La coscienza è l’originario vicario di Cristo

Autore:
Mondinelli, Andrea
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Caro don Gabriele,
più passa il tempo e più mi rendo conto che il punto decisivo nella battaglia in corso all’interno della Chiesa riguarda la coscienza morale. Nel mio impegno culturale nel movimento per la vita, ho capito che l’attacco decisivo della cultura della morte riguardo contraccezione, divorzio, aborto, fecondazione extracorporea, utero in affitto, esperimenti sugli embrioni umani, ecc. ecc., è stato possibile solo dopo avere anestetizzato le coscienze dei cittadini. Questo vale anche per le “novità”, per il “nuovo vangelo” che si vuole spacciare e sostituire al vero, vecchio di 2000 anni. Naturalmente è quanto mai attuale Gal. 1, 6-10!

6 Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo. 7 In realtà, però, non ce n’è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. 8 Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! 9 L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! 10 Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!
 

Mi ha sempre molto colpito una frase di Chesterton, contenuta nel suo San Tommaso d’Aquino, “la falsità mai è tanto falsa quanto più è vicina alla stessa verità. Quando il dardo colpisce vicino al nervo della verità, la coscienza cristiana grida alto per il dolore”. Purtroppo, non si sentono grandi grida levarsi alte al Cielo per denunciare la falsa misericordia, che come la zizzania sta soffocando il buon grano. Non si sentono, perché non solo la coscienza morale è quasi del tutto scomparsa, ma se solo se ne fa il minimo accenno si è subito etichettati come “biechi moralisti”. Invece, il grande problema del rapporto tra dottrina e pastorale riguarda proprio la coscienza. Ti faccio un esempio: ipotizziamo il nostro cammino e quello della Chiesa come il percorso di un treno sulle rotaie. La locomotiva procede bene se i binari sono ben paralleli ed hanno il giusto scartamento. Ebbene, le rotaie di questo binario sono la dottrina e la pastorale, ma ciò che le mantiene insieme, che le unisce, sono le traversine della legge morale naturale, che si riverbera nella coscienza dei cattolici. Togliere la coscienza significa far deragliare il treno, che le rotaie non rimangono più parallele.
Oggi, siamo giunti a questo punto molto prossimo al deragliamento, perché la congiura contro la coscienza, iniziata più di 150 anni fa, non solo prosegue spedita ma ha quasi raggiunto lo scopo . È impressionante quello che scrive nel 1875 il Beato Card. Newman, nella Lettera al Duca di Norfolk:
 
“Durante tutto il mio tempo c’è stata una guerra decisiva, stavo quasi per dire una cospirazione, contro i diritti della coscienza quale io l’ho descritta. Letteratura e scienza si sono organizzate in grandi istituti per abbatterla. Sono stati innalzati stupendi palazzi, quasi altrettanti fortilizi, contro il suo influsso spirituale, invisibile, troppo sottile per la scienza, troppo profondo per la letteratura. Cattedre universitarie sono state costituite centri di tradizione ostile. Giorno, dopo giorno, noti scrittori hanno infarcito le menti di innumerevoli lettori con teorie sovversive. Come ai tempi degli antichi romani e del medioevo la sua supremazia fu attaccata con le armi della forza fisica, così ora si mette in azione l’intelligenza per minare le fondamenta di un potere che la spada non ha potuto distruggere”. (cap. 5 della “Lettera al Duca di Norfolk”)


Ma cos’è la coscienza cristiana? Oggi, sembra se ne siano perse le tracce. La spiegazione del Beato Card. J.H. Newman è terribilmente bella, di una bellezza da mozzare il fiato, oso dire che mai è stato scritto elogio più alto alla coscienza morale:

«La legge Eterna», scrive Sant’Agostino, «è la ragione divina o volontà di Dio, la quale comanda l’osservanza e vieta di turbare l’ordine naturale delle cose». «La legge naturale», osserva san Tommaso, «è un’impronta della luce divina in noi, una partecipazione della legge eterna fatta alla creatura ragionevole». Questa legge, in quanto percepita dalla mente dei singoli uomini, si chiama «coscienza» e benché possa subire rifrazioni diverse passando attraverso l’intelligenza di ogni essere umano, non ne viene per questo intaccata al punto da perdere il suo carattere di legge divina. […] So bene che questo concetto della coscienza è assai diverso da quello che ne ha ordinariamente la scienza e la letteratura o l’opinione pubblica corrente. […] La coscienza non è egoismo lungimirante, né il desiderio di essere coerenti con se stessi, bensì la messaggera di Colui, il quale, sia nel mondo della natura sia in quello della grazia, ci parla dietro un velo e ci ammaestra e ci governa per mezzo dei suoi rappresentanti. La coscienza è l’originario vicario di Cristo, profetica nelle sue parole, sovrana nella sua perentorietà, sacerdotale nelle sue benedizioni e nei suoi anatemi. E se mai potesse venir meno nella chiesa l’eterno sacerdozio, nella coscienza rimarrebbe il principio sacerdotale ed essa ne avrebbe il dominio.” (cap. 5 della “Lettera al Duca di Norfolk”)


 Per fare la scelta giusta serve il discernimento, che è la capacità di valutare i termini di una questione, i caratteri di una situazione, così da poter operare scelte corrette, oculate. Le nostre scelte dovrebbero essere sempre prudenti (Virgo prudentissima, ora pro nobis). È scritto nel Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC n. 1806):
 
La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. […] E’ la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L’uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare.


Avete proprio letto bene: per applicare i principi morali ai casi particolari è necessaria la prudenza e l’uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo il giudizio di coscienza. Come si vede, si torna sempre al giudizio di coscienza, non esiste vero discernimento senza la retta coscienza. Il giudizio di coscienza è la traversina che lega i due binari della dottrina e della pastorale! È quello che conta, perché

nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore... L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore... La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 16] (CCC 1776).


Rilievo importantissimo: la coscienza morale è un giudizio della ragione. È scritto nel CCC 1778:

La coscienza morale è un giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto. In tutto quello che dice e fa, l’uomo ha il dovere di seguire fedelmente ciò che sa essere giusto e retto. E’ attraverso il giudizio della propria coscienza che l’uomo percepisce e riconosce i precetti della legge divina: La coscienza è una legge del nostro spirito, ma che lo supera, che ci dà degli ordini, che indica responsabilità e dovere, timore e speranza... la messaggera di Colui che, nel mondo della natura come in quello della grazia, ci parla velatamente, ci istruisce e ci guida. La coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo [John Henry Newman, Lettera al Duca di Norfolk, 5]”.


Newman chiamava la coscienza “l’originario vicario di Cristo”. Per questo il Card. Ratzinger scriveva ne “L’elogio della coscienza”:

A chi non viene in mente, a proposito del tema “Newman e la coscienza”, la famosa frase della Lettera al Duca di Norfolk: “Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo – cosa che non è molto indicato fare – allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa”? Secondo l’intenzione di Newman [elevato agli onori degli altari proprio da Benedetto XVI] questo doveva essere – in contrasto con le affermazioni di Gladstone – una chiara confessione del papato, ma anche – contro le deformazioni “ultramontanistiche” – un’interpretazione del papato, il quale è rettamente inteso solo quando è visto insieme col primato della coscienza – dunque non ad essa contrapposto, ma piuttosto su di essa fondato e garantito. Comprendere ciò è difficile per l’uomo moderno, che pensa a partire dalla contrapposizione di autorità e soggettività. Per lui la coscienza sta dalla parte della soggettività ed è espressione della libertà del soggetto, mentre l’autorità sembra restringere, minacciare o addirittura negare tale libertà. Dobbiamo quindi andare un po’ più in profondità, per imparare a comprendere di nuovo una concezione, in cui questo tipo di contrapposizione non vale più.

Per Newman il termine medio che assicura la connessione tra i due elementi della coscienza e dell’autorità è la verità. Non esito ad affermare che quella di verità è l’idea centrale della concezione intellettuale di Newman; la coscienza occupa un posto centrale nel suo pensiero proprio perché al centro c’è la verità. In altre parole: la centralità del concetto di coscienza è in Newman legata alla precedente centralità del concetto di verità e può essere compresa solo a partire da questa.
A partire da ciò siamo ora in grado di comprendere correttamente il brindisi di Newman prima per la coscienza e solo dopo per il Papa. Il Papa non può imporre ai fedeli cattolici dei comandamenti, solo perché egli lo vuole o perché lo ritiene utile. Una simile concezione moderna e volontaristica dell’autorità può soltanto deformare l’autentico significato teologico del papato. Così la vera natura del ministero di Pietro è diventata del tutto incomprensibile nell’epoca moderna precisamente perché in questo orizzonte mentale si può pensare all’autorità solo con categorie che non consentono più alcun ponte tra soggetto e oggetto”.


La distruzione delle coscienze provoca l’abolizione e l’irrilevanza del papato! Proprio perché la coscienza è l’originario vicario di Cristo, alla coscienza spetta il primato!
Per diventare uomini e donne di fede (e non solo) è d’importanza primaria la formazione della propria coscienza sin dai primi anni di vita, perché l’educazione della coscienza garantisce la libertà e genera la pace del cuore. Senza la coscienza, niente libertà. Bellissimo il n. 1784 del Catechismo:

L’educazione della coscienza è un compito di tutta la vita. Fin dai primi anni dischiude al bambino la conoscenza e la pratica della legge interiore, riconosciuta dalla coscienza morale. Un’educazione prudente insegna la virtù; preserva o guarisce dalla paura, dall’egoismo e dall’orgoglio, dai risentimenti della colpevolezza e dai moti di compiacenza, che nascono dalla debolezza e dagli sbagli umani. L’educazione della coscienza garantisce la libertà e genera la pace del cuore.
Senza una coscienza buona e pura non è possibile essere misericordiosi. Infatti, “Infatti la carità “sgorga”, ad un tempo, “da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera” (CCC n. 1794).


La coscienza può dare giudizi erronei. Messa di fronte ad una scelta morale, la coscienza può dare sia un giudizio retto in accordo con la ragione e con la legge divina, sia, al contrario, un giudizio erroneo che da esse si discosta (CCC 1786). Nonostante la coscienza possa errare, siamo sempre obbligati a seguirla, altrimenti ci condanneremmo da noi stessi:

Il giudizio erroneo. 1790 L’essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza. Se agisse deliberatamente contro tale giudizio, si condannerebbe da sé. Ma accade che la coscienza morale sia nell’ignoranza e dia giudizi erronei su azioni da compiere o già compiute.
1792 All’origine delle deviazioni del giudizio nella condotta morale possono esserci la non conoscenza di Cristo e del suo Vangelo, i cattivi esempi dati dagli altri, la schiavitù delle passioni, la pretesa ad una malintesa autonomia della coscienza, il rifiuto dell’autorità della Chiesa e del suo insegnamento, la mancanza di conversione e di carità.
1793 Se – al contrario – l’ignoranza è invincibile, o il giudizio erroneo è senza responsabilità da parte del soggetto morale, il male commesso dalla persona non può esserle imputato. Nondimeno resta un male, una privazione, un disordine. E’ quindi necessario adoperarsi per correggere la coscienza morale dai suoi errori.


Riguardo all’obbligo di seguire sempre la propria coscienza, il Beato Card. Newman propone il seguente esempio, che oggi scandalizzerebbe la maggior parte dei cattolici e che è la cartina di tornasole di come sia andato perduto il significato di coscienza morale. È possibile il caso di due preti che commetterebbero peccato se obbedissero al papa? Certamente:

Ovviamente, se qualcuno è colpevole dell’errore che avrebbe potuto evitare qualora fosse stato più zelante, di questo errore risponderà a Dio. Tuttavia, finché rimane in quell’errore, egli deve operare secondo quell’errore per il semplice motivo che ritiene sinceramente essere, quello, la verità.
Supponiamo, per esempio, che il Papa ingiunga ai vescovi inglesi di imporre ai loro sacerdoti che s’impegnino con energia nella lotta in favore dell’antialcolismo e che uno dei preti sia profondamente convinto che l’astinenza dal vino e dagli altri alcolici è in pratica un errore degli gnostici e di conseguenza senta di non potere eseguire quell’ordine senza peccare. Supponiamo ancora che il Papa ordini di organizzare delle lotterie in favore delle missioni e che un prete possa affermare davanti a Dio che egli ritiene le lotterie moralmente cattive. Ebbene, questi due preti, sia nel primo che nel secondo caso – abbiano o non abbiano ragione nel loro modo di pensare e quand’anche fossero nell’errore e quindi colpevoli, per non essersi sufficientemente impegnati allo scopo di raggiungere la verità nel loro caso –, questi due preti, ripeto, hic et nunc commetterebbero peccato se obbedissero al Papa” (cap. 5 della “Lettera al Duca di Norfolk” pag. 234-235 ed. Paoline).


Oggi, sono in ballo questioni ben più importanti dell’organizzazione di una lotteria o di una bevuta di buon vino della Franciacorta…
Santi Simone e Giuda Taddeo, pregate per noi!