Mio padre è stato per me l’“assassino”
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Notizie di questi giorni.
Dodici anni. Il giudice aveva stabilito che fosse bene per lui stare per un po’ in una struttura protetta a Venezia, fino a quando non si fossero risolti i problemi a casa. Lui ha aspettato il momento buono, di non essere visto, ed è scappato. E’ andato in stazione, senza biglietto è salito su un treno, è sceso alla stazione di Portogruaro, ha suonato alla porta di casa. Volevo abbracciare la mamma, ha detto quando i carabinieri gli hanno chiesto perché e l’hanno riportato dentro.
Nelle mie classi, nelle classi di ogni insegnante, ci sono ragazzi con famiglie disastrate, o problematiche, o fragili. Padri lontani per lavoro, padri separati, padri assenti. Padri a cui per un periodo il giudice ha impedito di avvicinarsi alla moglie e ai figli per problemi che non sto a dire.
Capita che in classe si stia lavorando sulla poesia e capita che tra i poeti ci sia Saba. Anche la poesia Mio padre è stato per me l’“assassino”.
Leggo e c’è silenzio. Le parole delle poesie sono pesanti come macigni, a volte.
Era stata abbandonata, la madre di Saba; lui, Umberto, rifiutato da suo padre, “gaio e leggero”. Eppure quel padre è nel suo cuore, nella sua carne, nei suoi occhi. «Aveva in volto il mio sguardo azzurrino».
Eppure, di quel padre che gli ha detto no, che mai si è curato di lui, scrive: «mio padre è stato per me “l’assassino”; / fino ai vent’anni che l’ho conosciuto. / Allora ho visto ch’egli era un bambino, / e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto».
Abbiamo letto e commentato questo testo, ci siamo interrogati sulla maternità e sulla paternità e oggi, a casa, ho trovato questa mail: «Era per me quella poesia, prof. Mi ha lavorato dentro come un tarlo, non mi lasciava in pace. Ho preso il cellulare e l’ho chiamato. Sì, mio padre, “l’assassino”, quello che non può avvicinarsi a noi. Gli ho detto che deve curarsi, che deve guarire, che voglio che stia bene perché è mio padre. E che anche se oggi ho paura di lui per quel che ci ha fatto, comunque gli devo un grazie. Senza di lui, io non ci sarei, non amerei la vita come la amo».
Ha un bel dire, questo mondo, che “genitore-uno e genitore-due” vanno bene uguale; che chiunque ci alleva per noi è indifferente, interscambiabile.
Nel silenzio di questo Sabato Santo, che è giornata di dolore e di domanda, dell’attesa struggente di un abbraccio che ci liberi, di una Presenza che ci salvi, è la cronaca, è la realtà a dirci che nel cuore del cuore risuonano, potentissime, due sole parole. Mamma. Papà.
Il mondo vuole negarle, ma sono le nostre radici, è l’origine, è da lì che veniamo, e non c’è amore più grande. (E cosa credete avessero, nelle labbra e nel cuore, quei 147 poveri cristi trucidati in Kenia?...)