Non bastano residenze e cittadinanze, ci vuole una cultura!
Anche a San Marino è grave il problema della denatalità. E ci vogliono soluzioni, non palliativi. Ci vuole una cultura (e una politica) amica della vita.P.S.: E una comunicazione che sappia dare voce a tutti coloro che cercano il bene comune, senza ostracismi
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Domanda: se io, avendo un vecchio coltello a cui si è rotto il manico, sostituisco il manico con uno uguale, ho ancora il mio vecchio coltello identico? E se poi per la stessa ragione cambio la lama, il risultato è che ho «lo stesso» coltello?
Forse, trattandosi di oggetti, posso pensare di sì.
Ma nel caso si tratti di uomini, di esseri umani? Specifico per chiarire: Se a San Marino, per la grave crisi demografica in corso, per avere lo stesso numero di abitanti, penso di importare cittadini dall’estero (beninteso, gente per bene) alla fine ci sarà ancora San Marino? O piuttosto un melting pot [1] che cancellerà la nostra identità e garantirà ai sopravvissuti – fino alla loro estinzione – la pensione e il welfare, ma che, nel lungo periodo, cancellerà la nostra identità?
Lo ribadiamo da molto tempo, la crisi della natalità ha ragioni culturali ed è quindi necessario un cambiamento di rotta nel modo di concepire la vita per ottenere i benefici di una crescita costante e armoniosa.
Finché saremo preda di una cultura nemica della vita, di una educazione che impone ideologie contro la natalità, incapaci di creare un favor vitae, la consapevolezza che nella maternità e paternità si realizza l’uomo, sarà difficile una inversione di tendenza.
Sul Corriere della Sera Gramellini, davanti alla tragedia di quella giovane madre che ha ucciso i suoi due bambini, con determinazione e freddezza, si chiede: «Siamo inquietati dalla doppia personalità della baby-sitter modello che avrebbe ucciso i propri figli appena nati. Ma vogliamo parlare del mondo che le girava intorno?». Chiediamocelo anche noi, e ascoltiamo le parole di un amico, Antonello Iapicca, che così riflette: «Sì, parliamo del “mondo che girava intorno” a Chiara. E no, non solo dei familiari e del fidanzato, ma di tutti quelli che, in ogni occasione, sui media, sui social, ovunque, le hanno mentito dicendo che lei è il suo corpo, e non i figli che aveva nel grembo. Che per questo si possono abortire, cioè uccidere, anzi è un diritto costituzionale sbarazzarsene. Parliamo dell’ambiente tossico per cui i figli non voluti si possono, anzi si devono eliminare… È vero invece che l’ambiente culturale che spinge l’aborto è un ambiente tossico, avvelenato, complice di questi crimini. La propaganda criminale che lava da decenni le menti e spegne le coscienze è più che complice di questo duplice delitto, come di ogni aborto, delitto del tutto identico a questo. È l’ispiratore e l’istigatore.
Nessuna scienza stabilisce alcunché sulla liceità di togliere la vita all’essere umano, che lo è dal concepimento. Sono l’ideologia e una scienza al suo servizio che offrono le menzogne a sostegno del potere politico e finanziario che stabilisce arbitrariamente sino a quando si può uccidere, in Italia sino al terzo mese, in alcuni stati degli Usa sino al nono mese, e così di paese in paese.
Non la scienza, ma il potere, la politica suffragata dall’ideologia e dalla sua propaganda, cioè l’ambiente che girava intorno a questa ragazza che è quello che gira intorno ad ogni persona di questa generazione. No Gramellini, non manca solo “il coraggio di chiedere”, manca il coraggio della Verità, e mancano la dignità, l’intangibilità e l’unicità di ogni gravidanza in cui è custodita la vita di un essere umano sin dal concepimento.
Manca perché la propaganda spara in mille modi contro la figura della madre, che non definirebbe l’unicità e la grandezza di una donna. Una donna è altro, è lavoro, è denaro, è potere, è il suo corpo, è onlyfans e il mostrarsi se vuole…».
Non illudiamoci, non c’è bisogno dell’«effetto placebo» (“San Marino ha solo una chance per superare l’impatto dell’inverno demografico nel breve periodo: puntare su residenze e cittadinanze di giovani e giovanissimi” come afferma Gianluca Spadoni, imprenditore riccionese di nascita e sammarinese d’adozione) per cambiare la situazione, per rilanciare qui a San Marino una autentica comunità civile amante e rispettosa della vita.
Basta ritrovare le nostre radici, che son certo l’identità cristiana – avendo come fondatore e patrono un santo – ma è anche la commovente tradizione di accoglienza, che caratterizza una storia di cui essere fieri, basta riscoprire quella generosità che ha costituito l’aspetto più interessante di una storia e di una economia per l’uomo (ricordo una lezione-testimonianza sulle casse rurali…) che ha sostenuto tante famiglie in periodi di difficoltà e crisi.
Basta forse ritrovare quell’entusiasmo per la vita comune e per la responsabilità che ha saputo creare in Repubblica tanti strumenti di sostegno, nati da una volontà di aiuto solidale che poi si sono incarnate in istituzioni benemerite.
Basta soprattutto vincere quella mentalità statalista che soffoca la libertà di intrapresa e che si illude che siano le soluzioni dello Stato a risolvere quelli che sono i bisogni autentici delle persone. La vita riprende quando se ne diventa responsabili e protagonisti. Le testimonianze in questo senso sono numerose. Basta aprire gli occhi e sbarazzarsi di ideologie e pregiudizi.
Una libera cultura della vita nella «Antica terra della libertà».
[1] Da Wikipedia: «Melting pot è l'espressione che si usa per indicare quel tipo di società cosmopolita che permette la commistione di individui di origini, religioni e culture diverse con il risultato di costruire un'identità condivisa, favorendo così la convivenza di gruppi etnici differenti»
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