio fondamentale del clero di campagna. Sì, i preti (lontano da Parigi e dalle curie) affermano con forza il diritto fondamentale dei lavoratori : vivere degnamente del proprio salario. Quando questo non è possibile, o si interviene per abbassare le tasse o si alzano i salari. Niente di più, niente di meno di quel si trova nelle (numerose e ricche) fonti a nostra disposizione.
Questa frattura socio-economica fu determinante nel modo in cui il Terzo Stato formulò le proprie rivendicazioni in occasione della convocazione degli Stati Generali. Per comprendere questa spaccatura, è necessario esaminare un corpus troppo poco studiato: i cahiers paroissiaux, i cahiers (quaderni) delle parrocchie (cellula politica fondamentale dell’Ancien régime) spesso redatti proprio dai curati di campagna, autentici portavoce del popolo.

2. Cahiers paroissiaux: l’espressione diretta del popolo
A differenza dei celebri cahiers de doléances conservati agli Archivi Nazionali, i cahiers paroissiaux, primi documenti preparatori degli Stati Generali, venivano redatti durante le assemblee dei villaggi, con la partecipazione diretta e attiva degli abitanti.
Essi esprimono una sofferenza economica profonda: il caro-prezzi dei cereali, le imposte inique, le corvées feudali, le decime ecclesiastiche abusive, la parzialità della giustizia. I braccianti vi chiedono innanzitutto di poter comprare pane a sufficienza con il loro salario, una ripartizione fiscale più equa e l’alleggerimento del carico tributario. Questi cahiers contengono anche una critica morale dell’ordine esistente, spesso espressa in termini religiosi o etici: la nobiltà è giudicata oziosa (e continuamente sconfitta sul campo di battaglia, vedi Guerra dei Sette Anni), il re ingannato dai suoi ministri, Dio invocato come giudice supremo dei poveri.
Non dimentichiamo che i curati di campagna erano anch’essi figli del popolo. Purtroppo, pochissimi di questi preti di provincia parteciparono agli Stati Generali a Versailles nel 1789, dove i cahiers paroissiaux non arrivano mai. Perché?

3. Dai cahiers paroissiaux ai cahiers de doléances: il colpo di mano borghese
Tra i cahiers paroissiaux e i cahiers de doléances che furono presentati ufficialmente agli Stati Generali, si inserisce una fase cruciale: l’elezione dei deputati del Terzo Stato e la selezione dei quaderni finali. Questo processo elettorale favoriva strutturalmente la borghesia: solo gli uomini con un certo livello di censo o notabilità potevano essere eletti, e i dibattiti furono monopolizzati dai notabili locali.
Il risultato è inequivocabile: i cahiers de doléances presentati a Versailles nel maggio 1789 sono dominati da un linguaggio più giuridico che sociale, da preoccupazioni di ordine costituzionale (libertà pubbliche, fiscalità, rappresentanza) e da rivendicazioni liberiste in campo economico (libero commercio all’estero dei cereali). L’idea di una monarchia costituzionale è onnipresente. Siamo lontani dalle richieste concrete dei contadini affamati dalle carestie del 1788 e dall’inflazione galoppante.
Questa sostituzione delle rivendicazioni popolari con un discorso ultra-liberale (e ben più inquinato ideologicamente) produsse una riconfigurazione del processo rivoluzionario sin dalle sue origini. Il movimento che si annunciava come liberatore ed emancipatore per tutti fu invece orientato verso una nuova distribuzione del potere tra nobiltà e borghesia, marginalizzando completamente gli interessi del popolo lavoratore. Ciò non avvenne in maniera inconscia, anzi, le élites finanziarie e industriali membri del Terzo Stato (ma anche del Primo) agitavano lo spauracchio delle rivendicazioni popolari di fronte a una borghesia assai preoccupata dai moti di insubordinazione del proletariato che scuotevano l’Europa da ormai dieci anni. E la borghesia fu abile, a Versailles, a far capire che solo un’alleanza dei possidenti e dei nuovi ricchi poteva tenere a bada la canaglia popolare. Altro che rivoluzione! Tutto doveva cambiare perché nulla cambiasse.

4. Una rivoluzione tradita: legittimazione e rimozione
Questo fenomeno non è secondario. Si inserisce in una dinamica più ampia di appropriazione politica. Una volta trasformati gli Stati Generali in Assemblée nationale, e poi in Assemblée constituante, le grandi figure della Rivoluzione (Sieyès, Barnave, Mirabeau) agiscono non in nome del popolo rurale o urbano, ma in quello della borghesia colta e possidente, desiderosa di rimpiazzare l’aristocrazia al controllo delle leve del potere. Il celebre pamphlet di Sieyès, Qu’est-ce que le Tiers-État?, è emblematico: parla di un Terzo Stato laborioso, utile, meritevole, ma si riferisce solo ai ceti industriali e finanziari, non certo a contadini e operai.
Le riforme che seguiranno tra il 1789 e il 1791, beneficiarono solo i possidenti. Non dimentichiamo la legge del 14 giugno 1791 (la Loi Le Chapelier) che vieterà ogni associazione di lavoratori. I contadini e gli operai rimasero a bocca asciutta. Solo con la radicalizzazione del 1793, sotto la spinta di Robespierre, alcune delle loro rivendicazioni furono accolte, ma solo temporaneamente, prima di essere nuovamente marginalizzate sotto il Direttorio di Barras e infine umiliate dal Consolato di Bonaparte.

5. Conclusione: Una rivoluzione incompiuta per i lavoratori
L’analisi incrociata tra cahiers paroissiaux e cahiers de doléances mette in luce una verità spesso sottaciuta: la Rivoluzione francese fu, fin dalle sue origini, attraversata da un conflitto di classe interno al Terzo Stato. Sotto l’apparente unità nazionale, si cela una frattura strutturale tra due componenti del popolo: la borghesia, desiderosa di potere, e i lavoratori manuali, portatori di istanze di giustizia sociale.
Questa frattura riemergerà costantemente nel corso della Rivoluzione, nei conflitti tra Girondini e Giacobini, tra sans-culottes e termidoriani, tra rivendicazioni sociali e calcoli politici borghesi. Essa rappresenta una chiave di lettura imprescindibile per comprendere come e perché la Rivoluzione, pur operando una trasformazione profonda dell’ordine politico e giuridico, abbia lasciato intatte molte diseguaglianze economiche e strutturali.
Lungi dal discreditare la Rivoluzione, questa lettura ne rivela tutta la complessità: essa ci ricorda che ogni movimento popolare è segnato da rapporti di forza, e che la voce del popolo è buona solo in fase di propaganda.
È importante anche ricordare come in Francia, in un capitolo così scottante della storia europea, gli unici che si schierarono apertamente con il popolo e per il popolo, furono i curati di campagna.

Luca Costa

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