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Dare il nome giusto alle cose

Fonte:
CulturaCattolica.it
Ho trovato la citazione de La storia infinita nella presentazione del bel libro di Samuele Pinna, A Dottrina con Don Camillo
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“Posso farti ancora una domanda?” riprese a dire Atreiu rivolto all’Infanta Imperatrice.
Lei annuì sorridendo.
“Perché solo un nome nuovo può risanarti?”
“Solo il nome giusto dà a tutte le creature e a tutte le cose la loro realtà”, spiegò lei.
“Il nome sbagliato rende tutto irreale. Questo è ciò che fa la menzogna”.

Sembra, questa citazione dal bel libro La storia infinita, il criterio adeguato per leggere le notizie che quotidianamente ci colpiscono. Sì, perché proprio quando ci troviamo di fronte ai fatti che riempiono i notiziari che leggiamo, ci sembra proprio che le parole invece che aiutare a capire, spesso nascondono la realtà stessa.
Questo è evidente nel caso della vita e del suo valore: l’aborto viene chiamato, asetticamente, IVG, addirittura l’acronimo, e spesso neppure Interruzione Volontaria di Gravidanza. E la sua esecuzione come un diritto, cancellando la stessa idea che questo cosiddetto diritto porta all’uccisione di un essere umano indifeso.
E questo è pure evidente quando la morte procurata di persone anziane o gravemente malate viene chiamata eutanasia, cioè dolce morte, dove la dolcezza non si sa dove sia di casa quando è appioppata all’uccisione di un uomo.

Ma se andiamo più a fondo, ci accorgiamo che questo nome sbagliato ha tantissimi casi di applicazione. Vax e novax, putiniani e antiputiniani, razzismo e antirazzismo, fascista e antifascista… e ci accorgiamo che tutte queste definizioni, invece che aiutare a capire la realtà, creano steccati, individuano il nemico, impediscono di lavorare insieme alla ricerca della verità e della giustizia.

Da sempre la menzogna è associata al demonio, che Gesù chiama «il padre della menzogna».
Che fare, allora?
Scorrendo le pagine sui social mi sono imbattuto in questa riflessione di Paolo Sottopietra: «Durante il primo anno di università sentii pronunciare per la prima volta da don Giussani una delle sue frasi più proverbiali: «Imparate a giudicare, sarà l’inizio della liberazione». Era l’eco di una parola di Gesù: La verità vi farà liberi.
Per me fu veramente così. Molti degli educatori che avevo incontrato prima di allora guardavano con un certo sospetto alla parola «giudicare». Non giudicare sembrava essere un imperativo del vero cristiano, un atteggiamento inseparabile dalla virtù dell’umiltà… Che cosa significa allora giudicare? Significa distinguere ciò che è da ciò che non è, il vero dal falso, la sostanza dall’apparenza, ciò che è autentico da ciò che è simulato. Significa distinguere il bene dal male, ciò che eleva l’uomo e ciò che invece lo umilia, ciò che piace a Dio da ciò che lo offende. Giudicate tutto e trattenete ciò che vale, sintetizza san Paolo.
Coltivare questa chiarezza è una vera opera di liberazione. Ogni cosa ha il suo nome. Il successo, per esempio, non coincide con il compimento di sé, la fama non è sempre sinonimo di grandezza, il risultato della propria azione non va confuso con il proprio valore. A volte, tuttavia, perfino distinguere l’amore dalla violenza, il desiderio dal capriccio, la libertà dalla schiavitù o dall’individualismo non è ovvio come sembra. Si tratta di esperienze di cui abbiamo bisogno per vivere come dell’aria che respiriamo, eppure noi scambiamo spesso una cosa per un’altra, e questa confusione ci fa soffrire. Dite di sì quando è sì e no quando è no, dice Gesù, il resto risponde a una logica che non è quella che vi ho insegnato io. Ecco dove sta la nostra libertà.» [https://sancarlo.org/giudizio-e-liberta/]

Questa nostra antica terra della libertà deve essere il luogo in cui si impara e si testimonia che la verità, in ogni circostanza, è l’unico modo per vivere degnamente e contrastare la schiavitù «educata» nella quale possiamo sempre ricadere.
E qui si apre l’affascinante compito della educazione.

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