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Al Sinodo “la dottrina non si tocca, ma…”

Autore:
Mondinelli, Andrea
Fonte:
CulturaCattolica.it
Considerazioni sulla relazione del circolo minore di lingua tedesca, che tanto successo mediatico ha avuto tra i novatori de “la dottrina non si tocca, ma…”, che tanto preoccupa l’arcivescovo di Philadelphia Charles Chaput, il quale ha messo nero su bianco sul Wall Street Journal che più si continua a proclamare a parole la fedeltà alla dottrina, e più si fa crescere il sospetto che con i fatti la si voglia cambiare, perché “la pratica inevitabilmente modella la fede”

Cari amici,
alcune considerazioni sulla relazione del circolo minore di lingua tedesca, che tanto successo mediatico ha avuto tra i novatori de “la dottrina non si tocca, ma…”, che tanto preoccupa l’arcivescovo di Philadelphia Charles Chaput, il quale ha messo nero su bianco sul Wall Street Journal che più si continua a proclamare a parole la fedeltà alla dottrina, e più si fa crescere il sospetto che con i fatti la si voglia cambiare, perché “la pratica inevitabilmente modella la fede”.
Ebbene, nella relazione di questo circolo sono scritte un paio di affermazioni perlomeno discutibili (http://www.osservatoreromano.va/it/news/relazione-del-circolo-minore-di-lingua-tedesca-ita):

  1. La percezione della genitorialità responsabile presuppone la formazione della coscienza. La coscienza è «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (Gaudium et spes, n. 16). Più i coniugi s’incamminano per ascoltare Dio nella coscienza e più si fanno accompagnare spiritualmente in questo, più nelle loro decisioni diventano intimamente liberi dalle inclinazioni affettive e dal conformismo ai comportamenti del mondo che li circonda. Per amore di questa libertà di coscienza [???], la Chiesa respinge con forza le misure statali imposte a favore della contraccezione, della sterilizzazione o addirittura dell’aborto.
  2. Possiamo però indicare alcuni criteri che aiutano a discernere. Il primo di questi viene dato da Papa san Giovanni Paolo II in Familiaris consortio, quando al n. 84 dice: «Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido». È pertanto compito del pastore compiere con la persona interessata questo cammino di discernimento. A tal fine può essere utile compiere insieme, con un sincero esame di coscienza, i passi della riflessione e della penitenza. Così, per esempio, i divorziati risposati dovrebbero domandarsi come si sono comportati con i loro figli quando la comunione matrimoniale è andata in crisi. Si è tentata la riconciliazione? Qual è la situazione del partner abbandonato? Quali sono gli effetti del nuovo rapporto sulla famiglia più estesa e sulla comunità dei fedeli? Qual è l’esempio dato ai più giovani che devono decidere per il matrimonio? Una riflessione sincera può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio, che non viene negata a nessuno che porti dinanzi a lui i propri fallimenti e i propri bisogni. Questo cammino di riflessione e di penitenza, esaminando la situazione oggettiva nel dialogo con il confessore, può contribuire, nel forum internum, a prendere coscienza e a chiarire in che misura è possibile l’accesso ai sacrament Ognuno deve esaminare se stesso secondo le parole dell’apostolo Paolo, che valgono per tutti coloro che si accostano alla mensa del Signore: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna [...]. Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati» (1 Corinzi 11, 28-31).

Iniziamo dalla prima. Cosa significa dire che la Chiesa respinge con forza le misure statali imposte a favore della contraccezione, della sterilizzazione o addirittura dell’aborto, per amore della libertà di coscienza? È un nuova norma del Magistero? La Chiesa rifiuta contraccezione, sterilizzazione ed aborto perché sono intrinsecamente un male, addirittura un abominio per quanto riguarda l’aborto! La vera coscienza libera non può che riconoscerlo e prenderne atto.
Punto due. Dopo aver citato solo una piccola parte del n. 84 di Familiaris consortio, in cui San Giovanni Paolo II parla di « […] coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido», si dice che “È pertanto compito del pastore compiere con la persona interessata questo cammino di discernimento.[…] Una riflessione sincera può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio, che non viene negata a nessuno che porti dinanzi a lui i propri fallimenti e i propri bisogni. Questo cammino di riflessione e di penitenza, esaminando la situazione oggettiva nel dialogo con il confessore, può contribuire, nel forum internum, a prendere coscienza e a chiarire in che misura è possibile l’accesso ai sacramenti”.
 
Tutto bene? Non proprio! La “misericordia di Dio, non viene negata a nessuno che porti dinanzi a lui i propri fallimenti e i propri bisogni” e si riconosca peccatore con l’intenzione di non peccare più! In effetti, come ha evidenziato Roberto Colombo, al Sinodo, nell’apparente dialettica tra verità e misericordia, il “grande assente” è il peccato (http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=37953).
E qui, consentitemi cari amici, si scoprono gli altarini. Cosa insegna San Giovanni Paolo II nel n. 84 di Familiaris consortio? Leggete e trasecolate:

La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.
La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l’educazione dei figli - non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).


Purtroppo, molti Pastori, sviati dalla porno teologia, pensano che questo sia un compito troppo gravoso, se non impossibile. Invece, non è assolutamente vero: la grazia di Dio agisce in modo mirabile e consente di superare prove che umanamente parlando sarebbero impossibili. Per esempio la bellissima testimonianza al Sinodo della dott.ssa Anca-Maria Cernea:
Mio padre era un leader politico cristiano che è stato imprigionato dai comunisti per 17 anni. I miei genitori erano fidanzati, stavano per sposarsi, ma il loro matrimonio ha avuto luogo 17 anni dopo. Mia madre ha aspettato tutti quegli anni mio padre, anche se non sapeva neppure se fosse ancora vivo. Sono stati eroicamente fedeli a Dio e al loro impegno. Il loro esempio dimostra che con la Grazia di Dio si possono superare terribili difficoltà sociali e la povertà materiale.
Noi, come medici cattolici, in difesa della vita e della famiglia, possiamo vedere che, prima di tutto, si tratta proprio di una battaglia spirituale. La povertà materiale e il consumismo non sono le cause principali della crisi della famiglia. La causa principale della rivoluzione sessuale e culturale è ideologica.
 
Per ultimo, due parole sull’epicheia, parola purtroppo usata “magicamente” per sdoganare qualsiasi comportamento. Scrive il Card. Ratzinger in “A proposito di alcune obiezioni contro la dottrina della Chiesa circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati”, (http://www.lanuovabq.it/it/articoli-divorziati-risposati-ratzinger-risponde-a-kasper-8634.htm) scritto nel 1998 in qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede:
 

3. Molti propongono di permettere eccezioni dalla norma ecclesiale, sulla base dei tradizionali principi dell’epicheia e della aequitas canonica.
Alcuni casi matrimoniali, così si dice, non possono venire regolati in foro esterno. La Chiesa potrebbe non solo rinviare a norme giuridiche, ma dovrebbe anche rispettare e tollerare la coscienza dei singoli. Le dottrine tradizionali dell’epicheia e della aequitas canonica potrebbero giustificare dal punto di vista della teologia morale ovvero dal punto di vista giuridico una decisione della coscienza, che si allontani dalla norma generale. Soprattutto nella questione della recezione dei sacramenti la Chiesa dovrebbe qui fare dei passi avanti e non soltanto opporre ai fedeli dei divieti.
[…] Epicheia ed aequitas canonica sono di grande importanza nell’ambito delle norme umane e puramente ecclesiali, ma non possono essere applicate nell’ambito di norme, sulle quali la Chiesa non ha nessun potere discrezionale. L’indissolubilità del matrimonio è una di queste norme, che risalgono al Signore stesso e pertanto vengono designate come norme di “diritto divino”. La Chiesa non può neppure approvare pratiche pastorali - ad esempio nella pastorale dei Sacramenti -, che contraddirebbero il chiaro comandamento del Signore. In altre parole: se il matrimonio precedente di fedeli divorziati risposati era valido, la loro nuova unione in nessuna circostanza può essere considerata come conforme al diritto, e pertanto per motivi intrinseci non è possibile una recezione dei sacramenti. La coscienza del singolo è vincolata SENZA ECCEZIONI a questa norma [2].

ATTENZIONE AL COLPO DI SCENA: la nota allo scritto del card. Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è la seguente:

[2] A tale riguardo vale la norma ribadita da Giovanni Paolo II nella Esortazione apostolica postsinodale “Familiaris consortio”, n. 84: “La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l’educazione dei figli - non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi.” Cfr. anche Benedetto XVI, Esortazione apostolica postsinodale “Sacramentum caritatis”, n. 29.

 
Ciò non significa mancare di misericordia ai nostri fratelli e sorelle divorziati e risposati. Tutt’altro! Insegna il punto 84 di Familiaris consortio:

Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.
Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.


 
La vera questione è che vogliono superare e “svuotare” la Familiaris consortio. Emblematica, oggi, l’intervista di Tornielli al card. Schönborn, moderatore del circolo tedesco del Sinodo http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/sinodo-famiglia-44154/:

In «Familiaris consortio» la unica via indicata per l’accesso ai sacramenti era quella del vivere come «fratello e sorella», cioè di astenersi dai rapporti sessuali in caso di seconda unione. Questo aspetto è da ritenersi superato nella vostra proposta?
Nel nostro testo non è accennato né detto. Non riteniamo che sia l’unica via. «Familiaris consortio» parla dell’esigenza di un discernimento. Forse l’accenno nuovo del nostro documento è quello al «foro interno», che peraltro appartiene alla tradizione classica. Nel secondo dei tre documenti che il circolo di lingua tedesca ha redatto discutendo le tre parti dell’«Instrumentum laboris» del Sinodo abbiamo citato i testi di san Tommaso che sono il nucleo del passaggio dalla «ratio» speculativa dottrinale alla «ratio» pratica tramite l’esercizio della virtù della prudenza: quanto più si scende nel particolare, tanto più è necessario il discernimento prudenziale.
Questo significa che, pur essendo di fronte a una situazione «disordinata» di una seconda unione che non può essere sacramentale, questa non è di per sé una condizione di peccato?
È interessante notare come l’insegnamento della Chiesa abbia già rinunciato a parlare genericamente di peccato grave in questi casi. All’inizio c’è il peccato grave dell’adulterio e spesso questo è il caso, se c’è un vincolo matrimoniale sacramentalmente valido. Ma se con il passare del tempo si crea una situazione che comporta anche delle esigenze oggettive, per esempio verso i figli nati nella nuova unione? Sono semplicemente figli illegittimi pur avendo papà e mamma? Certo, rimane il conflitto tra l’obbligo sacramentale - se il matrimonio era valido - e la nuova unione. Ma non si può affermare semplicemente che tutta la situazione sia di peccato grave, perché onorare la nuova realtà e le nuove situazioni oggettive è anche un’esigenza di giustizia. Per questo ci vuole questo discernimento che sappia guardare alle diverse realtà delle persone.


All’inizio c’è il peccato grave dell’adulterio e spesso questo è il caso, se c’è un vincolo matrimoniale sacramentalmente valido. Ma se con il passare del tempo si crea una situazione che comporta anche delle esigenze oggettive, […] rimane il conflitto tra l’obbligo sacramentale - se il matrimonio era valido - e la nuova unione.
 
Ed il peccato, magicamente, non c’è più! Tana libera tutti!
 
San Giovanni Paolo II, prega per noi

N. 84 DI FAMILIARIS CONSORTIO (COMPLETO)
e) I divorziati risposati

L’esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev’essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l’hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che - già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale - hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.
Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.
Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.
La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.
La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l’educazione dei figli - non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).
Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l’impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l’indissolubilità del matrimonio validamente contratto.
Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo.
Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.

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