«Finuta la festa, gabbatu lu santu»
Comunicare implica testimoniare la verità, affidandosi alle ragioni dell'interlocutore, che non ha bisogno di essere «indottrinato».Francesca Mannocchi, giornalista e reporter, così risponde alla domanda «Cosa vuol dire raccontare?»:
«Che la realtà è la strada maestra, è la più grande e preziosa insegnante che possiamo avere. Bisogna non averne paura, attraversarla senza temere il fatto di poter cambiare idea».
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«Passata la festa, gabbato lo santo» (proverbio che ci ricorda la facilità con cui dimentichiamo i nostri impegni e doveri una volta trascorso il momento per cui li avevamo assunti o avvertiti): capita spesso di pensare che molte affermazioni sembrano finire presto, ottenuto il risultato, o almeno l’attenzione cercata. Ma ci sono giudizi che rimangono, quasi come macigni che non possono essere spazzati via dalla folata di vento della abitudine o della convenienza.
In questi giorni abbiamo celebrato la festa di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, e la nostra Diocesi di San Marino – Montefeltro ha radunato in chiesa, col Vescovo, tutti coloro che in qualche modo si occupano di comunicazione.
Essendo stato invitato anch’io, ho espresso queste considerazioni, che ritengo valide ancora adesso, «passata la festa».
La nostra esperienza come Chiesa è quella di essere «comunicatori». Ogni domenica abbiamo la possibilità di raggiungere “personalmente” il 15% della popolazione adulta, sia con l’omelia che con gli avvisi (che possono essere anch’essi strumento di comunicazione/informazione). Raggiungiamo poi molti non praticanti in occasione sia dei funerali che dei matrimoni. Inoltre l’IRC ci consente un contatto comunicativo con la maggioranza dei giovani (spesso anche stranieri) tra cui molti lontani oramai dalla Chiesa.
Abbiamo poi alcuni mezzi specifici di comunicazione e ci domandiamo che immagine di Chiesa comunichiamo attraverso di essi: una Chiesa amica dell’uomo? Una Chiesa capace di interloquire con la problematica quotidiana? Una Chiesa di protagonisti allo scopo di comunicare una fede che diventa cultura? A questo riguardo mi ha colpito il Vangelo di questa III domenica (Mt 4, 12-17): dopo la narrazione della prigionia di Giovanni Battista, Gesù «cominciò a predicare» la conversione e la vicinanza del regno di Dio. La somma «imprudenza» di Gesù. Dobbiamo essere la «voce della Chiesa», là dove la voce del mondo è parziale e contraddittoria.
Qual è la nostra presenza nel mondo della comunicazione? La Chiesa ha una grande stima per questi mezzi e chiede una grande responsabilità da parte degli operatori. Ricordo quanto scrisse s. Giovanni Paolo II in un suo messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali (2002): «Internet permette a miliardi di immagini di apparire su milioni di schermi in tutto il mondo. Da questa galassia di immagini e suoni, emergerà il volto di Cristo? Si udirà la sua voce? Perché solo quando si vedrà il Suo Volto e si udirà la Sua voce, il mondo conoscerà la “buona notizia” della nostra redenzione. Questo è il fine dell'evangelizzazione e questo farà di Internet uno spazio umano autentico, perché se non c'è spazio per Cristo, non c’è spazio per l’uomo.»
E’ lecito chiedersi se quanto facciamo è sufficiente? Se può ancora stimolare un dibattito, specie fra i più giovani? Capace anche di progettare insieme a loro? Sono domande indiscrete?
Per quanto mi riguarda mi interessa comunicare (lo slogan del mio sito CulturaCattolica.it è «Mille argomenti. Un solo giudizio») assumendomi in toto la responsabilità di quello che dico e usando tutti quegli strumenti che senza pregiudizi e senza pressioni indebite mi danno ospitalità. In San Marino Repubblica.sm pubblica sempre puntualmente i miei contributi, con rilievo e rispetto. Libertas qualche volta. Il Giornale.sm quasi sempre – e, quando lo fa, lo fa in tempo reale. La TV di San Marino non pubblica più nessun mio comunicato, avendo fatto la scelta di pubblicare solo quanto proviene dalle istituzioni o dalle associazioni (non solo e non sempre sammarinesi, penso all’ANPI…).
Credo che sia in gioco, oltre alla libertà di informazione e al pluralismo, una corretta immagine di laicità, quella, se si può dire, inclusiva o quella escludente e intollerante (in particolare nei confronti della dimensione religiosa della vita).
La comunicazione-dialogo che realizziamo nella Chiesa può essere di stimolo ad ogni forma di comunicazione nel paese. Abbiamo, in questo campo, una grande responsabilità, quella di suggerire e di realizzare uno spazio di comunicazione che tolga finalmente gli steccati e apra a un confronto a tutto campo, e questo lavoro ci rende protagonisti indispensabili come “costruttori di comunità”. Per evitare che le posizioni degli intolleranti impediscano il libero confronto tra persone, vera ricchezza della democrazia. Una comunità autentica, anche nella sua dimensione civile, non può mettere il bavaglio alle posizioni legittime ma non condivise, e non può dettare legge per soffocare le posizioni diverse: la comunità non è un lager dove può esprimersi pubblicamente solo chi è gradito al regime (anche se poi, con i numeri, è alla opposizione).
Pensavo a queste cose in questi giorni, in cui con amici abbiamo coinvolto la popolazione di San Marino nei giudizi in occasione della Giornata per la Vita, che si tiene in tutte le realtà della penisola. Tra le varie iniziative c’è stata l’Udienza con i Capitani Reggenti (la più alta carica della Repubblica di San Marino) in cui si sono presentate le due associazioni che difendono qui la vita, insieme alla FAFCE (Federazione delle Associazioni Familiari Cattoliche in Europa), realtà che ha sostenuto il nostro comune impegno per la vita e nell’intervento del Presidente, ha suggerito un chiaro giudizio a proposito della presenza in Europa, che ci permetta di non smarrire la propria identità. Inoltre l’Associazione Accoglienza della Vita ha proposto ai giovani, convenuti veramente numerosi, il tema «Sessualità e dintorni», col Dott. Daniele Marini, e ha invitato il segretario della FAFCE a una introduzione propositiva.
Certamente alcune iniziative hanno trovato buona accoglienza e una chiara documentazione da parte della Televisione di Stato (sono stati i servizi sulla conferenza di P. Giorgio Maria Carbone e la Prof. Giusy D’Amico), mentre stranamente, al di là delle immagini di apertura che indicavano i volti dei relatori, è calato un silenzio inspiegabile sulla presenza di alcune realtà.
Che abbia ragione Gustav Herling «La dittatura culturale, dittatura tout court, c'è stata in Polonia. In Italia ha prevalso la tranquillizzante abitudine alla reticenza. Basta fare il vuoto attorno, non parlarne. Un clima omertoso che nasconde ugualmente tratti odiosi»?
O, peggio ancora, Augusto Del Noce: «Il conformismo del passato era un conformismo delle risposte, mentre il nuovo risulta da una discriminazione delle domande per cui le indiscrete vengono paralizzate quali espressioni di “tradizionalismo”, di “spirito conservatore”, “reazionario”, “antimoderno”. Si giunge alla situazione in cui sia il soggetto stesso a vietarsele come “immorali”. È nella sua trasposizione al «morale» che il totalitarismo raggiunge la sua forma pura»?
«Benvenuti nella antica terra della libertà»: e che questa sia anche la terra più nuova!