I fatti di Milano, un giudizio

Una poliziotta in lacrime: simbolo di uno Stato che non sa difendere più nulla e di un popolo spossessato di tutto, anche della sicurezza
Autore:
Luca Costa
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
Vai a "Ultime news"

La notte del 31 dicembre 2024, in Piazza Duomo a Milano, è avvenuto qualcosa di drammatico e indegno per un Paese che si definisce civile. Gruppi di giovani, in gran parte di origine magrebina, hanno trasformato quello che dovrebbe essere un momento di festa in un incubo per molte donne, italiane ed europee, vittime di violenze fisiche, sessuali e psicologiche. Le immagini e i racconti di quella notte dipingono uno scenario di anarchia, di paura e di impotenza, simboleggiato in modo straziante dalle lacrime di una poliziotta, piegata sotto il peso non solo della violenza che aveva il compito di contenere, ma anche di uno Stato che non le ha dato i mezzi per farlo.

I fatti: caos e violenza senza conseguenze

Decine di denunce sono state presentate, ma il bilancio della notte è agghiacciante: molestie, aggressioni sessuali, rapine. Le vittime parlano di mani ovunque, insulti, violenze consumate con una brutalità sconvolgente. Secondo i dati preliminari, la maggior parte dei responsabili identificati appartiene a gruppi di giovani magrebini, molti dei quali già noti alle forze dell’ordine. Eppure, nonostante le prove schiaccianti, praticamente nessuno è stato arrestato e, probabilmente, nessuno sarà condannato.
Questo è il punto cruciale: è il simbolo di uno Stato immobile, incapace di garantire la sicurezza ai propri cittadini. Le strade delle nostre città sono sempre più terreno di caccia per chi non ha alcun rispetto per le nostre leggi, la nostra cultura e, soprattutto, le nostre donne.

La radice culturale della violenza: il corano e il bottino

Non possiamo ignorare che queste violenze abbiano una radice anche culturale. La Sura 8, “Al- Anfal”, del Corano – nota come la Sura del Bottino – parla chiaramente di come i beni, e persino le donne, degli infedeli possano essere considerati un premio per i fedeli. Questa interpretazione, per quanto rifiutata dai musulmani moderati, viene utilizzata da molti come giustificazione per considerare le donne europee non come persone, ma come prede.
Questa mentalità è il vero veleno che alimenta le “orde” di giovani che, non integrati e spesso respingenti verso i nostri valori, considerano la libertà delle donne occidentali come una debolezza da sfruttare.

L’Europa ha coltivato la propria impotenza, per garantirsi una falsa innocenza

Da anni, con la scusa dell’antifascismo e del buonismo immigrazionista, abbiamo rinunciato a difendere i nostri confini, le nostre città e persino la nostra dignità. Abbiamo accettato di essere colpevolizzati, di farci carico di tutte le miserie del mondo, in nome di una presunta superiorità morale. Le élite che predicano l’accoglienza indiscriminata lo fanno dalle loro case protette, circondate da scorte e blindature, mentre il popolo paga il prezzo delle loro ideologie.
Le donne che subiscono molestie nelle piazze, i cittadini derubati, gli agenti che piangono per l’impossibilità di fare il proprio lavoro sono il simbolo di una resa totale. E non è solo una resa allo straniero, ma una resa a noi stessi, al nostro bisogno di apparire innocenti di fronte al mondo.

La sicurezza è un diritto, non un lusso

Non possiamo continuare così. La sicurezza non è un lusso, ma un diritto fondamentale. Non si tratta di razzismo o intolleranza, ma di giustizia e rispetto per le vittime, per i cittadini italiani ed europei che chiedono solo di vivere in pace. La violenza di Piazza Duomo è l’ennesimo campanello d’allarme: se non agiamo ora, rischiamo di perdere non solo la nostra sicurezza, ma anche la nostra identità.
Le lacrime di quella poliziotta devono diventare un grido di battaglia, un simbolo non di sconfitta, ma di riscatto. Non possiamo più tollerare che il buonismo cieco e l’immobilismo delle istituzioni continuino a distruggere ciò che abbiamo di più caro: la libertà e la dignità delle nostre donne, del nostro popolo e del nostro Paese.

Luca Costa