Napoleone si è veramente convertito?

Recentemente rilanciata da Antonio Socci e da LaBussolaQuotidiana, dopo la pubblicazione con prefazione del cardinal Biffi del 2014, l’ipotesi della conversione di Napoleone Bonaparte continua ad accattivare cattolici e non. Ma cosa sappiamo dei documenti sui quali poggia tale ipotesi?
Autore:
Luca Costa
Fonte:
CulturaCattolica.it
Vai a "Ultime news"

Tali documenti, nella forma di “memorie” o “conversazioni” attribuite allo stesso Napoleone durante l’esilio di Sant’Elena, sono presentate con diversi titoli:
- Sentimento di Napoleone sul Cristianesimo.
- Conversazioni religiose raccolte a Sant’Elena dal conte generale di Montholon.
- La divinità di Gesù Cristo dimostrata da Napoleone I a Sant’Elena.

A riguardo di essi, è legittimo domandarsi:
1. chi li ha scritti? e perché?
2. i contenuti di questi testi sono veritieri? Napoleone si è davvero convertito sul letto di morte? Cosa pensava del Cristianesimo?

1) Inutile tergiversare: Napoleone non è l’autore delle “conversazioni” o delle affermazioni a lui attribuite.

L’autore si chiama Robert-Augustin de Beauterne (1803-1846), nipote di un anonimo sottufficiale di Napoleone.
Apologeta cattolico, moralista cristiano, la sua prima opera (concepita come regalo per la prima comunione dei bambini) è Mort d’un enfant impie e conosce due pubblicazioni successive nel 1837/38. L’autore vi racconta la vicenda della sua conversione personale e conclude con una riflessione sugli ultimi giorni di Napoleone a Sant’Elena: Mort de Napoléon religieux, dove esalta Bonaparte come uomo, politico e cristiano modello.
Il capitolo su Napoleone, tuttavia, non incontra il favore del pubblico cristiano, alquanto tiepido nei confronti di un uomo che ha invaso gli Stati pontifici, rapito il papa, che lo ha costretto a un concordato a dir poco infame, aggiungendovi poi di suo pugno una serie di articoli detti “organici” che lo rendono ancora più intollerabile, ecc. bref, i cattolici francesi non se la bevono così facilmente.
Beauterne però non molla, sa che l’operazione di conciliazione tra bonapartisti e cattolici interessa non poco gli eredi di Napoleone. Lo scrittore intuisce che si possono fare bei soldoni, l’importante è trovare il modo di autenticare la conversione di Napoleone, mettere la firma di un testimone oculare sulla prossima edizione. E quale miglior testimone del generale Montholon? Personaggio controverso (a dir poco), a Sant’Elena con Napoleone, al suo ritorno in Francia si ritrova in bancarotta, coinvolto in loschi affari politici e finanziari, salvato in extremis proprio da quel Louis-Napoléon che aspira a diventare il nuovo padrone della Francia.
Ci penserà proprio Montholon ad attestare la veridicità delle “conversazioni sul cristianesimo” di Napoleone!
È il 1840 e l’occasione è ghiotta, le ceneri dell’Empereur tornano in Francia e Beauterne ne approfitta per pubblicare una versione riveduta e corretta del suo libro, accompagnata da un nuovo titolo: Conversazioni religiose di Napoleone. È un successo, una nuova edizione annuale fino al 1843 quando il titolo diviene: Sentimento di Napoleone sulla divinità, pensieri raccolti a Sant’Elena dal Conte di Montholon. Ancora riedizioni nel 1844 e nel 1845.
Ricordiamo che solo nel 1846 Charles-Tristan de Montholon pubblicherà le sue memorie di Sant’Elena (Récits de la captivité de l’Empereur Napoléon à Sainte-Hélène), pagine scritte in prigione (per dire quanto fosse “specchiata” la persona di questo intimo di Napoleone, d’altronde quest’ultimo amava dire: io mi circondo solo di canaglie, le brave persone non sono che dei buoni a nulla) piene di errori sui vari monologhi della cattività di Napoleone, pagine tra le quali non troviamo (come invece sarebbe legittimo aspettarsi) clamorose conversioni, corrispondenti a quanto scritto da Beauterne.

Nel 1848, Louis-Napoléon Bonaparte è eletto Presidente della Repubblica, ben presto sarà imperatore dei francesi con il nome di Napoleone III. A differenza dell’illustre zio, Napoléon III è ben deciso a intraprendere una politica clericale che concede molte libertà alla Chiesa (anche in ambito educativo e scolastico), Chiesa ancora concepita come parte dell’amministrazione statale, ma senza le pressioni, le minacce e i ricatti come fu con Napoleone I. La riconciliazione tra cattolici e bonapartisti è ormai compiuta, e Beauterne può riposare in pace (muore nel 1846).

Gli succede immediatamente, nel compito di continuare la sua opera, lo scrittore bonapartista Bathild Bouniol che, in pieno Second Empire, pubblica quattro volte una versione (ancora riveduta e corretta) della conversione di Napoleone, stavolta dal titolo : Sentimento di Napoleone sul Cristianesimo, dal 1860 (anno importante per la Francia, referendum di annessione di Nizza e della Savoia, molto cattoliche) al 1868 , e poi ancora un’altra versione (quattro edizioni dal 1865 al 1876) dal titolo: La Divinità di Gesù Cristo dimostrata dall’imperatore Napoleone a Sant’Elena, nella quale possiamo identificare il testo pubblicato in Italia nel 2014, con la prefazione del Cardinal Biffi.
Perché nel 2014? Perché l’opera, caduta nel dimenticatoio nella stessa Francia, torna in auge proprio nel 2014, edita da Rocher con prefazione del celebre storico bonapartista Jean Tulard, intitolata Conversations sur le christianisme. Pubblicazione di cui l’edizione voluta da Biffi rappresenta la traduzione, niente di più, niente di meno.

Nella sua prefazione, Jean Tulard ha appena la decenza di ricordare come la più importante e autorevole delle raccolte memoriali di Sant’Elena, quella del generale Bertrand, non menzioni alcuna conversione di Napoleone.
Non dimentichiamo che Bertrand (che non aveva nulla dell’anticlericale, come invece affermato di recente in Italia da chi insiste con la bufala della conversione di Bonaparte) attesta nei suoi Cahiers (pubblicati solo nel 1949, perché bisognosi di una titanica opera di decifrazione) che l’imperatore è morto ben saldo nel suo agnosticismo, Napoleone afferma non solo che Gesù non fosse Dio, ma anche che secondo lui non fosse nemmeno esistito!
Tuttavia, Tulard presenta le Conversations come autentiche, come opera dello stesso Napoleone! Il testo non è accompagnato da alcun apparato critico (note o quant’altro) e pare proprio che chi legge sia invitato a credere alla lettera ogni parola che si trova davanti. Il che è assai clamoroso per uno storico del calibro di Tulard.
Inoltre, il lettore non dispone di alcun elemento, di alcuna informazione, di nessun supporto circa il contesto di elaborazione dell’opera, né sui suoi precedenti editoriali. Nulla, così come sarà il nulla per l’edizione italiana.

Sarebbe stato interessante ripercorrere almeno le vicende editoriali del testo: le modifiche, i copia-incolla, i tagli e le aggiunte intervenute nel corso di oltre trent’anni di parabola editoriale, sia con Beauterne che con Bouniol.
Peggio ancora, l’edizione del 2014 non riporta nemmeno le referenze bibliografiche menzionate dagli autori del testo nelle loro pubblicazioni!
Un solo esempio: non troviamo alcuna nota per il passaggio che ci presenta un Napoleone intento a leggere il Nuovo Testamento (ovviamente un episodio inventato) mentre fa il bagno nella sua vasca, episodio che è tratto dalle memorie del dottor O’Meara,1822, mentre nella versione originale di Beauterne la nota che rimanda a O’Meara è ben presente !

Ma la cosa più intollerabile è il designare Napoleone come l’autore del contenuto del libro, sia sulla copertina che sulla pagina di apertura, occultando completamente sia il nome di Beauterne che quello di Bouniol! Si crea così un vero e proprio falso dal punto di vista storico e storiografico.

Come abbiano potuto il Cardinal Biffi prima, e coloro che insistono ancora oggi con la favola della conversione di Napoleone poi, dare credito a un’operazione editoriale del genere… è assai arduo da spiegare.

Questa assenza di rigore è ancora più grave se pensiamo al fatto che l’opera non è priva di interesse, anzi! è uno strumento prezioso per comprendere il fulcro della battaglia ideologica che ha preceduto la presa del potere di Napoleone III. Testimonia poi, cosa ancora più interessante, di quanto fosse viva e scottante tra i cattolici francesi la memoria delle nefandezze anticattoliche di Napoleone Bonaparte, memoria che ha reso necessaria una vera e propria opera di riabilitazione “morale/teologica” affidata a Beauterne e ai suoi complici dai protagonisti del bonapartismo politico della metà del XIX secolo.

2) Ma qual era il vero “sentimento religioso” di Napoleone? Cosa pensava davvero di Dio, della Chiesa e del Cristianesimo?

La famiglia: il padre di Napoleone, Carlo, era totalmente irreligioso, antireligioso, non solo anticlericale. Era d’altronde la prassi nella piccola e media nobiltà del XVIII secolo: un’aristocrazia che ride del cristianesimo e si ammassa nelle logge massoniche, nei clubs, nei saloni, negli instituts.
Madame mère, Letizia, la madre di Bonaparte, era molto superstiziosa e nello stesso tempo totalmente indifferente a ogni questione religiosa.
Per quanto riguarda i fratelli (tutti massoni) e sorelle, gli storici sono unanimi: nessuno scrupolo di disciplina morale o religiosa.

Quanto a Napoleone, alla scuola militare di Brienne, a soli 15 anni, è già radicalmente ateo. Lo dirà a Sant’Elena a Bertrand: “ascoltando allora le prediche dei padri dell’Ordine dei Minimi, mi convinsi di come fosse impossibile per un giovane intelligente, come me, credere a certe fandonie”.
Non possediamo quasi nessun documento scritto con certezza da Napoleone nel corso della sua vita, ha sempre dettato tutto (scriveva malissimo in francese, lui che francese non era), ma sappiamo che un discorso del 1791 all’Accademia di Lione è senza dubbio scritto da lui. E cosa dice?
I preti sono chiamati “ministri di Brahma” (una citazione del suo amato Voltaire), Napoleone parla delle loro “stravaganti pretese” come il celibato ecclesiastico: “il fachiro che si auto-mutila non può che essere un mostro di depravazione”.
Pasqua 1792, in Corsica impegnato in manovre separatiste sulla scia di Paoli, in occasione delle celebrazioni pasquali Bonaparte provoca, di sua spontanea iniziativa, una sommossa contro il colonnello francese Maillard, che dirige Ajaccio, colpevole quest’ultimo di aver accompagnato coi suoi uomini… una processione!

Ma Napoleone, amante di Voltaire (col passare degli anni non leggerà altro), pensa come Voltaire in materia religiosa.
Ecco cosa affermava Voltaire:

“È importante convincere gli uomini che hanno un’anima immortale! È fondamentale far creder loro che esiste un Dio rimuneratore e vendicatore che punirebbe inesorabilmente i contadini che provassero a rubarmi il raccolto!”

E sarà esattamente questa l’impalcatura ideologica di tutti i rapporti di Napoleone col clero francese.

Ecco cosa diceva al suo “complice”, Pierre-Louis Roederer (che sarà ministro a Napoli del re Giuseppe Bonaparte e che scriverà interessanti memorie):

“Quando un uomo muore di fame a pochi passi da un altro che è ricco sfondato, è impossibile che si rassegni alla propria miseria, a meno che accanto a quest’infelice non vi sia un’autorità religiosa che gli dica che Dio lo vuole! e che nell’eternità questo poveraccio otterrà cento volte la compensazione della sua miseria terrena.”

Ancora a Roederer (nel 1800, alla vigilia del concordato):

“La religione? per me non è certo il mistero dell’incarnazione, bensì il mistero dell’ordine sociale. Un popolo senza religione non si governa, si mitraglia”.

“Se non è padrone dei preti, il governo ha tutto da temere da loro. Grave errore quello di chi dice: i preti? me ne infischio. Sarebbe come dire: ecco dei loschi individui che circondano casa mia con delle torce infuocate, lasciateli fare! Una follia!”.

Napoleone ha le idee chiare: il clero francese deve essere onorato e remunerato, ma deve fare quello che dice lui. Senza discutere. Una Chiesa in suo totale controllo. Questo sarà lo spirito del concordato del 1801.
Che ci siano ancora oggi cattolici, in Francia e fuori, pronti ad affermare che Napoleone ha restituito libertà alla chiesa, è davvero incredibile.

Veniamo al concordato. Perché Napoleone, una volta preso il potere dopo il colpo di stato del 18 Brumaire, vuole un accordo con il Papa? Perché il Primo Console Bonaparte sa che in Francia il fronte monarchico spera ancora nel ritorno dei Borboni facendo fronte comune con un clero che prima della rivoluzione veniva schernito ma, ora, dopo la fase di persecuzioni subite congiuntamente, si ritrova di nuovo al fianco dei nobili. Bonaparte riflette: in caso di intesa con il Papa nessuno penserà più che i Borboni sono necessari alla salvezza della Francia, e il clero sarà finalmente dalla sua parte. Per fare cosa? Il suo obiettivo è semplice: controllare il clero per controllare i suoi avversari, compreso il popolo.
La massa contadina nelle campagne, la massa operaia nelle città, sono ancora cattoliche al 70/80%, e Napoleone teme le masse, teme il popolo e sa che una rivolta popolare (in Francia si succedono fame, inflazione, guerra e crisi quasi permanenti) potrebbe fargli perdere tutto. E come controllare il popolo se non con una gendarmerie sacrée, dice Bonaparte, con i preti: è la vecchia teoria di Voltaire.
Che si guardi a destra o a sinistra dello schieramento politico, sa di aver bisogno del sostegno clero, ha bisogno di un concordato.

A Bertrand a Sant’Elena: il mio progetto era quello di avere il Papa con me, per me, era l’unico modo per assicurarmi la lealtà dei preti.

5 giugno1800, a Milano:

“farò condannare a morte chiunque oserà una qualche offesa alla nostra comune religione, la Francia ha riaperto gli occhi alla luce della fede, e intende tessere nuovi legami con la Chiesa di Roma e il suo illustre capo”

ma in privato, sempre a Roederer :

“quand’ero in Egitto mi son fatto maomettano coi maomettani, coi francesi e gli italiani mi faccio papista, se governassi gli ebrei comincerei elevando sinagoghe”.

Al generale La Fayette (massone, profondamente anticattolico), e a chi come quest’ultimo si era inizialmente stupito (nelle logge) della svolta clericale di Napoleone:

“Con il mio concordato metterò i preti ancora più in basso di quanto non abbiate fatto voi con la Rivoluzione, ben presto vedrete i vescovi strisciare ai piedi dei miei prefetti.
Il mio concordato sarà un vero e proprio vaccino contro la religione, tra vent’anni nessuno in Francia parlerà ancora di vita eterna.
In privato continueremo a farci beffa dei pretacci, ma in società, nei saloni, mangeremo con loro, fianco a fianco, a tavola, dei bei pollastri benedetti”.

E il Papa, Pio VII, perché il romano pontefice ha firmato un concordato così infamante per la Chiesa? Non aveva forse capito quali erano le reali intenzioni del Primo Console Bonaparte?
Certamente, il Papa sapeva perfettamente che il concordato non fosse altro che una versione 2.0 della costituzione civile del clero, quella costituzione civile girondina che la Chiesa aveva condannato nel 1790 e che nel 1800/1801 si ripresenta e oltrepassa le Alpi insieme alla Grande Armée di Napoleone.
Senza la minaccia dell’invasione, senza la minaccia di veder cancellati dalla carta geografica gli Stati della Chiesa, il Papa non avrebbe mai accettato la vergogna del concordato. Ma la minaccia è concreta, reale, e Pio VII per paura e mal consigliato (vedi il cardinal Caselli), cede.
Cede, credendo così di placare un Bonaparte che, invece, sicuro della propria forza e della debolezza dell’avversario, si scatena.

I contenuti del concordato.
Il cattolicesimo religione ufficiale della République? Non se ne parla neanche, tutti i finanzieri, massoni, i membri dell’Institut, non lo accetterebbero mai. E Bonaparte sa che ha bisogno del loro sostegno. Allora si dirà che il cattolicesimo è la religione della maggioranza del popolo francese (non certo dell’élite).
I tre consoli: Bonaparte (massone), Cambacérès (massone, nonché noto pederasta) e Lebrun (che almeno massone non lo è) faranno pubblica professione di essere cattolici praticanti.
Le congregazioni religiose: Napoleone non vuole più saperne, le giudica difficili da sottomettere. Si salverà solo qualche congregazione di religiose per l’educazione delle giovani fanciulle (cosa che fa comodo a Napoleone che si disinteresserà totalmente dell’educazione delle masse, il 98% dei giovani di meno di 21 anni sarà analfabeta nel 1815, secondo le statistiche della Grande Armée).
Trattamento economico del clero. Dal 1790 il clero non riceveva più alcun salario in Francia, Napoleone vuole ristabilire un trattamento, ovviamente pagare, sì, ma pagare il meno possibile. Un vescovo guadagnerà allora 10.000 franchi (nel 1800, un tribuno, un deputato, ne guadagna 15.000, un senatore 30.000). Un arcivescovo guadagnerà 15.000.
Quanto ai preti, Napoleone stabilisce che saranno pagati solo i sacerdoti titolari delle parrocchie e solo 3000 franchi.
I beni ecclesiastici venduti nel 1790 sono considerati perduti dalla Chiesa e non se ne parli più.
La nomina dei vescovi, cuore del concordato: Napoleone esige il potere di nominare i vescovi. Tutti i vescovi, di tutte le diocesi, quelli in carica dimissioneranno. Qualcosa di clamoroso, inaccettabile.
Il papa conserverebbe l’istituzione canonica ma la Chiesa francese diverrebbe di fatto una Chiesa di Stato.
Il papa temporeggia. Napoleone lancia un primo ultimatum nel maggio 1801 e un secondo ultimatum il 13 luglio. Il 16 luglio, la ventunesima redazione del concordato è firmata.
Un concordato ancora applaudito, oggi, da coloro che vedono in esso la restaurazione della libertà della Chiesa in Francia.
Peccato che già dal 18 settembre 1794 la Costituzione civile del clero fosse di fatto abolita per decreto e che di conseguenza la Chiesa avesse già ritrovato la propria libertà in Francia (entrava in vigore un regime di separazione totale tra stato e Chiesa). C’era stata una nuova persecuzione nel 1797 al momento del colpo di stato di Fruttidoro, quando diversi preti vennero deportati in Guyane, ma la violenza anticattolica non durò.
Tra 1795 e 1800 si ricostruiscono moltissime chiese distrutte durante la Rivoluzione e in Francia, alla vigilia del concordato, si contano 40.000 parrocchie che funzionano senza problemi.
Non ci sono ambiguità possibili: il concordato napoleonico non è stata un’operazione di liberazione della Chiesa bensì una manovra di addomesticamento, di asservimento della Chiesa. Ogni cattolico, francese e non, dovrebbe avere le idee chiare su questo punto.

Paul Claudel, nella sua opera Au milieu des vitraux de l’apocalypse (1932) alla pagina 196, scrive:

“l’obiettivo di Bonaparte era stato quello di fare della Chiesa una branchia della sua amministrazione civile e di polizia, svuotandola di ogni suo contenuto divino, trasformando i sacri calici in mangiatoie per maiali”.

Poco importa, il concordato è firmato, Te Deum a Parigi, sermone ufficiale di Mgr Boisgelin (lo stesso che aveva fatto il sermone per il sacre di Louis XVI, e che sarà fatto cardinale nel 1803) e grande ricevimento alle Tuileries.

Nel frattempo, il papa domanda invano la restituzione delle Legazioni pontificie e un risarcimento per la perdita di Avignone e di Carpentras.
Come indennizzo, riceverà qualcosa di diverso…

L’8 aprile 1802, Napoleone fa aggiungere 77 articoli detti “organici” al concordato, senza consultare il papa, senza chiederne l’accettazione, 77 articoli che faranno parte del concordato stesso benché decisi dal solo Bonaparte.
Qual è l’obiettivo di questi articles organiques?
Controllare ogni comunicazione, ogni contatto possibile tra il papa e i vescovi francesi.
La corrispondenza tra il papa e i vescovi dovrà preventivamente passare al setaccio del Ministero dell’Interno e della polizia.
Divieto totale per il clero francese di riunirsi, anche tra preti della stessa diocesi. Così come gli operai non possono riunirsi in base alle legge Le Chapelier (1791), gli ecclesiastici non possono riunirsi in base agli articoli organici al concordato!

Un anno dopo, nel 1803, Napoleone si vanterà dei seguenti risultati del concordato: un ordine sociale ritrovato, operai che obbediscono i padroni, un popolo che obbedisce al suo Primo Console e, soprattutto, una gioventù che, incoraggiata dalla nuova Chiesa di stato bonapartista, adempie alla coscrizione e si prepara, di nuovo, a invadere l’Europa.

Luca Costa