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Da quali «cattedre» viene la predica!

Autore:
Mondinelli, Andrea e Laura
Fonte:
CulturaCattolica.it
Caro don Gabriele,
ieri 22 ottobre è uscito il primo volume (a cura di Virginio Pontiggia) dell’Opera omnia di Carlo Maria Martini. Il libro riunisce gli interventi della «Cattedra dei non credenti», testimonianza dell’impegno al dialogo di Carlo Maria Martini.
A proposito del modus operandi di Martini, riguardo al dialogo, mi è tornato alla mente quello molto discusso che ebbe con Ignazio Marino: “Dialogo sulla vita” colloquio tra Carlo Maria Martini e Ignazio Marino pubblicato su L'espresso” n. 16, 2006.
Questo lungo dialogo tra Martini e Marino, mi ha lasciato molto perplesso, sia per motivi generali, sia per le risposte ai casi particolari. Te lo riporto con le chiose che feci subito dopo averlo letto.
Oggi, anche tra gli uomini di Chiesa, la parola “dialogo” brilla come fosse oro zecchino, ma… “non è tutto oro quello che luccica”!

Il lungo dialogo tra Martini e Marino, ci lascia molto perplessi, sia per motivi generali, sia per le risposte ai casi particolari.
Cominciamo dai casi particolari e analizzeremo:

L’inizio della vita.

Cominciamo ad analizzare ciò che scrive Marino: “Uno dei temi più difficili da affrontare, su cui ci si interroga in continuazione proprio per la sua delicatezza e complessità, è l’aborto. In Italia, lo Stato ha regolato la materia, sforzandosi di coniugare il principio dell’autodeterminazione delle donne con la libertà di coscienza dei medici che possono scegliere l’obiezione”.
La delicatezza dell’aborto dovrebbe essere per tutti rappresentata dal fatto che due distinti diritti si contappongono: l’autodeterminazione della donna ed il diritto alla vita del bimbo/a che ha in grembo, chiamarlo feto non cambia la sostanza delle cose.
Marino contrappone, invece, al principio dell’autodeterminazione delle donne la libertà di coscienza dei medici obiettori, ed il feto se lo scorda proprio!
Martini, bontà sua, lo nomina ma per proporre il caso “in cui un feto minaccia gravemente la vita della madre”! Ed i suoi diritti a non essere ucciso, dove sono finiti?
Perché il cardinale non ha chiesto all’esimio scienziato se il feto di 90 giorni è materiale biologico, oppure è una persona umana? Per Marino e per Martini quando inizia la vita umana del feto? Martini non l’ha chiesto per non “fare a pugni”? Ma così facendo ha servito la verità?
 
Marino: “Per quanto ciascuno di noi riconosca che l’aborto costituisce sempre una sconfitta, nessuno può negare che la legge ha permesso di ridurre il numero complessivo degli aborti e di tenere sotto controllo quelli clandestini, evitando di mettere a rischio la vita delle donne esposte a gravi disastri come le perforazioni dell’utero fatte dalle “mammane” per indurre l’aborto”.
È un falso affermare che nessuno può negare la riduzione complessiva del numero degli aborti. Due ricercatori dell’Università di Trento, Erminio Guis e Donatella Cavanna hanno scoperto che il 32 per cento delle donne che hanno abortito non l’avrebbe fatto se non ci fosse stata la legge 194 a permetterlo. Quindi in trent’anni sarebbero stati evitati 1.400.000 aborti. È vero, invece, che i dati forniti per convincere la gente della giustezza della legge 194 erano volutamente gonfiati. Eccone la spiegazione: Pannella e soci, con la grancassa dei media, hanno dichiarato per introdurre la legge 194 che gli aborti clandestini si aggiravano intorno ai 2–4 milioni all’anno (Corriere della Sera del 10-09-1976: da 1.5 a 3 milioni di aborti clandestini l’anno; Il Giorno del 07-09-1972: da 3 a 4 milioni l’anno) e che le donne che morivano a causa dei danni post operatori delle mammane erano 25.000 l’anno. Ecco i dati ufficiali statistici di IVG dovuti alla legge 194 e che avrebbero risolto il problema degli aborti clandestini:
 

AnnoIVGValori cumulati
197868.6880
1979187.752256.440
1980220.263476.703
1981224.377701.080
1982234.593935.673
1983231.4041.167.077
1984227.8091.394.886
1985210.5971.605.483
1986198.3751.803.858
1987191.4691.995.327
1988179.1932.174.520
1989171.6842.346.204
1990165.9802.512.184
1991160.5322.672.716
1992152.4242.825.140
1993148.0332.973.173
1994138.9523.104.125
1995139.5493.243.674
1996140.3983.384.072
1997140.5253.524.597
1998138.3573.662.954
1999139.2133.802.167
2000135.1333.937.300
2001132.2344.069.534
2002134.1064.203.640
2003132.7954.336.435


In realtà sono stati circa 5,2 milioni in 30 anni. Delle due l’una: o esistono ancora milioni di aborti clandestini annui e la 194 ha fallito oppure erano dati inventati. Grazie a Dio è vera la seconda, perché i radicali mentono sapendo di mentire.
Ed ecco spiegato il perché:

1. se i dati dei radicali fossero stati veri, ogni donna italiana in età fertile avrebbe avuto almeno 8 aborti procurati clandestini.
2. Dall’Annuario Statistico del 1974 risulta che le donne in età feconda decedute nel 1972 furono 15.116, in particolare ne morirono solamente 409 per parto o in gravidanza.

La tattica utilizzata non è un’invenzione pannelliana. È stata copiata dagli USA. Ne è testimone di eccezione il dottor Bernard Nathanson, famoso ginecologo newyorkese noto come “il direttore della più grande clinica abortiva del mondo”. Ecco uno stralcio di una sua conferenza:
[…] “La nostra tattica, per realizzare il nostro scopo, è stata con piccole varianti, la stessa di quella usata in tutto il mondo occidentale. Per chi mi ascolta, è importante saperlo. Vale per tutti: per l’Italia, per il Canada, come per la Gran Bretagna. In questo momento la lotta infuria nella cattolicissima Spagna. Non c’è società occidentale che venga risparmiata. Tutte ne subiscono il contagio. Nel 1968, il nostro gruppo, la Naral, era consapevole di andare incontro ad una sconfitta nel caso di un sondaggio serio ed onesto. Indicammo così ai mass-media e al pubblico i risultati di un sondaggio fittizio, nel quale, secondo noi un 50-60% degli americani erano favorevoli alla liberalizzazione dell’aborto. La nostra tattica consisteva nell’invenzione di dati frutto di consultazioni popolari inesistenti. Il nostro obiettivo divenne presto realtà. Il pubblico, al quale dicevamo che tanti erano per l’aborto, mutò opinione e diventò davvero favorevole all’aborto. Vorrei dunque consigliare di essere molto critici e guardinghi di fronte a informazioni, diffuse dalla stampa e da notiziari della radio e della televisione: purtroppo l’informazione inesatta e tendenziosa rimane per gli abortisti il metodo migliore di propaganda. Drammatizzando la situazione, trovammo appoggi nella popolazione.
Falsificammo i dati sugli aborti clandestini (sapevamo che il loro numero si aggirava intorno ai 100.000) dando ripetutamente al pubblico e alla stampa la cifra di un milione. Sapevamo che la mortalità annuale negli aborti clandestini era di circa 200-250 donne. Noi invece dicevamo che ogni anno morivano circa 10.000 donne per aborto clandestino. Questi dati fittizi influenzarono l’opinione pubblica americana che si convinse della necessità di cambiare la legge. Il primo anno dopo la liberalizzazione, il numero degli aborti conosciuti salì ad almeno 750.000. Questa cifra, salì nel 1980 a 1,55 milioni, secondo i dati ufficiali. L’aumento degli aborti, dalla loro legalizzazione, si è dunque moltiplicato per 15 (dai 100.000 di prima si è passati infatti a 1,55 milioni nel 1980). Questa constatazione basta a dimostrare quanto fosse nefasta la nostra propaganda.
Una delle nostre tattiche consisteva nel convincere la gente che la penalizzazione dell’aborto avrebbe aumentato considerevolmente il numero degli aborti clandestini. Invece dai dati qui sopra elencati, risulta il contrario: è lecito pensare, che nel caso di una penalizzazione torneremmo ad una cifra vicina a quella anteriore, cioè a circa 100.000” […]

Per un cardinale dialogante, ignorare o, peggio, non stigmatizzare questi fatti è una grave mancanza! In Italia, tutt’oggi, siamo di fronte ad un numero di aborti clandestini annui variabile da 20.000 a 25.000. Questi numeri non sono bruscolini, ma rappresentano circa un 10% delle IVG legali!
 
Proseguiamo. Ancora Marino: “Di fronte a casi estremi come una donna che ha subito una violenza, una gravidanza in un’adolescente di undici o dodici anni, una donna senza le possibilità economiche di allevare un bambino, come si pone la Chiesa?”.
A parte che i numeri dipanati non sono da casi estremi, non è legalizzando l’aborto che si leniscono le sofferenze di queste povere donne, ma è l’accoglienza e la vicinanza alla loro situazione che le può aiutare. In generale la Chiesa è rigida nelle sue valutazioni morali, ma è piena di compassione per le singole pecorelle smarrite (vedasi Evangelium vitae n.99):
 “Un pensiero speciale vorrei riservare a voi, donne che avete fatto ricorso all’aborto. La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione, e non dubita che in molti casi s’è trattato d’una decisione sofferta, forse drammatica. Probabilmente la ferita nel vostro animo non s’è ancor rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane profondamente ingiusto. Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l’avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Vi accorgerete che nulla è perduto e potrete chiedere perdono anche al vostro bambino, che ora vive nel Signore. Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete essere con la vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori del diritto di tutti alla vita. Attraverso il vostro impegno per la vita, coronato eventualmente dalla nascita di nuove creature ed esercitato con l’accoglienza e l’attenzione verso chi è più bisognoso di vicinanza, sarete artefici di un nuovo modo di guardare alla vita dell’uomo”.
La mentalità abortista è l’esatto opposto: fai quello che vuoi, ma poi sono “cavoli” tuoi.
E fino a qui niente di nuovo! Solo la vecchia tattica del grimaldello sul particolare per inchiodarti al caso generale, che su Martini pare faccia ancora presa.
 
Analizziamo la risposta di Martini: “Ciò posto, mi sembra che anche su un tema doloroso come quello dell’aborto (che, come lei dice, rappresenta sempre una sconfitta) sia difficile che uno stato moderno non intervenga almeno per impedire una situazione selvaggia e arbitraria. E mi sembra difficile che, in situazioni come le nostre, lo stato non possa non porre una differenza tra atti punibili penalmente e atti che non è conveniente perseguire penalmente.”
 
È difficile credere ai propri occhi! È lo stesso argomento utilizzato dai radicali per introdurre sia l’aborto, che attualmente l’eutanasia! Che facciamo regolarizziamo e depenalizziamo l’omicidio? Icastico è Norberto Bobbio: “Il fatto che l’aborto sia diffuso, è un argomento debolissimo dal punto di vista giuridico e morale. E mi stupisce che venga addotto con tanta frequenza. Gli uomini sono come sono: ma la morale e il diritto esistono per questo”.  La depenalizzazione in talune circoscritte circostanze, si possono contare sulle dite di una mano, può essere fonte di discussione, ma la presunta situazione selvaggia si combatte sul piano sociale e di risveglio delle coscienze. In ogni caso, lasciamo parlare i numeri: l’aborto terapeutico, gravidanze interrotte entro 180 giorni per «rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna» rappresentano il 2,6 per cento del totale. Dopo la ventesima settimana di gestazione lo 0,7%: 928 aborti in cifre assolute. 146 in Lombardia, 51 in Sicilia. 135 nel Lazio, 9 in Calabria (Tratto da un articolo da “La Repubblica” del 1 aprile 2007 di  CONCITA DE GREGORIO). I numeri sopra esposti significano che per legge vengono effettuati, su un media di 130.000 aborti/anno, 3380 aborti/anno per grave pericolo della mamma o rilevanti malformazioni del nascituro. Ed i rimanenti 126.620 aborti/anno, per quale motivo sono effettuati?
Non ha forse ragione papa Giovanni XXIII, che nella Pacem in terris scrive: «L’autorità è postulata dall’ordine morale e deriva da Dio. Qualora pertanto le sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell’ordine, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di obbligare la coscienza...; in tal caso, anzi, chiaramente l’autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso»? È questo il limpido insegnamento di san Tommaso d’Aquino, che tra l’altro scrive: “La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza” (Summa Theol., I-II, q. 93, a. 3 ad 2).
Cosa intende Martini per “situazione selvaggia e arbitraria”?
Tuttavia ci sovviene il dubbio, e sarebbe gravissimo nel caso si voglia dialogare laicamente, che il card. Martini non abbia mai letto la legge 194. Essa consente l’interruzione volontaria della gravidanza, magari fosse soltanto una depenalizzazione! A tal proposito ecco cosa scrive Mauro Ronco in “L’aborto in quattro paesi dell’Europa Occidentale: legislazione e cause” (Quaderni di Cristianità, anno II, n. 4, primavera 1986):
“[…] La normativa vigente statuisce: a. l’assoluta prevalenza della facoltà di autodeterminazione della donna sul bene della vita e la piena libertà di abortire entro i primi novanta giorni dall’inizio della gravidanza (artt. 4 e 5); b. la possibilità di abortire in ogni caso, anche dopo lo spirare del novantesimo giorno, qualora ricorra una indicazione “medica”, individuata con estrema larghezza, avente cioè riferimento tanto alla salute fisica che alla salute psichica della donna ed espressamente ricomprensiva della cosiddetta indicazione “eugenetica”. […] L’aborto volontario non costituisce più un delitto per la legge italiana e configura anzi un “diritto” soggettivo della gestante. Ciò significa non soltanto che l’autore del fatto non è soggetto alla pena. bensì pure che la legge apprezza positivamente, come un valore meritevole di tutela, il momento della libera determinazione della donna incinta di sopprimere il frutto del concepimento.
La norma genera la prassi: oggi l’IVG è considerata una diritto fondamentale della donna. È talmente vero che solo l’idea di modificare la legge 194 è un vero e proprio tabù! Se proponessimo la stessa legge così com’è con solo l’aggiunta della dichiarazione di principio simile all’art. 1 della legge 40 sui diritti del nascituro, saremmo spellati vivi: sarebbe considerato lesivo dei diritti delle donne. In questo clima, per la violazione dei diritti umani, il Parlamento Europeo ha espresso più condanne della Santa Sede che non di Cuba e Cina. Lo ha denunciato Mario Mauro, vice-presidente dell’Europarlamento: “Negli ultimi dieci anni, per ben 30 volte nel Parlamento europeo la Santa Sede è stata denunciata per ingerenza o violazione dei diritti umani. A paragone Cuba o la Cina sono state condannate in media solo 15 volte”.
Ecco un esempio tra le tante risoluzioni:
Risoluzione del Parlamento Europeo in materia di sessualità e riproduzione:
Risoluzione 2001/2128 (INI)

8. sottolinea che l’aborto non dovrebbe essere promosso come un metodo di pianificazione familiare;
12. raccomanda che, al fine di salvaguardare la salute e i diritti riproduttivi femminili, l’aborto debba essere legale, sicuro e accessibile a tutti;

Per quanto riguarda la politica di salute sessuale e riproduttiva dell’UE in generale

22. invita il Consiglio e la Commissione, nell’ambito della strategia di preadesione, a prevedere un maggiore sostegno tecnico e finanziario ai paesi candidati al fine di sviluppare ed attuare programmi di promozione della salute e standard di qualità nei servizi relativi alla salute sessuale e riproduttiva e ad assicurare che le iniziative esistenti dell’Unione europea di assistenza all’Europa orientale e all’Asia centrale includano programmi di questo tipo;
23. invita la Commissione a tener conto dell’impatto devastante della politica Città del Messico applicata dall’amministrazione Bush, che ha negato finanziamenti alle organizzazioni non governative che, occasionalmente, consigliano alle donne quale ultima spiaggia il ricorso a cliniche in cui si pratica l’aborto, in particolare in vista dei programmi per l’Europa centrale ed orientale; invita la Commissione a colmare la lacuna di bilancio provocata dall’attuazione di tale politica;
24. si rammarica, a tale proposito, dell’esito della sessione speciale dell’ONU sui bambini del maggio 2002, nella quale, a risultato di una coalizione tra la Santa Sede, gli Stati Uniti e numerosi altri paesi membri dell’ONU, non si è potuto addivenire a un accordo per un riferimento positivo all’estensione dell’accesso ai servizi di salute riproduttiva, compresa l’informazione e l’istruzione in materia di salute sessuale e riproduttiva; invita il Consiglio e la Commissione a coordinare gli sforzi degli Stati membri al fine di garantire una migliore rappresentazione delle posizioni dell’UE a livello ONU in occasione di future manifestazioni;

Scritto nero su bianco in un documento ufficiale dell’UE!!
Ovviamente abbiamo il testo completo, che è a vostra disposizione nel caso interessasse. La Comunità Europea, con i nostri soldi, ha coperto i finanziamenti destinati a finanziare pratiche abortive e negati da Bush. Ovviamente con la firma in calce di un presidente autodefinitosi “cattolico adulto”. I soldi sono finita all’UNFPA e se vorrete ne racconteremo tutta la storia: vi assicuriamo che c’è da vomitare. Vi facciamo notare un inquietante utilizzo del condizionale nel punto 8. della Risoluzione: “l’aborto non dovrebbe essere promosso come un metodo di pianificazione familiare”, quel “non dovrebbe” è tutto un programma!
Torniamo a bomba. Martini:Comprendo che in Italia, con l’esistenza del Servizio Sanitario Nazionale, ciò comporta una certa cooperazione delle strutture pubbliche all’aborto. Vedo tutta la difficoltà morale di questa situazione, ma non saprei al momento che cosa suggerire, perché probabilmente ogni soluzione che si volesse cercare comporterebbe degli aspetti negativi. Per questo l’aborto è sempre qualcosa di drammatico, che non può in nessun modo essere considerato come un rimedio per la sovrappopolazione, come mi pare avvenga in certi paesi del mondo”.
 
Martini dice di vedere tutta la difficoltà morale dell’aborto, ma vede anche che è l’omicidio dell’essere umano in assoluto più indifeso? Pensiamo di no, altrimenti saprebbe cosa suggerire, o perlomeno rimarcherebbe l’abominevole fatto!
In quanto all’aborto come rimedio della sovrappopolazione, avviene sicuramente anche con i nostri soldi di cittadini europei (vedi punto precedente).
 
Martini: Naturalmente non intendo comprendere in questo giudizio anche quelle situazioni limite, dolorosissime anch’esse e forse rare, ma che possono presentarsi di fatto, in cui un feto minaccia gravemente la vita della madre.
Non forse, ma sicuramente rare:  vedasi punto precedente.
Martini: Naturalmente non intendo comprendere in questo giudizio anche quelle situazioni limite, dolorosissime anch’esse e forse rare, ma che possono presentarsi di fatto, in cui un feto minaccia gravemente la vita della madre. In questi e simili casi mi pare che la teologia morale da sempre ha sostenuto il principio della legittima difesa e del male minore, anche se si tratta di una realtà che mostra la drammaticità e la fragilità della condizione umana. Per questo la Chiesa ha anche dichiarato eroico ed esemplarmente evangelico il gesto di quelle donne che hanno scelto di evitare qualunque danno recato alla nuova vita che portano in seno, anche a costo di rimetterci la vita propria.
 
La teologia morale avrà anche sempre sostenuto, e giustamente, il principio della legittima difesa e del male minore. Ma dubitiamo fortemente che la scelta di abortire per salvare la propria vita ricada in questo caso. A meno che non si consideri il feto come un aggressore della madre! E chi ci pensa alla “legittima difesa” del bimbo/a nel grembo materno? A meno che… non lo si consideri una persona umana, ma solo un parassita.
In realtà, in quei casi in cui si è di fronte al doppio dramma del rischio della vita per la mamma e per il bambino, la scelta di abortire si configura come istinto di sopravvivenza della mamma, che merita tutto il nostro sostegno amoroso senza alcuna volontà di condanna, ma non è certo una legittima difesa e certamente non giustifica l’atto in sé dell’uccisione di un essere innocente!
Cerchiamo di chiamare le cose con il loro nome, e rifacciamoci alla Evangelium Vitae:

[…] Di fronte a una simile unanimità nella tradizione dottrinale e disciplinare della Chiesa, Paolo VI ha potuto dichiarare che tale insegnamento non è mutato ed è immutabile.72 Pertanto, con l’autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi — che a varie riprese hanno condannato l’aborto e che nella consultazione precedentemente citata, pur dispersi per il mondo, hanno unanimemente consentito circa questa dottrina — dichiaro che l’aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale.

Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla Legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa.
 
Sappiamo che il Magistero ordinario può non essere vincolante, ma anche un Principe della Chiesa, quando vi si mette in contrasto, si assume una grave responsabilità. Non basta nascondersi dietro ad un “mi pare”.
 
Martini: Non riesco invece ad applicare tale principio della legittima difesa e/o del male minore agli altri casi estremi da lei ipotizzati, né mi avvarrei del principio della “conscientia perplexa”, che non so bene che cosa significa.
 
Siamo sconcertati.  Martini ovviamente non può avvalersi di un principio che non conosce. Sappiamo che hanno discusso per mesi per poi decidere di pubblicare il dialogo, perché non si è fatto chiarire con altri termini cosa intende Marino per conscientia perplexa, tanto più che lo spiega nel suo libro “Curare e credere”, che Martini dichiara di avere letto “con molto interesse e partecipazione”!
Nel dialogo, comunque, c’è un inciso tratto proprio dal succitato libello: “Conscientia perplexa”: quella condizione in cui un uomo o una donna a volte si trovano ad affrontare situazioni che rendono incerto il giudizio morale e difficile la decisione”. Tutte le decisioni importanti della vita sono difficili.  Siamo sicuri che siano le situazioni che rendono incerto il giudizio morale e non la coscienza “non formata”? Nel caso dell’aborto non esistono situazioni che rendono incerto il giudizio morale sulla sua liceità, invece può esistere una coscienza non formata, e, tra perentesi, questo dialogo Marino - Martini non l’aiuta certo a formarsi. Per noi è stato di grande aiuto un articolo dell’allora Card. Ratzinger dal titolo “L’elogio della coscienza” in cui si affrontavano questi temi. Eccone uno stralcio significativo:
“Quanto era stato per me solo marginalmente chiaro in questa discussione, divenne pienamente evidente un po’ dopo, in occasione di una disputa tra colleghi, a proposito del potere di giustificazione della coscienza erronea. Qualcuno obiettò a questa tesi che, se ciò dovesse avere un valore universale, allora persino i membri delle SS naziste sarebbero giustificati e dovremmo cercarli in paradiso. Essi infatti portarono a compimento le loro atrocità con fanatica convinzione ed anche con un’assoluta certezza di coscienza. Al che un altro rispose con la massima naturalezza che le cose stavano proprio così: non c’è proprio nessun dubbio che Hitler ed i suoi complici, che erano profondamente convinti della loro causa, non avrebbero potuto agire diversamente e che quindi, per quanto siano state oggettivamente spaventose le loro azioni, essi, a livello soggettivo, si comportarono moralmente bene. Dal momento che essi seguirono la loro coscienza - per quanto deformata -, si dovrebbe riconoscere che il loro comportamento era per loro morale e non si potrebbe pertanto mettere in dubbio la loro salvezza eterna. Dopo una tale conversazione fui assolutamente sicuro che c’era qualcosa che non quadrava in questa teoria sul potere giustificativo della coscienza soggettiva, in altre parole: fui sicuro che doveva esser falsa una concezione di coscienza, che portava a simili conclusioni.
 
Non si può identificare la coscienza dell’uomo con l’autocoscienza dell’io, con la certezza soggettiva su di sé e sul proprio comportamento morale.
[…] Certamente si deve seguire la coscienza erronea. Tuttavia quella rinuncia alla verità, che è avvenuta precedentemente e che ora prende la sua rivincita, è la vera colpa, una colpa che sulle prime culla l’uomo in una falsa sicurezza, ma poi lo abbandona in un deserto privo di sentieri.
 
Riteniamo che Martini sapesse cosa intendeva Marino, ma che abbia glissato.
 
Martini: Le ragioni di fondo dei cristiani stanno nelle parole di Gesù, il quale affermava che “la vita vale più del cibo e il corpo più del vestito” (cfr Matteo 6,25), ma esortava a non avere paura “di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima” (cfr Matteo 10,28). La vita fisica va dunque rispettata e difesa, ma non è il valore supremo e assoluto.
[...] Ma è importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella visione cristiana e di molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio promette all’uomo. Possiamo dire che sta qui la definitiva dignità della persona. Anche chi non avesse questa fede, potrebbe però comprendere l’importanza di questo fondamento per i credenti e il bisogno comunque di avere delle ragioni di fondo per sostenere sempre e dovunque la dignità della persona umana.
 
Tutto vero e tutto bello. C’è però il rischio che il discorso in questo contesto sia travisato come se la difesa della vita dipendesse dalla fede. Per essere contro l’aborto è sufficiente la ragione umana.
 
Passiamo all’inizio della vita.
 
MARTINI – […] Questo fa sì che quando si tratta della vita umana, occorre un grande rispetto e un grande riserbo su tutto ciò che in qualche modo la manipola o la potrebbe strumentalizzare, fin dai suoi inizi. Ma ciò non vuol dire che non si possano individuare momenti in cui non appare ancora alcun segno di vita umana singolarmente definibile. Mi pare questo il caso che lei propone dell’ovocita allo stadio dei due pronuclei. In questo caso mi sembra che la regola generale del rispetto può coniugarsi con quel trattamento tecnico che lei suggerisce. Mi pare anche che quanto lei propone permetterebbe il superamento di quel rifiuto di ogni forma di fecondazione artificiale che è ancora presente in non pochi ambienti e che produce un doloroso divario tra la prassi ammessa comunemente dalla gente e anche sancita dalle leggi e l’atteggiamento almeno teorico di molti credenti.
 
Per chiarezza facciamo rispondere la Pontificia Academia Pro Vita XII Assemblea Generale: nella dichiarazione finale del Congresso Internazionale “L’EMBRIONE UMANO NELLA FASE DEL PREIMPIANTO”  23 marzo 2006 (di 30 giorni precedente al dialogo Marino – Martini):
Alla luce, dunque, delle acquisizioni più recenti dell’embriologia è possibile fissare alcuni punti essenziali universalmente riconosciuti:
a) Il momento che segna l’inizio della esistenza di un nuovo “essere umano” è rappresentato dalla penetrazione dello spermatozoo nell’ovocita. La fecondazione induce tutta una serie di eventi articolati e trasforma la cellula uovo in “zigote”.
 
Anche qualora si ritenesse plausibile congelare la coppia di pronuclei maschile e femminile, l’unico vantaggio sembrerebbe quello di poterne poi praticare la distruzione senza ostacoli morali, in caso di un suo mancato utilizzo nel corso di un trattamento per infertilità. Qualsiasi altra destinazione esigerà che sia portato a completamento il suo sviluppo ad embrione: e in quel momento ogni problema morale si riproporrà di nuovo immutato. Resta comunque l’interruzione di un processo in sé ordinato ad una individualità, a quella singola individualità (l’eventualità dei gemelli omozigoti non impedisce né qui né in altri stadi di parlare di singolarità e identità). La sua illiceità appare derivabile come minimo da un principio di cautela, che deve informare la nostra difesa attiva dell’intangibilità dell’essere umano. Questo problema è sorprendentemente eluso dal cardinale.
 
DISCORSO GENERALE.
Potremmo continuare per molte altre pagine ma preferiamo concentrarci sulla strategia generale che sta alla base del concetto di dialogo così come abbiamo percepito lo intenda Martini. Egli cerca di punti di contatto nelle “zone grigie”, dove, parafrasando Hegel, tutte le vacche hanno lo stesso colore: nero come la morte! Il cardinale condisce il dialogo con un’alluvione di “mi pare” (n°11), “mi sembra” (n°4), addirittura un “mi parrebbe” ed un numero imprecisato di “forse”.
Un siffatto dialogo non può portare da nessuna parte, perché nelle zone grigie la cultura di morte non ha alcuna difficoltà a decidere. Anzi, di zone grigie proprio non ne ha. Armonizzando arbitrio e tecnica, una sempre più realizzabile corrispondenza tra fatto e volere individuale la soddisfa e la premia comunque.  È questo il motivo per cui anche nei mass media si cerca di trascinare il dialogo sui casi particolari, meglio se molto pietosi.
Si dice che l’eccezione conferma la regola non che la crea: stilare una norma partendo dall’eccezione è una vera e propria contraddizione di termini! È un errore tragico cercare principi comuni partendo dal particolare: si fa il gioco di chi vuole imporre un’etica pratica di stampo utilitaristico, che di principi generali proprio non ne vuole sentir parlare. Tutt’al più cerca un etica condivisa tra “stranieri morali”, come in Engelhardt (“Non tutti gli esseri umani sono persone. I feti, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono esempi di non-persone umane), che tra l’altro si professa cattolicissimo (dello stesso cattolicesimo di Ignazio Marino? Da come ha affrontato la vicenda di Eluana sembrerebbe proprio di sì).
Quando si dialoga non bisogna mai dimenticare chi si ha di fronte, né quali sono le proprie posizioni. È necessario comprendere e capire le differenze per eventualmente trovare ciò che unisce. Per far ciò non c’è niente di meglio di una domanda ben posta. In questo confronto Martini - Marino non se ne è vista neppure l’ombra.

Colloquio tra Carlo Maria Martini e Ignazio Marino
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