Condividi:

Le modern(istich)e anfore vuote

Autore:
Mondinelli, Andrea -
Fonte:
CulturaCattolica.it

Caro don Gabriele,
ho letto la testimonianza riportata da TRACCE sull’incontro tra i giovani ciellini genovesi e i mussulmani guidati da Mustapha Gharib, imam di un centro culturale islamico della città.
Per molti versi, l’incontro tra uomini di fedi diverse che sfocia nel confronto, che si prolunga attorno ad una tavola, è un episodio molto bello. Purtroppo, però, le considerazioni finali, che dovrebbero spiegare la storia, raccontano di un’occasione buttata via, una fiaccola che si spegne:

Francesco il giorno dopo scrive al gruppetto di amici, in dialogo su whatsapp: «Che cosa abbiamo fatto ieri? Abbiamo ascoltato. Non avevamo qualcosa da difendere o da imporre o da dialettizzare. Anfore vuote. Solo così secondo me si può incontrare l’altro». «È Gesù che allarga il nostro cuore ci fa incontrare tutto e tutti», gli fa eco Siro: «Ho capito cos’è la “baldanza” di cui parla don Giussani, quella che ci ha fatto andare incontro a quella gente che ci siamo ritrovati davanti quella domenica pomeriggio: una certezza e gioia della propria esperienza che si proietta, quasi istintivamente, verso l’altro e verso tutta la realtà».

È un bisogno, «di Qualcuno che accade», le parole di Emanuele: «Altrimenti siamo condannati a respirare l’“aria del tempo”». E questo Uno «che vince», come chiude la conversazione Tommaso, inizia a cambiare tutta la vita, inizia a farti guardare con attesa e stupore ciò che hai davanti: «I miei colleghi, la morosa, il compagno di squadra che ieri si è fatto espellere… Hanno dentro la stessa promessa di Bene; Cristo è misteriosamente (incomprensibilmente) in tutto»


Nessun santo cristiano ha mai voluto imporre la propria fede, e qui San Tommaso d’Aquino è perentorio, ma proporre la bellezza dell’incontro con Nostro Signore Gesù Cristo assolutamente sì! E per riuscirci è necessario essere pieni di quello Spirito Santo ricevuto in dono nel Santo Battesimo e nella Cresima. Altro che anfore vuote! Altro che proiezione quasi istintiva verso l’altro e verso tutta la realtà! È, invece, proprio la realtà dello Spirito Santo che, presente in noi sacramentalmente, ci spinge all’apostolato, che è lo scopo del dialogo. Insegna il Beato Paolo VI nell’Omelia del 23 giugno 1968:

DIALOGO NON PER UNA STASI MA PER LA CONVERSIONE

Noi moderni siamo facili ad ammettere la prima parte di questo insegnamento evangelico; e cioè arriviamo a non avere più alcuna esigenza da chi manca. Rimaniamo indifferenti e proclivi a non accusare alcuno, lasciando che tutti vivano alla propria maniera. Anzi, ora, è di moda quasi avvicinarsi a quanti sono fuori strada, piuttosto che a coloro che sono in linea coi fratelli fedeli. Questo avvicinamento è chiamato dialogo. È, sì, un’applicazione evangelica, ma è solo una prima parte, non la definitiva. Se noi restassimo all’iniziale dialogo, cioè al rispetto reciproco che vogliamo stabilire con chi non condivide la nostra formula di vita e le nostre idee, avremmo incominciato bene, ma avremmo arrestato il cammino della salvezza già ai primi passi. Il Vangelo ci ammaestra che non basta avvicinare gli altri, ammetterli alla nostra conversazione, confermare ad essi la nostra fiducia, cercare il loro bene. Bisogna, inoltre, adoperarsi affinché si convertano; occorre prodigarsi perché ritornino; è necessario recuperarli all’ordine divino, che è uno solo: quello della grazia, della fede, della Chiesa, della vita cristiana.


Sempre Paolo VI nell’Ecclesiam suam:

91. L’arte dell’apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno verso la nostra fede. L’apostolato non può transigere con un compromesso ambiguo rispetto ai principi di pensiero e di azione che devono qualificare la nostra professione cristiana. L’irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola di Dio, che vogliamo predicare. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo. E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di errori con cui viene a contatto.

In TRACCE Tommaso dice che “Cristo è misteriosamente (incomprensibilmente) in tutto”. Frase vera, ma, per certi versi, equivoca. Alcuni non conoscono Cristo, mite agnello redentore, altri lo rifiutano sdegnosamente. Ai primi dobbiamo dire che:

111. Noi non possiamo evidentemente condividere queste varie espressioni religiose, né possiamo rimanere indifferenti, quasi che tutte, a loro modo, si equivalessero, e quasi che autorizzassero i loro fedeli a non cercare se Dio stesso abbia rivelato la forma, scevra di ogni errore, perfetta e definitiva con cui egli vuole essere conosciuto, amato e servito; chè anzi, per dovere di lealtà, noi dobbiamo manifestare la nostra persuasione essere unica la vera religione ed essere quella cristiana, e nutrire speranza che tale sia riconosciuta da tutti i cercatori e adoratori di Dio.
112. Ma non vogliamo rifiutare il nostro rispettoso riconoscimento ai valori spirituali e morali delle varie confessioni religiose non cristiane; vogliamo con esse promuovere e difendere gli ideali che possono essere comuni nel campo della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona cultura, della beneficenza sociale e dell’ordine civile. In ordine a questi comuni ideali un dialogo da parte nostra è possibile e noi non mancheremo di offrirlo là dove, in reciproco e leale rispetto, sarà benevolmente accettato.

Per i secondi, ricordiamoci le parole del Vangelo:

Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: “… Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi”. (Mt 10, 5, 12-14)
Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. … Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi, …(Lc 10, 3-6, 10-11)

E ricordiamoci che anche noi eravamo lontani dalla salvezza. Quanto e come è costata questa salvezza, ce lo rammenta San Paolo:


Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani per nascita … eravate senza Cristo … senza speranze e senza Dio in questo mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli è infatti la nostra pace, colui che ha fatto dei due popoli un popolo solo … facendo la pace, … per mezzo della croce. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni gli altri, al Padre in un solo spirito. (Ef 2, 11-18)

 
Senza di Lui, nessuno può presentarsi al Padre. Pertanto, ogni tentativo di dialogo senza un vero apostolato, che abbia al centro Gesù Cristo, è semplicemente il riproporsi dell’eresia pelagiana: la salvezza che viene dalla propria esperienza, ossia da se stessi.
Vale la pena soffermarsi un attimo sull’esperienza nell’ambito della fede: “una certezza e gioia della propria esperienza che si proietta, quasi istintivamente, verso l’altro e verso tutta la realtà”. Anche qui, bisogna essere molto chiari: esperienza che nasce dall’avvenimento, dalla realtà del Natale, altrimenti è una pericolosa eresia:

“Se alcuno dirà che la rivelazione divina non possa essere fatta credibile da esterni segni e che perciò gli uomini non debbano esser mossi alla fede se non da interna esperienza o privata ispirazione, sia anatema” (De Fide, can. III)

L’esperienza deve essere supportata dell’incontro con l’avvenimento del Mistero dell’Incarnazione redentrice (e qui il volantone 2015 è purtroppo molto sintomatico), altrimenti diventa modernismo, cloaca di tutte l’eresia come insegna San Pio X.
Questa pagina della PASCENDI DOMINICI GREGIS è molto impressionante ed attuale:

E fin qua, o Venerabili Fratelli, del modernista considerato come filosofo. Or, se facendoci oltre a considerarlo nella sua qualità di credente, vogliam conoscere in che modo, nel modernismo, il credente si differenzi dal filosofo, convien osservare che quantunque il filosofo riconosca per oggetto della fede la realtà divina, pure questa realtà non altrove l’incontra che nell’animo del credente, come oggetto di sentimento e di affermazione: che esista poi essa o no in sé medesima fuori di quel sentimento e di quell’affermazione, a lui punto non cale. Per contrario il credente ha come certo ed indubitato che la realtà divina esiste di fatto in se stessa, né punto dipende da chi crede. Che se poi cerchiamo, qual fondamento abbia cotale asserzione del credente, i modernisti rispondono: l’esperienza individuale. Ma nel dir ciò, se costoro si dilungano dai razionalisti, cadono nell’opinione dei protestante dei pseudomistici. Così infatti essi discorrono. Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una certa intuizione del cuore; la quale mette l’uomo in contatto immediato colla realtà stessa di Dio, e tale gl’infonde una persuasione dell’esistenza di Lui e della Sua azione sì dentro, sì fuori dell’uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico. Asseriscono pertanto una vera esperienza, e tale da vincere qualsivoglia esperienza razionale; la quale se da taluno, come dai razionalisti, e negata, ciò dicono intervenire perché non vogliono porsi costoro nelle morali condizioni, che son richieste per ottenerla. Or questa esperienza, poi che l’abbia alcuno conseguita, è quella che lo costituisce propriamente e veramente credente. Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici! Simili vaneggiamenti li abbiamo già uditi condannare dal Concilio Vaticano. [...] E con qual diritto modernisti negheranno la verità ad una esperienza affermata da un islamita? Con qual diritto rivendicheranno esperienze vere pei soli cattolici? Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente altri apertissimamente, che tutte le religioni son vere. E che non possano sentire altrimenti, è cosa manifesta. Imperocché per qual capo, secondo i loro placiti, potrebbe mai ad una religione, qual che si voglia, attribuirsi la falsità? Senza dubbio per uno di questi due: o per la falsità del sentimento religioso, o per la falsità della formola pronunziata dalla mente. Ora il sentimento religioso, benché possa essere più o meno perfetto, è sempre uno: la formola poi intellettuale, perché sia vera, basta che risponda al sentimento religioso ed al credente, checché ne sia della forza d’ingegno in costui. Tutt’al più, nel conflitto fra diverse religioni, i modernisti potranno sostenere che la cattolica ha più di verità perché più vivente, e merita con più ragione il titolo di cristiana, perché risponde più pienamente alle origini del cristianesimo. Che dalle premesse date scaturiscano siffatte conseguenze, non può per fermo sembrare assurdo. Assurdissimo è invece che cattolici e sacerdoti, i quali, come preferiamo credere, aborrono da tali enormità, si portino in fatto quasi le ammettessero. Giacché tali sono le lodi che tributano ai maestri di siffatti errori, tali gli onori che rendono loro pubblicamente, da dar agevolmente a supporre che essi non onorano già le persone, forse non prive di un qualche merito, ma piuttosto gli errori che quelle professano apertamente e cercano a tutt’uomo propagare.
Ma, oltre al detto, questa dottrina dell’esperienza è per un altro verso contrarissima alla cattolica verità. Imperocché viene essa estesa ed applicata alla tradizione quale finora fu intesa dalla Chiesa, e la distrugge. Ed infatti dai modernisti è la tradizione così concepita che sia una comunicazione dell’esperienza originale fatta agli altri, mercè la predicazione, per mezzo della formola intellettuale. A questa formola perciò, oltre al valore rappresentativo, attribuiscono una tal quale efficacia di suggestione, che si esplica tanto in colui che crede, per risvegliare il sentimento religioso a caso intorpidito e rinnovar l’esperienza già avuta una volta, quanto in coloro che ancor non credono, per suscitare in essi la prima volta il sentimento religioso e produrvi l’esperienza. Di questa guisa l’esperienza religiosa si viene a propagare fra i popoli; né solo nei presenti per via della predicazione, ma anche fra i venturi sì per mezzo dei libri e sì per la trasmissione orale dagli uni agli altri. Avviene poi che una simile comunicazione dell’esperienza si abbarbichi talora e viva, talora isterilisca subito e muoia. Il vivere è pei modernisti prova di verità; giacché verità e vita sono per essi una medesima cosa. Dal che è dato inferir di nuovo, che tutte le religioni, quante mai ne esistono, sono egualmente vere, poiché se nol fossero non vivrebbero. E tutto questo si spaccia per dare un concetto più elevato e più ampio della religione!


Purtroppo, non sono buoni segnali…

Vai a "Ultime news"