Quando la Chiesa sa difendere il suo popolo
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«Come la nascita di un uomo, anche quella di un pensiero ha qualcosa di sacro. Alipio si allontanò in punta in piedi.
Fuori, la strada aveva un aspetto strano, sinistro. Ovunque si vedevano gruppetti di gente riunita a confabulare. Le voci erano agitate. Stava succedendo qualcosa. Ambrogio era già stato a corte? Era ancora là?
Deciso a vederci più chiaro, Alipio imboccò il nuovo, ampio viale che dagli eleganti quartieri residenziali portava al palazzo imperiale. Ma tanto più ci si avvicinava, e tanto più la folla infittiva.
A fatica, riuscì a farsi largo tra la calca. E lo spettacolo che infine gli si parò davanti gli sarebbe rimasto impresso per tutta la vita.
Il vescovo Ambrogio procedeva lungo il viale, seguito dal suo segretario, Paolino, e da altri tre membri del clero. Alle loro spalle, marciava un esercito.
Disarmato, ma pur sempre un esercito. Uomini, donne, bambini, ricchi e poveri, giovani e anziani, tutti con la medesima espressione solenne in volto.
All’uscita della sua residenza, il vescovo aveva trovato migliaia di persone ad attenderlo. E quando si era incamminato, loro l’avevano seguito, nel silenzio più assoluto, come se facessero parte di lui. Dopo qualche passo, lui si era voltato, e li aveva implorati di tornare alle loro case. Loro avevano ascoltato senza protestare, conservando lo stesso, rispettoso silenzio. Ma quando lui aveva ripreso a camminare, avevano continuato a seguirlo.
E strada facendo, metro dopo metro, altri si era aggiunti al corteo. A metà del tragitto, la folla superava le diecimila persone, e ancora non aveva smesso di crescere. Il viale era gremito in tutta la sua larghezza, e il corteo si snodava a perdita d’occhio. Era come se tutta Milano si fosse messa in marcia.
A palazzo, la corte si era riunita al gran completo, impaziente di assistere all’umiliazione del prelato che aveva osato opporsi alla volontà di sua maestà imperiale. Ma quando i cortigiani si affacciarono alle finestre, videro l’intera città che marciava su di loro. Nella vasta sala delle udienze soffiò un vento gelido di costernazione. Qualche cortigiano ritenne più saggio tornare di filato nelle sue stanze, a mettere sotto chiave il proprio tesoro privato.
L’imperatrice madre si guardò intorno. La sua corte era una successione di volti pallidi, come una collana di perle. Da non credere. Ma era ancora giovane, e non abituata a incontrare resistenza. Rispose allo sguardo angosciato del piccolo Valentiniano con un sorriso rassicurante, poi gli appoggiò una mano sulla spalla.
Ordinò al generale Flavio Bauto di chiudere i cancelli del palazzo e di schierare le guardie agli ingressi. Il generale obbedì con la tranquilla sicurezza di un soldato.
Un minuto dopo, con un cigolio stridulo, gli enormi cancelli furono sbarrati, e svariate centinaia di guardie palatine, tutti goti ariani, marciarono in cortile e si disposero in formazione.
Persino Giustina era consapevole di quanto fosse irrisorio il loro numero rispetto all’esercito che avanzava. Tutt’intorno a lei, la corte mormorava, e quei sussurri erano destinati alle sue orecchie.
Gradatamente, cominciò a rendersi conto che rischiava una rivolta - la fine del suo regno.
Trovò forza nell’ostinazione. «Lasciate entrare solo il prete» ordinò. «Nessun altro.»
In quell’istante, dalla finestra, vide Ambrogio voltarsi e ordinare alla folla di fermarsi. Poi il vescovo si girò di nuovo ed entrò da solo nel palazzo. Aveva anticipato il suo ordine.
Lei guardò il generale, appena rientrato nella sala. «Se il popolo tenta un’irruzione, mi aspetto che i tuoi uomini lo respingano» disse, a gran voce.
«Faranno il possibile» rispose lui. «Ma sono quattrocentocinquanta contro trentamila.»
L’avvertimento era chiarissimo. Intanto il mormorio intorno a lei aumentava di volume. Incrociando il suo sguardo, il ministro Paronio scrollò appena la testa. Lei strinse le labbra.
All’ingresso di Ambrogio nella sala, calò un silenzio assoluto. La sua figura alta e segaligna raggiunse i gradini del trono, poi si inchinò.
«Il consiglio aveva convocato voi, eccellenza» disse Giustina. «A quanto sembra, invece, vi siete fatto scortare dall’intera città. Da quando un prete sente il bisogno di guardie del corpo?»
«Questa brava gente mi ha seguito di sua iniziativa» rispose lui. «Sono sudditi leali di vostra maestà imperiale, come il vostro servo, Ambrogio.»
Paronio si affrettò a intervenire. «In tal caso, certo vorrete usare la vostra autorità per...»
Fu interrotto da un rumore assordante, all’esterno. Metà dei cortigiani corse alle finestre.
«Prendono d’assalto il palazzo...»
«Cedete al prete» sussurrò il ministro all’imperatrice madre. «Subito, o tutto è perduto.»
«Ma i cancelli sono chiusi...»
«Verranno divelti, dal primo all’ultimo.»
Un tonfo all’esterno confermò le sue parole.
«Hanno abbattuto un cancello» strillò un cortigiano.
«L’imperatore... l’imperatrice... metteteli in salvo!» gridò Paronio.
In due falcate, Ambrogio raggiunse la finestra, e alzò una mano. Il tumulto si smorzò, poi cessò del tutto.
Ambrogio si girò verso Giustina. «Perché mi avete convocato, maestà?» chiese, con perfetta calma.
«Lasciate che sia io a parlare» le sussurrò Paronio. «Per l’amor di Dio, cedetemi la parola.»
Lei annuì.
«Reverendissimo vescovo,» disse il ministro «Sua maestà vi sarà grata se chiederete a questa... brava gente... di disperdersi, e tornarsene alle proprie case. Desideriamo soltanto la pace.»
Nella sala risuonò un mormorio di assenso.
Ambrogio guardò Giustina. «Ho la garanzia di sua maestà che al vostro servo non verrà più chiesto di cedere alcuna chiesa cattolica ad altro culto se non quello cui è stata dedicata e consacrata?»
«Accettate» sibilò Paronio. «Accontentatelo.»
Giustina annuì.
«Avete la parola di sua maestà» gridò subito Paronio. «Ma ora affrettatevi... la folla ha ripreso ad agitarsi.»
Con un inchino cortese, il vescovo uscì dalla sala.
Solo allora Giustina ritrovò la parola. «Per il figlio di Dio!» imprecò. «Gliela farò pagare.»
Quando il vescovo apparve nel cortile, la vasta folla lo accolse con grida di trionfo. Davanti agli occhi sgranati dei goti, tutti si inginocchiarono per ricevere la benedizione di Ambrogio, poi lo seguirono, riattraversando la città come una marea.»