«Le tre radici del disinteresse verso il cristianesimo»: chiariamoci
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Caro don Gabriele,
Luigino Bruni nel suo scritto dimostra di essere un perfetto modernista, che accusa la Chiesa di non avere ascoltato Lutero, di averne avuto paura e di non avere sposato la “modernità”.
Siccome esiste una totale incompatibilità tra cattolicesimo e modernismo, ritengo molto utile ricordare quali sono i punti fondamentali di questo dottrina perniciosa professata da Avvenire tramite il Bruni. Userò brani tratti dalla “voce” “Modernismo” (per la lettura completa qui), redatta da Padre Cornelio Fabro per l'Enciclopedia Cattolica all’epoca di papa Pio XII:
MODERNISMO. È l’indirizzo eterodosso, delineatosi fra gli studiosi cattolici alla fine del secolo scorso e nei primi anni del presente, che si proponeva di rinnovare e interpretare la dottrina cristiana in armonia col pensiero moderno. Il termine modernismo ricorre ufficialmente la prima volta nell’enciclica Pascendi dominici gregis del papa Pio X come comune denominazione di un complesso di errori in tutti i campi della dottrina cattolica (S. Scrittura, dogmi, culto, filosofia) per ridurlo al suo nucleo originario.
INDOLE DOTTRINALE.
La gravità dell’errore dogmatico del modernismo è tutta nel suo principio fondamentale. Il modernismo non consiste tanto nell’opposizione all’una o all’altra delle verità rivelate, ma nel cambiamento radicale della nozione stessa di “verità”, di “religione”, di “rivelazione”: l’essenza di questo cambiamento è nell’accettazione incondizionata del “principio dell’immanenza” che sta a fondamento del pensiero moderno. È vero che tale principio teoretico è espresso raramente dai fautori del modernismo in modo sistematico, perché essi si applicano di preferenza alla ricerca positiva della storia della Chiesa, dei dogmi e della Bibbia: tuttavia l’indirizzo critico da loro seguito nelle ricerche è dominato da quel principio, che abbandona senza residui la verità cristiana alla contingenza della cultura umana e dell’esperienza soggettiva. Il modernismo deriva in questo per tramite anche storicamente evidente dal movimento stesso della riforma luterana, come l’enciclica stessa ammonisce (Denz-U, 2086), in quanto la “Riforma” staccò la fede del singolo dall’ossequio all’autorità gerarchica stabilita nella Chiesa visibile. Il principio protestante ebbe la sua versione laica nel soggettivismo gnoseologico kantiano e di qui nel doppio indirizzo dell’idealismo trascendentale di Fichte-Schelling-Hegel che subordinava la religione alla filosofia e dell’irrazionalismo fideistico (più vicino a Kant) di Jacobi-Fries-Schleiermacher, che poneva l’essenza della religione nel “sentimento” individuale del divino.
[…] Il pericolo del modernismo è nella sua estrema duttilità che vuol schivare ogni qualificazione determinata e precisa sia in filosofia come in teologia: infatti i fautori del modernismo sfuggono dall’accettare l’uno e l’altro sistema filosofico in forma integrale, pretenderebbero di aver colto il principio unitario che caratterizza l’uomo moderno al di là e al di sopra delle opposizioni dei sistemi. Questo principio, che forma l’essenza del modernismo, è indicato nell’immanenza vitale intesa come “esperienza privata”. Il suo significato per la conoscenza cristiana è nella “mediazione” che il principio dell’immanenza opera di ogni dato reale, storico e filosofico rispetto ai prolegomeni della fede: l’esistenza di Dio, l’immortalità e la vita futura nel campo strettamente teoretico, e rispetto al valore oggettivo probante dei miracoli e delle profezie nel campo dell’apologetica. Poi nell’àmbito stesso delle verità di fede il modernismo opera tale “mediazione” nel modo più radicale eliminando qualsiasi distinzione effettiva di valore fra le varie religioni e fra gli stessi atteggiamenti più opposti che può prendere il singolo dentro la sua religione. Si può oggi dire che il modernismo ha unificato, in questo principio dell’immanenza, gli indirizzi opposti del fenomenismo, dello storicismo idealista e del fideismo di Kant-Schleiermacher, vale a dire: 1) la “realtà” è l’impressione di coscienza (Hume, James, Bergson); 2) la verità si risolve nel destino o sviluppo della coscienza umana (Hegel); 3) tale coscienza si manifesta e si attesta nell’impressione o percezione intima (“sensus” dell’enciclica Pascendi, “Gefühl” di Schleiermacher), quale si dà al singolo volta per volta. Così i fautori del modernismo hanno potuto protestare di accettare tutta la dottrina della Chiesa, ma in realtà essi respingevano ad un tempo: 1) il concetto di “trascendenza ontologica” di Dio rispetto al creato e alla mente finita così che Dio è sostituito col “divino”; 2) il concetto stesso di soprannaturale così che i dogmi sono ridotti a “simboli” e ad “approssimazioni”; 3) il concetto infine di “magistero ecclesiastico” la cui autorità impegna per quel tanto in cui la coscienza privata del singolo si trova in accordo con l’autorità esterna.
[…] Giustamente perciò l’enciclica qualifica il modernismo non tanto di eresia quanto di “compendio di tutte le eresie”; si potrebbe quasi chiamare “l’eresia essenziale” in quanto capovolge e nega la garanzia stessa dell’ortodossia, cioè il supremo magistero, che mediante l’assitenza dello Spirito Santo continua nella Chiesa secondo la promessa di Gesù Cristo.
ERRORI PRINCIPALI.
L’enciclica Pascendi dichiara nel modo più perentorio che il modernismo, a causa della sua professione di soggettivismo radicale, trapassa al di là di ogni religione nell’agnosticismo assoluto e quindi di necessità finisce nell’ateismo. Il Programma dei modernisti, pubblicato nel nov. 1907 come risposta all’enciclica, lungi dallo scagionarlo, risulta una conferma punto per punto della opportunità e fondatezza della condanna papale.
2. MODERNISMO teologico. Al principio del cristianesimo non c’era che la fede intensamente vissuta, senza dottrine definite o dogmi: questi sono “incrostazioni depositate dalla riflessione di coscienze esaltate, specialmente di s. Paolo, ma estranee al contenuto primitivo del Vangelo di Gesù ch’era un caldo e appassionato annuncio del regno imminente e un invito alla purificazione interiore” (ibid., pp. 74, 88). Altrettanto dicasi della dottrina dei primi Padri, dai quali esula ogni tendenza dogmatica così che è “arbitrario e aprioristico” far risalire all’insegnamento primitivo di Gesù e dei suoi primitivi seguaci i dogmi dei concili e specialmente la fede del Concilio di Trento nella loro espressione. La “evoluzione dei dogmi” è stata, secondo il modernismo, l’effetto dell’adattamento vitale “indispensabile al cristianesimo per sopravvivere nell’ ambiente ellenistico in cui venne a trovarsi fuori della Palestina, e ciò vale specialmente per i dogmi fondamentali trinitario e cristologico e per l’organizzazione della Chiesa” (ibid., p. 81 sgg.). Così che “tutto è cambiato nella storia del cristianesimo, pensiero, gerarchia e culto: l’elemento costante di verità ai primi tempi della Chiesa, nei secoli seguenti, compresa la scolastica e il Concilio di Trento che la canonizzò, come ai nostri giorni, è l’esperienza religiosa ch’è sempre identica negli uni e negli altri” (ibid., p. 92). In tutta la storia del Vecchio e del Nuovo Testamento si attua “la continuità di una Rivelazione che nella coscienza umana il divino fa di se stesso sempre più intensamente” (ibid., p. 111): dogmi, organizzazione ecclesiastica, Sacramenti… non sono che mezzi per realizzare quell’esperienza più profonda del divino: e i fautori del modernismo auspicano di poter in futuro farne a meno (ibid., p. 112).
CRITICA. Il Programma ha confermato pertanto tutti i principali capi d’accusa dell’enciclica Pascendi e quale principio ispiratore nella concezione della fede, della storia, delle formole dogmatiche, della gerarchia, del culto: l’esperienza privata soggettiva. Tale criterio dell’esperienza privata è presentato come il risultato indiscusso e definitivo del pensiero moderno che dovrebbe costituire la formola unica della possibilità della verità religiosa per la coscienza umana in generale. Il modernismo, sfruttando ed esasperando l’insufficienza critica di alcune posizioni tradizionali nel campo dell’esegesi e della storia della Chiesa, ha cambiato sostanzialmente l’interpretazione dei dati e del significato stesso della fede, della religione naturale e della funzione della ragione umana. È stato così rigettato in blocco il realismo greco-cristiano che aveva per fondamento la distinzione dell’uomo dal mondo e da Dio e la distinzione dell’ordine naturale dall’ordine soprannaturale; con ciò si aboliva ogni vestigio di trascendenza. Viene eliminato di conseguenza ogni valore assoluto e trascendente dei primi principi della ragione e con essi è tolta la possibilità della struttura logica del discorso e la validità di ogni posizione metafisica. A nulla valgono le proteste di alcuni modernisti di accettare integralmente la dottrina cattolica, perché il modernismo ha nel “principio d’immanenza vitale” il veleno corrosivo non solo dell’essenza e delle verità di fede ma del valore oggettivo di qualsiasi verità assoluta di fatto e di ragione e ritorna al principio di Protagora che “l’uomo è misura di tutte le cose” (Theaet., 152, framodernismo B I). Il modernismo, ancora pur derivando per canali molteplici dal soggettivismo del pensiero moderno, non presenta alcuna consistenza teoretica perché non s’impegna a fondo con nessun sistema di filosofia determinata, così che si risolve in un fenomeno di “contaminazione teoretica” e di superficiale concordismo. La contaminazione però più essenziale è stata il tentativo d’interpretare l’esperienza intima del soggetto (autocoscienza) in diretta continuità e come espressione unica autentica della vita religiosa e di prendere la coscienza religiosa comune o naturale come l’essenza o il comune denominatore della stessa divina Rivelazione e della vita della Grazia. La realtà è che ogni esperienza religiosa, nell’ambito della vita della Grazia e della fede, può avere soltanto un valore secondario e in dipendenza della Rivelazione e del magistero ecclesiastico.
[…] Il pericolo del modernismo non è mai completamente debellato perché è insita nella ragione umana, corrotta dal peccato, la tendenza a erigersi a criterio assoluto di verità per assoggettare a sé la fede. Un tentativo affine al modernismo teologico è la cosiddetta “théologie nouvelle” comparsa in Francia dopo la II guerra mondiale ed energicamente denunziata dall’enciclica Humani generis (12 ag. 1950) di Pio XII.
Consiglio vivamente di leggere lo scritto di p. Fabro nella sua interezza.
Alcune chiose finali. Il padre Fabro mette il dito nella piaga quando cita la “théologie nouvelle” francese, dichiarandola affine al modernismo. Tale teologia è risultato essere quella vincente nel Concilio Vaticano II ed oltre, in questo modo oggi il neo modernismo ha infettato la Chiesa ed i suoi giornali.
L’articolo di Bruni è in completa opposizione non solo a quello di Fabro, ma a tutta la dottrina della Chiesa cattolica.
Il modernismo è la cloaca di tutte le eresie, nega tutte le verità di fede, mette al centro l’uomo al posto di Dio e termina logicamente nell’ateismo. Il pensiero corre al n. 675 del Catechismo della Chiesa Cattolica:
675 Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il «mistero di iniquità» sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell'apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell'Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l'uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne.
È ormai evidente che la grande apostasia è già molto in atto con i suoi imbonitori a fare da grancassa.
P.S. Martin Lutero può essere considerato il padre di tutti modernisti. Le stesse parole di Lutero sono l’antidoto migliore al suo pensiero filosofico e teologico.
Avverto i lettori che i brani citati sono sempre “lesivi delle orecchie pie”, “eretici” ed in alcuni casi contengono “locuzioni ingiuriose contro Dio”:
Su Dio e su Gesù Cristo
“(Dio) E’ un tiranno. Mosè agiva mosso dalla sua volontà, come suo luogotenente, come boia che nessuno superò e nemmeno eguagliò nello spaventare, atterrire e martirizzare il povero mondo” (Discorsi a tavola, ed. di Weimar, I, p. 230)
Dio il vero responsabile del tradimento di Giuda e della rivolta di Adamo: “Lutero – commenta Funck Brentano – arriva a dichiarare che Giuda, tradendo Cristo, agì per imperiosa decisione dell’Onnipotente. La sua volontà (di Giuda) era diretta da Dio; Dio lo muoveva con la sua onnipotenza. Lo stesso Adamo, nel paradiso terrestre fu costretto ad agire come agi. Egli fu messo da Dio in una situazione tale che gli era impossibile non cadere” (Discorsi a tavola, ed. di Weimar, I, p. 246).
“Cristo commise adulterio prima di tutto con la donna che incontrò al pozzo di Giacobbe, di cui San Giovanni scrisse: “In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: “Che desideri”, o “Perché parli con lei”? Dopo di lei fu la volta di Maria Maddalena, e poi venne la donna colta in flagrante adulterio che Cristo congedò così gentilmente. Quindi, anche Cristo, pur essendo così retto, si è reso colpevole di fornicazione prima di morire”. (Cfr. Martin Lutero, Tischredden, edizione di Weimar, nº 1472, vol. II, pag. 107; cit. in F. Brentano, Martinho Lutero, Ed. Vecchi, Rio de Janeiro 1956, pag. 15.)
“Non pensate che Cristo ubriaco, perché aveva bevuto troppo all’Ultima Cena, abbia sconcertato i Suoi discepoli col suo parlare a vanvera?” (Cfr. F. Brentano, op. cit., pag. 135.)
“Deus est stultissimus” (Dio è molto stolto). “Certamente Dio è grande e onnipotente, buono e misericordioso, e tutto ciò che si può immaginare in questo senso, ma è anche stolto” (Cfr. Martin Lutero, op. cit., nº 963, vol. I, pag. 487; cit. in F. Brentano, op. cit., pag. 147)
“Dio si è sempre comportato come un pazzo” (Cfr. Martin Lutero, op. cit., nº 963, vol. I, pag. 487; cit. in F. Brentano, op. cit., pag. 111)
Sulla Santa Messa
“Quando la Messa sarà scalzata, avremo scalzato il papato! Perché è sulla Messa, come su di una roccia, che poggia completamente il papato, con i suoi conventi, le sue Diocesi, le sue Università, i suoi altari, i suoi ministri e le sue dottrine […]. Tutto ciò cadrà in rovina quando sarà abbattuta questa sacrilega e abominevole Messa” (Cfr. D. Raffard de Brienne, Lex Orandi: La Nouvelle Messe et la Foi, 1983.)
Sull’Offertorio: “Poi segue quell’abominazione che viene chiamata “Offertorio”, nel quale tutto esprime oblazione”. (Cfr. H. Chartier, La Messe Ancienne et la Nouvelle, 1973.)
Sul Canone della Messa: “Questo Canone abominevole è una raccolta di lacune confuse […]. Esso fa della Messa un sacrificio; altri offertori vengono aggiunti. La Messa non è un sacrificio o l’azione di chi sacrifica. Noi lo consideriamo un sacramento o un testamento. Permetteteci di chiamarlo una benedizione, l’eucaristia, la tavola del Signore o il memoriale del Signore” (Cfr. Lutero, Sermone della 1ª Domenica di Avvento.)
Sulla tattica da usare per introdurre la messa protestante: “Per giungere sicuramente e felicemente alla nostra mèta, dobbiamo conservare alcune delle cerimonie della vecchia Messa, così verrà accettata anche dall’indeciso che potrebbe rimanere scandalizzato da cambiamenti troppo frettolosi” (Cfr. J. Maritain, Trois Réformateurs.)
“Che pazzia voler monopolizzare il sacerdozio solo per pochi!” (Cfr. Mons. L. Cristiani, Du Lutheranisme au Protestantisme, 1900.)
Sulla Chiesa Cattolica
“Se condanniamo i ladri ad essere impiccati, gli scassinatori al patibolo e gli eretici al fuoco, perché mai non dovremmo usare tutte le nostre armi contro questi dottori di perdizione, questi cardinali, questi papi e tutto il codazzo della Sodoma romana affinché non possano più corrompere la Chiesa di Dio? Per quale motivo non dovremmo lavare le nostre mani nel loro sangue” (Cfr. H. Guisar, Martin Luther: La Vie et son Oeuvre, Lethielleux, Parigi 1931.)
Lutero scrivesse a Melantone, a proposito delle sanguinose persecuzioni di Enrico VIII contro i cattolici inglesi: “E’ permesso abbandonarsi alla collera, quando si sa che specie di traditori, ladri ed assassini sono i papi, i loro cardinali, i loro legati. Piacesse a Dio che vari re d’Inghilterra si impegnassero a farli scomparire” (Discorsi a tavola, ed. di Weimar, I, p. 254).
Questo odio accompagnò Lutero fino alla fine della sua vita. Afferma Funck Brentano: “La sua ultima predica pubblica a Wittemberg è del 17 gennaio 1546: ultimo grido di maledizione contro il papa, il sacrificio della Messa, il culto della Vergine” (Discorsi a tavola, ed. di Weimar, I, p. 340).
Circa la Coscienza e la morale
“Dio ti obbliga solo a credere e a confessare. In tutte le altre cose ti lascia libero e signore di fare quello che vuoi, senza pericolo alcuno di coscienza; anzi è certo che, per sé, Egli non se ne cura, quand’anche lasciassi tua moglie, abbandonassi il tuo padrone e non fossi fedele ad alcun vincolo. Che importa a Dio se fai o smetti di fare cose simili?” (Werke, ed. di Weimar, XII, p. 131 e ss.; cfr. op. cit., p. 446).
“Sii peccatore e pecca fortemente (esto peccator et pecca fortiter) ma con ancora più fermezza credi e rallegrati in Cristo, vincitore del peccato, della morte e del mondo. Durante la vita presente dobbiamo peccare. E’ sufficiente che, grazie alla misericordia di Dio, conosciamo l’Agnello che toglie i peccati del mondo. Da lui non deve separarci il peccato, perfino se commettessimo mille omicidi e mille adulteri ogni giorno”. a Melantone, del 1° agosto 1521 (Briefe, Sendschreiben und Bedenke, ed. cit., II, p. 37; cfr. op. cit., p. 439.)
Chi fosse nella tentazione del demonio: “deve bere con più abbondanza, giocare, divertirsi e anche fare qualche peccato in odio e dispetto al diavolo, per non dargli il pretesto di turbare la coscienza con fanciullaggini […] Tutto il decalogo deve svanirci dagli occhi e dall’anima, se siamo tanto perseguitati e molestati dal diavolo” (Briefe, Sendschreiben und Bedenken, ed. De Wette, Berlino, 1825-1828; cfr. op. cit., pp. 199-200.)
Di se stesso
“Sono un uomo esposto e coinvolto nella vita di società, nella crapula, nelle passioni carnali, nella negligenza ed in altre molestie, alle quali si vede aggiungere quella del proprio ufficio” (Briefe, Sendschreiben und Bedenken, ed. De Wette, I, p. 232; cfr. op cit., p. 198.)
“Io mi trovo qui insensato e indurito, sprofondato nell’ozio, ahimè!, pregando poco e senza più gemere per la Chiesa di Dio, perché nelle mie carni indomite ardo di grandi fiamme. Insomma, io che dovrei avere il fervore dello spirito, ho il fervore della carne, della libidine, della pigrizia, dell’ozio e della sonnolenza” Lettera a Melantone del 13 giugno 1521. (Briefe, Sendschreiben und Bedenken, ed. De Wette, II, p. 22; cfr. op. cit., p. 198.)
“Da mattina a sera non faccio altro che bere. Chiedetemi perché bevo così tanto, perché parlo così loquacemente e perché mangio così spesso. Lo faccio per imbrogliare il diavolo che viene a tormentarmi […]. È mangiando, bevendo e ridendo in questo modo e talvolta anche di più, e anche commettendo qualche peccato, che sfido e disprezzo Satana tentando di sostituire i pensieri che il diavolo mi suggerisce con altri pensieri, come ad esempio pensando con avidità ad una bella ragazza o ad una ubriacatura. Se non facessi così diventerei oltre modo furioso” (Cfr. MODERNISMO Carré, J’ai choisi l’Unité, DPF, 1973.)
“Ho avuto fino a tre mogli nello stesso tempo” (Cfr. G. Le Rumeur, La Révolte des Hommes et l’Heure de Marie, 1981.) “Quanto a me confesso – e molti altri potrebbero fare senza dubbio uguale confessione – che sono trascurato tanto nella disciplina, quanto nello zelo, sono molto più negligente ora che sotto il papato; nessuno ha oggi per il Vangelo l’ardore che si vide un tempo” (Saemtliche Werke, ed. de Plochmann Irmischer, XVIII, p. 353; cfr. op. cit., p. 441.)
Parlando di se stesso: “Non vi sembra un uomo stravagante questo Lutero? Quanto a me, penso che egli è Dio. Altrimenti, come avrebbero i suoi scritti e il suo nome la potenza di trasformare mendicanti in signori, asini in dottori, falsari in santi, fango in perle?” (ed. di Wittemberg, 1551, t. IV, p. 378; cfr. op. cit., p. 190).
Sugli effetti della sua Riforma
“Il Vangelo oggidì trova seguaci che si persuadono che esso non è altro che una dottrina che serve per riempire il ventre e sfogare tutti i capricci” (Werke, ed. di Weimar, XXXIII, p. 2; cfr. op. cit., p. 212.)
I suoi seguaci evangelici: “sono sette volte peggiori di una volta. Dopo la predicazione della nostra dottrina, gli uomini si sono dati al furto, alla menzogna, all’impostura, alla crapula, all’ubriachezza e a ogni genere di vizi. Abbiamo espulso un demonio (il papato) e ne sono venuti sette peggiori” (Werke, ed. di Weimar, XXVIII, p. 763; cfr. op. cit., p. 440.)
“Dopo che abbiamo compreso che le buone opere non sono necessarie per la giustificazione, siamo rimasti molto più rilassati e freddi nella pratica del bene, e se oggi si potesse tornare all’antico stato di cose, se di nuovo rivivesse la dottrina che afferma la necessità di fare il bene per essere santo, altra sarebbe la nostra alacrità e prontezza nell’esercizio del bene” (Werke, ed. di Weimar, XXVII, p. 443; cfr. op. cit., p. 441.)
“Non vi ha nessuna religione in tutta la terra che insegni questa dottrina della giustificazione; io stesso, anche se la insegno pubblicamente, con gran difficoltà la credo nei particolari” (Werke, ed. di Weimar, XXV, p. 330; cfr. op. cit., p. 158.)