Grazie Sammy. Impariamo da te
Ci sono fatti che ci chiedono di fare i conti con la realtà. E di imparare. Così è la storia di Sammy Basso- Autore:
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Era l’anno 1979, quando Augusto Del Noce scriveva questo giudizio per l’Enciclopedia del Novecento (Treccani). Non solo non ha perso d’attualità, ma sembra proprio che se ne riscopra il valore profetico.
«Evidente è la connessione tra la crisi della famiglia e quella della scuola. Questa non si presenta più come l’istituzione in cui il maestro promuove una presa di coscienza di quella civiltà nella quale il nuovo venuto deve entrare e alla quale deve dare continuità. Nell’orizzonte tradizionale, quali che siano le sue molteplici forme di manifestazione, la presa di coscienza, cui il maestro deve condurre, consiste sia nel far emergere quelle verità-valori che sono eterne e dal riconoscimento delle quali - anche in senso trascendentale - ha tratto significato la civiltà, sia nel definire l’idea del Verbo, come Maestro interiore e saggezza increata, partecipando alla quale si rende possibile la comunione degli spiriti in una stessa verità. Oggi, invece, ci troviamo di fronte a una sorta di autogoverno di giovani che si emancipano dal peso del passato, e che si servono dell’insegnante come di un istruttore nelle tecniche di liberazione. La riduzione della tradizione a “passato”, a quel che non è più, spiega la frequente critica di nozionismo (trasmissione di nozioni “morte”) rivolta all’insegnamento tradizionale. Anche questa polemica e la contestazione nella scuola ad essa legata non si spiegano che in rapporto all’eclissi dell’idea di autorità.»
Ma è come se questi giorni, con quello che accade, suggerissero un’altra via per l’uomo. E l’augurio che ne scaturisce è che ci si possa accorgere della novità presente. Dice la Scrittura: «C’è qualcosa di nuovo. Non ve ne accorgete?»
Penso alla vita e alla morte di Sammy Basso, la cui vicenda ha investito come un ciclone ogni spazio di riflessione e di comunicazione. Le sue parole, la sua esperienza, persino quello che ha voluto che si leggesse al suo funerale hanno toccato il cuore di molti (non so se è esagerazione pensare al cuore di tutti). Non c’è stato social che non abbia riportato quanto Sammy ha fatto leggere. E le parole dei genitori sono state la consolante certezza di avere avuto l’occasione di riconoscere che la vita del loro figlio è stata un grande dono: «Grazie per averlo apprezzato e amato per la sua unicità, rendendo la sua fatica più lieve. E grazie a te, Sammy, per essere arrivato come un dono speciale nella nostra famiglia. Per aver colorato la nostra storia. Ci siamo amati, sostenuti e arricchiti a vicenda. Non abbiamo sprecato neppure un sorso della vita», mentre la mamma aveva detto: «Non immaginavo che la risposta sarebbe stata un simile moto d’amore nei confronti di Sammy. Si sta muovendo il mondo. Abbiamo testimonianze da ogni luogo. Perché Sammy ha saputo toccare corde pazzesche, in tutti».
La vita come dono, sempre, in qualunque condizione. Sammy ci ha ricordato questo con il suo esserci, ed anche con le sue parole e i suoi giudizi. Come non ricordare quello che disse a proposito della vicenda del piccolo Alfie?: «Il caso di Alfie Evans mi ha fatto pensare. Non voglio entrare nel tema dell’accanimento terapeutico, né religioso, né morale, ma da persona sottoposta a terapie sperimentali voglio dire la mia. Non riuscirò ad essere obiettivo al massimo, perciò mi scuserete se darò dei giudizi forti (fermo restando che se qualcuno la pensa diversamente, ho piacere di discuterne). Partiamo dal presupposto che, secondo me, la decisione dei giudici britannici è sbagliata, ve ne spiego le ragioni:
-Alfie Evans, che i giudici vogliono lasciar morire staccando le macchine, è stato definito vegetale quando invece è più giusto definirlo disabile grave: ha dato prova di reagire agli stimoli esterni, di essere in grado, se pur in minima parte di nutrirsi da solo, e ha dato prova di poter respirare autonomamente (seppur a fatica). Oltretutto ha dimostrato di essere cosciente.
-È stato detto che Alfie non ha alcuna possibilità di ripresa nonostante non ci sia una diagnosi sulla malattia che lo affligge. I giudici possono presupporre, ma la scienza no, e senza una diagnosi non può essere detta l’ultima parola (e credetemi, in queste circostanze si hanno spesso sorprese).
-vista la situazione è quanto più terribile che i giudici prendano decisioni in contrasto con il volere dei genitori: non essendo “per il bene del bambino” sembra più la presunzione di uno stato totalitario sopra l’umanità delle persone.
-l’Italia si è presa l’onere di provare a capire la malattia di Alfie e a sottoporlo a delle cure sperimentali. Una cura sperimentale, ricordiamoci, consta nel sottoporre dei farmaci o delle procedure mediche a delle persone dopo averle testate in vitro e in vivo su modelli animali, non possono perciò essere pericolose. È la normale via con cui procede la medicina. L’Italia ha persino dato la cittadinanza italiana ad Alfie per avere un più grande potere di giurisdizione su di lui, poterlo curare, o, per lo meno, sostenerlo su un settore, quello delle disabilità pediatriche, molto avanzato nel nostro paese (a livello di conoscenza). Ma il Regno Unito non torna nelle sue decisioni. Non solo non vuole far vivere Alfie ma negano deliberatamente la possibilità e l’opportunità di essere curato!
Perché questa prova di forza? Che cosa questi giudici vogliono dimostrare? Di avere forza anche sulla vita dei cittadini?
Come già detto, non voglio entrare nel merito dell’accanimento terapeutico, ma qui è tutto diverso: si tratta di provare a curare (senza spese per il Regno Unito) una persona che può essere curata. E il rifiuto di farlo mostra una sola cosa: che per molti una vita con una disabilità non solo non è degna di essere vissuta, ma non è nemmeno degna di poter essere migliorata! Questo succede quando si vede la disabilità prima della persona, quando si sottopone l’umanità alla razionalità più bieca, quando chi deve prendere decisioni non ha la minima esperienza diretta di una malattia rara e della sua cura (o della scienza in genere). No, non dico che le decisioni prese erano in malafede, non voglio nemmeno pensarci. Ma penso che sia doverosa una valutazione nuova del problema, visti anche gli ultimissimi sviluppi (Alfie è vissuto senza respiratore dimostrando lo sbaglio di valutazione del suo stato medico). Non so se cambierà qualcosa per Alfie, e per chi come lui è nella stessa situazione, ma la speranza è l’ultima a morire... spero che in questo caso si prenda esempio dall’Italia!»
Ecco: la speranza è l’ultima a morire. E la speranza è che ci si lasci afferrare da questo avvenimento, perché tale è – avvenimento –, qualcosa che irrompe nella vita e che non ci può lasciare indifferenti. La scuola deve ridiventare il luogo in cui la bellezza della vita, sempre, ci trova appassionati. In cui l’amore è l’esperienza più bella. In cui l’amicizia spalanca alla vita e al suo servizio. In cui le generazioni imparano a stimarsi e a crescere insieme. In cui si smette a delegare allo stato ogni scelta, diventando responsabili della propria vite e del proprio destino.
La vita e la morte di Sammy Basso sono una chiamata per tutti noi.
L'immagine di copertina è di Virgilio Notizie
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