Giustizia a orologeria

La riforma o la vita: il far west della magistratura italiana, uno scandalo inaccettabile
Autore:
Luca Costa
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
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La recente notizia dell’indagine a carico della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, insieme ai ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano, per favoreggiamento e peculato nel caso del generale libico Osama Almasri, solleva interrogativi inquietanti sul ruolo e sulle intenzioni della magistratura italiana.
Questa inchiesta, più che un atto di giustizia, ha tutto il sapore di una vendetta. Una reazione rabbiosa di un potere che si sente minacciato dalle riforme e dai cambiamenti promossi dal governo. Sarebbe questo lo “stato di diritto”? Il sacro graal di cui la sinistra si riempie la bocca solo quando serve a proteggere i privilegi di una magistratura che sembra credersi intoccabile?

Indipendenza della magistratura? Certo, nessuno la nega. Autonomia dei giudici? Ovviamente, è garantita dalla Costituzione. Ma autonomia e indipendenza non significano onnipotenza, né diritto al protagonismo politico, né tantomeno licenza di ingaggiare una lotta continua contro chiunque osi mettere in discussione il loro strapotere.

La magistratura italiana non è santa, e la nostra Costituzione non le conferisce alcun diritto di immischiarsi nella politica. Nessuno ha mai attribuito ai giudici il potere di usare indagini e avvisi di garanzia come strumenti di pressione e ricatto, con metodi che ricordano più da vicino certe pratiche mafiose che non l’imparzialità e la terzietà di cui i giudici dovrebbero essere garanti.

È inaccettabile che una casta autoreferenziale di magistrati, intoccabili e irresponsabili, possa condizionare il corso della democrazia attraverso azioni di minaccia. Il sistema delle correnti, le logiche da contrada, le manovre occulte dentro il CSM: tutto ciò è ormai evidente, palese (vedi il caso Paiamara), eppure nessuno sembra avere il coraggio di denunciare la deriva di un potere assoluto che non risponde a nessuno, non certo al popolo, né al parlamento, a nessuno!

Il tentativo di riformare la giustizia in Italia è sempre stato ostacolato da una magistratura accartocciata su se stessa, che vuol essere libera di “funzionare” lentamente, male, una casta inefficace e ideologicamente corrotta, pronta a colpire chiunque osi metterla in discussione. Il popolo italiano esige una riforma della giustizia, tanto profonda quanto decisiva. Meloni e il suo governo tentano di mettere ordine in questo sistema marcio, ed ecco che arriva puntuale la rappresaglia sotto forma di inchieste e avvisi di garanzia.

La politica non può restare ostaggio di questo vespaio di calabroni militanti. È ora di riaffermare che in una democrazia i poteri devono essere equilibrati e controllati in maniera da permettere al cittadino di comprenderne l’azione, azione che deve essere trasparente e mai valicare i limiti imposti dalla Costituzione. La magistratura deve tornare a fare il proprio lavoro: applicare la legge, non scriverla, né manipolarla; indagare i reati, non influenzare la politica. Non sta scritto da nessuna parte che le riforme della magistratura sono vietate.

Se questo è lo Stato di diritto che certa magistratura e certa sinistra difendono con tanto fervore (quando fa comodo a loro, almeno), allora è evidente che c’è bisogno di una profonda revisione del sistema. Perché in uno Stato veramente democratico la giustizia deve essere al servizio della legge, a servizio del popolo e non un’arma di lotta politica nelle mani di una cricca di ambiziosi moralmente corrotti.

Luca Costa