Le modern(istich)e anfore vuote
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Caro don Gabriele,
ho letto la testimonianza riportata da TRACCE sull’incontro tra i giovani ciellini genovesi e i mussulmani guidati da Mustapha Gharib, imam di un centro culturale islamico della città.
Per molti versi, l’incontro tra uomini di fedi diverse che sfocia nel confronto, che si prolunga attorno ad una tavola, è un episodio molto bello. Purtroppo, però, le considerazioni finali, che dovrebbero spiegare la storia, raccontano di un’occasione buttata via, una fiaccola che si spegne:
Francesco il giorno dopo scrive al gruppetto di amici, in dialogo su whatsapp: «Che cosa abbiamo fatto ieri? Abbiamo ascoltato. Non avevamo qualcosa da difendere o da imporre o da dialettizzare. Anfore vuote. Solo così secondo me si può incontrare l’altro». «È Gesù che allarga il nostro cuore ci fa incontrare tutto e tutti», gli fa eco Siro: «Ho capito cos’è la “baldanza” di cui parla don Giussani, quella che ci ha fatto andare incontro a quella gente che ci siamo ritrovati davanti quella domenica pomeriggio: una certezza e gioia della propria esperienza che si proietta, quasi istintivamente, verso l’altro e verso tutta la realtà». |
Nessun santo cristiano ha mai voluto imporre la propria fede, e qui San Tommaso d’Aquino è perentorio, ma proporre la bellezza dell’incontro con Nostro Signore Gesù Cristo assolutamente sì! E per riuscirci è necessario essere pieni di quello Spirito Santo ricevuto in dono nel Santo Battesimo e nella Cresima. Altro che anfore vuote! Altro che proiezione quasi istintiva verso l’altro e verso tutta la realtà! È, invece, proprio la realtà dello Spirito Santo che, presente in noi sacramentalmente, ci spinge all’apostolato, che è lo scopo del dialogo. Insegna il Beato Paolo VI nell’Omelia del 23 giugno 1968:
DIALOGO NON PER UNA STASI MA PER LA CONVERSIONE |
Sempre Paolo VI nell’Ecclesiam suam:
91. L’arte dell’apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno verso la nostra fede. L’apostolato non può transigere con un compromesso ambiguo rispetto ai principi di pensiero e di azione che devono qualificare la nostra professione cristiana. L’irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola di Dio, che vogliamo predicare. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo. E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di errori con cui viene a contatto. |
In TRACCE Tommaso dice che “Cristo è misteriosamente (incomprensibilmente) in tutto”. Frase vera, ma, per certi versi, equivoca. Alcuni non conoscono Cristo, mite agnello redentore, altri lo rifiutano sdegnosamente. Ai primi dobbiamo dire che:
111. Noi non possiamo evidentemente condividere queste varie espressioni religiose, né possiamo rimanere indifferenti, quasi che tutte, a loro modo, si equivalessero, e quasi che autorizzassero i loro fedeli a non cercare se Dio stesso abbia rivelato la forma, scevra di ogni errore, perfetta e definitiva con cui egli vuole essere conosciuto, amato e servito; chè anzi, per dovere di lealtà, noi dobbiamo manifestare la nostra persuasione essere unica la vera religione ed essere quella cristiana, e nutrire speranza che tale sia riconosciuta da tutti i cercatori e adoratori di Dio. |
Per i secondi, ricordiamoci le parole del Vangelo:
Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: “… Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi”. (Mt 10, 5, 12-14) |
E ricordiamoci che anche noi eravamo lontani dalla salvezza. Quanto e come è costata questa salvezza, ce lo rammenta San Paolo:
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Senza di Lui, nessuno può presentarsi al Padre. Pertanto, ogni tentativo di dialogo senza un vero apostolato, che abbia al centro Gesù Cristo, è semplicemente il riproporsi dell’eresia pelagiana: la salvezza che viene dalla propria esperienza, ossia da se stessi.
Vale la pena soffermarsi un attimo sull’esperienza nell’ambito della fede: “una certezza e gioia della propria esperienza che si proietta, quasi istintivamente, verso l’altro e verso tutta la realtà”. Anche qui, bisogna essere molto chiari: esperienza che nasce dall’avvenimento, dalla realtà del Natale, altrimenti è una pericolosa eresia:
“Se alcuno dirà che la rivelazione divina non possa essere fatta credibile da esterni segni e che perciò gli uomini non debbano esser mossi alla fede se non da interna esperienza o privata ispirazione, sia anatema” (De Fide, can. III) |
L’esperienza deve essere supportata dell’incontro con l’avvenimento del Mistero dell’Incarnazione redentrice (e qui il volantone 2015 è purtroppo molto sintomatico), altrimenti diventa modernismo, cloaca di tutte l’eresia come insegna San Pio X.
Questa pagina della PASCENDI DOMINICI GREGIS è molto impressionante ed attuale:
E fin qua, o Venerabili Fratelli, del modernista considerato come filosofo. Or, se facendoci oltre a considerarlo nella sua qualità di credente, vogliam conoscere in che modo, nel modernismo, il credente si differenzi dal filosofo, convien osservare che quantunque il filosofo riconosca per oggetto della fede la realtà divina, pure questa realtà non altrove l’incontra che nell’animo del credente, come oggetto di sentimento e di affermazione: che esista poi essa o no in sé medesima fuori di quel sentimento e di quell’affermazione, a lui punto non cale. Per contrario il credente ha come certo ed indubitato che la realtà divina esiste di fatto in se stessa, né punto dipende da chi crede. Che se poi cerchiamo, qual fondamento abbia cotale asserzione del credente, i modernisti rispondono: l’esperienza individuale. Ma nel dir ciò, se costoro si dilungano dai razionalisti, cadono nell’opinione dei protestante dei pseudomistici. Così infatti essi discorrono. Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una certa intuizione del cuore; la quale mette l’uomo in contatto immediato colla realtà stessa di Dio, e tale gl’infonde una persuasione dell’esistenza di Lui e della Sua azione sì dentro, sì fuori dell’uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico. Asseriscono pertanto una vera esperienza, e tale da vincere qualsivoglia esperienza razionale; la quale se da taluno, come dai razionalisti, e negata, ciò dicono intervenire perché non vogliono porsi costoro nelle morali condizioni, che son richieste per ottenerla. Or questa esperienza, poi che l’abbia alcuno conseguita, è quella che lo costituisce propriamente e veramente credente. Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici! Simili vaneggiamenti li abbiamo già uditi condannare dal Concilio Vaticano. [...] E con qual diritto modernisti negheranno la verità ad una esperienza affermata da un islamita? Con qual diritto rivendicheranno esperienze vere pei soli cattolici? Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente altri apertissimamente, che tutte le religioni son vere. E che non possano sentire altrimenti, è cosa manifesta. Imperocché per qual capo, secondo i loro placiti, potrebbe mai ad una religione, qual che si voglia, attribuirsi la falsità? Senza dubbio per uno di questi due: o per la falsità del sentimento religioso, o per la falsità della formola pronunziata dalla mente. Ora il sentimento religioso, benché possa essere più o meno perfetto, è sempre uno: la formola poi intellettuale, perché sia vera, basta che risponda al sentimento religioso ed al credente, checché ne sia della forza d’ingegno in costui. Tutt’al più, nel conflitto fra diverse religioni, i modernisti potranno sostenere che la cattolica ha più di verità perché più vivente, e merita con più ragione il titolo di cristiana, perché risponde più pienamente alle origini del cristianesimo. Che dalle premesse date scaturiscano siffatte conseguenze, non può per fermo sembrare assurdo. Assurdissimo è invece che cattolici e sacerdoti, i quali, come preferiamo credere, aborrono da tali enormità, si portino in fatto quasi le ammettessero. Giacché tali sono le lodi che tributano ai maestri di siffatti errori, tali gli onori che rendono loro pubblicamente, da dar agevolmente a supporre che essi non onorano già le persone, forse non prive di un qualche merito, ma piuttosto gli errori che quelle professano apertamente e cercano a tutt’uomo propagare. |
Purtroppo, non sono buoni segnali…