«Che fare?». La legislazione abortista di San Marino ci chiede un nuovo impegno civile
1. Difendere la vita e la famiglia, sottolineando la creatività e responsabilità e le nuove modalità aggregative.2. Rilanciare una cultura dei diritti che sappia salvaguardare il fondamentale diritto della vita di ogni uomo, dal concepimento al termine naturale.
3. Ridare voce alle esperienze di base, popolari, che promuovono il bene comune.
4. Creare una realtà politica rinnovata nei principi e nei metodi.
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Tra il tripudio delle promotrici dell’aborto a San Marino e la tiepidezza di molti che sembrano non accorgersi di quanto accaduto e delle conseguenze nella vita civile e sociale, è necessario guardare e riflettere su quanto accaduto, per evitare che il dato di fatto diventi fattore di cultura. Sappiamo che, da sempre, le leggi non solo cambiano i rapporti civili ma creano mentalità diffusa, a cui difficilmente si resiste senza avere ragioni solide e fondate.
Ho già avuto modo di esprimere un sommario giudizio su quanto accaduto. «Lo scopo dichiarato del referendum era la depenalizzazione dell’aborto, ma nel contesto della legge sono state introdotte, invece, una serie di argomentazioni che non facevano parte del contenuto della proposta referendaria. Mi riferisco ad esempio, ad una vera e propria forma di statalismo nei confronti della scuola, che consiste nel togliere la responsabilità educativa, affettiva e sessuale alla famiglia per affidarla completamente allo stato. Inoltre, con l’approvazione di questa legge, scompare la figura del padre che, di fatto, non conta niente nella decisione della donna di abortire. Per non parlare delle discriminazioni dal punto di vista del lavoro: si vuole istituire un consultorio che sia statale, a cui non possono partecipare membri obiettori, quindi anche il diritto al lavoro viene cancellato. Tutti aspetti che non erano presenti nel quesito referendario, ma che sono stati aggiunti per motivi ideologici».
E, di fronte alla domanda: «La rivoluzione antropologica sta portando anche ad una visione rovesciata del concetto di “diritti umani”, come nel caso dell’aborto?» così rispondo: «Certamente. Infatti, una delle cose introdotte nella Costituzione del consultorio è l’ideologia del gender che non c’entra nulla con l’aborto. Quindi, in effetti, c’è una mutazione antropologica che si vuole imporre. Mi preme sottolineare anche che è una posizione arrogante quella che si è assunta nel far credere che questo pseudo diritto sia stato voluto da tutti: guardando ai numeri, i votanti residenti in San Marino sono 22000, gli aventi diritto al voto sono 35000. Solo 11.000 hanno espresso il sì al quesito referendario. Quindi i 24000 restanti o hanno votato no o non hanno proprio preso parte al referendum propositivo e hanno dimostrato, quindi, di non sentire come propria, questa battaglia referendaria».
L’aspetto più nefasto di questa legge che, al di là delle generiche intenzioni, vuole rendere normale e svincolato da ogni giudizio morale l’uccisione di esseri umani indifesi nel grembo materno (i proponenti hanno vietato l’uso del termine «omicidio» per questo delitto) è la consegna dei giovani allo stato, secondo una mentalità totalitaria (comune a fascismo e comunismo) che non tollera che l’educazione sia compito primario della famiglia, cancellando il famoso articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani [I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli] che, proprio per attaccare la deriva totalitaria nella società, ha riconosciuto nella famiglia il soggetto primario e indispensabile del cammino educativo. Questa deriva porterebbe inevitabilmente (e lo si vede nell’articolato della legge) a stravolgere l’identità maschile e femminile, per un indottrinamento di gender a cui tutti dovrebbero sottomettersi.
Che fare?
Credo che sia giunta l’ora di una proposta culturale (e politica) alternativa. Da un lato bisogna che le famiglie si uniscano nella lotta per la libertà di educazione, intervenendo in tutti gli ambiti di democrazia scolastica. È finito il tempo in cui il disinteresse nei confronti della scuola ha tollerato proposte false nel cammino educativo. È finito il tempo della rassegnazione e della passività e nasce il tempo della responsabilità. A proposito della scuola, pensate, così viene descritto il ’68 nei social: «Scuola: pedagogia molto influenzata, il bambino diventa un soggetto a pieno titolo, più responsabile e può partecipare alle decisioni scolastiche grazie alla partecipazione di allievi e genitori ai consigli di classe con libertà di parola e di dibattito.
Il dialogo s’instaura attraverso i dibattiti nell’insegnamento scolastico, nell’intimità familiare e nella società.»
Abbiamo avuto modo di esprimere questi giudizi durante il periodo di preparazione al dibattito consiliare: «La Dichiarazione dei Diritti della Repubblica stabilisce che “Ogni madre ha diritto all’assistenza e alla protezione della comunità”.
Appare assolutamente incredibile che un’Unione composta di donne voglia cancellare questo diritto – si noti: la Legge fondamentale parla di “diritto”; non è una norma generica, ma precisa – e mostri timore rispetto ad una concreta realizzazione di tale diritto…
Ma la Dichiarazione dei Diritti sammarinese contiene un altro aspetto: il riferimento alla “comunità”. Da chi deve provenire l’aiuto alle madri? Dalla comunità, non (soltanto) dallo Stato! E questo è, insieme, bello e pienamente realistico, perché non sarà un burocrate ad aiutare la donna in difficoltà per la gravidanza, ma saranno altre donne, altre famiglie, le associazioni.
La frase di coloro che sostengono l’aborto secondo cui “lo Stato non può abdicare al proprio ruolo e delegare al privato” sottintende uno statalismo davvero superato, che ignora sia la Legge Fondamentale, sia il principio di sussidiarietà sia, perfino la legge italiana 194 del 1978 che prevede la possibilità di collaborazione tra i consultori e le “idonee formazioni sociali di base e le associazioni del volontariato che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”».
Di fronte alla débacle politica e alla perdita di identità, che ha fatto sì che nessun gruppo consiliare, nonostante i programmi di alcuni partiti (penso al PDCS) in difesa della vita dal concepimento fino al termine naturale, abbia dichiarato la propria opposizione a una legge che si è posta in esplicita alternativa alla difesa della vita, è giunto forse il tempo di una «rifondazione» (non certo comunista) in cui i principi non negoziabili siano fondamento di ogni programma ed azione pubblica.
Forse, almeno coloro che riconoscono il valore di quella che si è soliti chiamare «Dottrina sociale cristiana» potrebbero riprendere programmaticamente quanto ci è sato insegnato (e riconosciuto ragionevole dai più): «È oggi verificabile un certo relativismo culturale che offre evidenti segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che sancisce la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge morale naturale. A seguito di questa tendenza non è inusuale, purtroppo, riscontrare in dichiarazioni pubbliche affermazioni in cui si sostiene che tale pluralismo etico è la condizione per la democrazia. Avviene così che, da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più completa autonomia mentre, dall’altra, i legislatori ritengono di rispettare tale libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai principi dell’etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi orientamenti culturali o morali transitori, come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore. Nel contempo, invocando ingannevolmente il valore della tolleranza, a una buona parte dei cittadini — e tra questi ai cattolici — si chiede di rinunciare a contribuire alla vita sociale e politica dei propri Paesi secondo la concezione della persona e del bene comune che loro ritengono umanamente vera e giusta, da attuare mediante i mezzi leciti che l’ordinamento giuridico democratico mette ugualmente a disposizione di tutti i membri della comunità politica…
Quando l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità. Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona. E’ questo il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia (da non confondersi con la rinuncia all’accanimento terapeutico, la quale è, anche moralmente, legittima), che devono tutelare il diritto primario alla vita a partire dal suo concepimento fino al suo termine naturale. Allo stesso modo occorre ribadire il dovere di rispettare e proteggere i diritti dell’embrione umano. Analogamente, devono essere salvaguardate la tutela e la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e stabilità, a fronte delle moderne leggi sul divorzio: ad essa non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale. Così pure la garanzia della libertà di educazione ai genitori per i propri figli è un diritto inalienabile, riconosciuto tra l’altro nelle Dichiarazioni internazionali dei diritti umani. Alla stessa stregua, si deve pensare alla tutela sociale dei minori e alla liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù (si pensi ad esempio, alla droga e allo sfruttamento della prostituzione). Non può essere esente da questo elenco il diritto alla libertà religiosa e lo sviluppo per un’economia che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà umana e di quello di sussidiarietà, secondo il quale «i diritti delle persone, delle famiglie e dei gruppi, e il loro esercizio devono essere riconosciuti». Come non vedere, infine, in questa esemplificazione il grande tema della pace.» [Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica]
In sintesi:
1. Difendere la vita e la famiglia, sottolineando la creatività e responsabilità e le nuove modalità aggregative.
2. Rilanciare una cultura dei diritti che sappia salvaguardare il fondamentale diritto della vita di ogni uomo, dal concepimento al termine naturale.
3. Ridare voce alle esperienze di base, popolari, che promuovono il bene comune.
4. Creare una realtà politica rinnovata nei principi e nei metodi.
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