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Vergini come marito e moglie...

Autore:
Mondinelli, Andrea
Fonte:
CulturaCattolica.it
Caro don Gabriele,
ho letto la bellissima intervista di padre Antonio Sicari a don Giussani, recentemente ripubblicata dal settimanale Tempi. È di un’attualità impressionante ed anche il titolo è azzeccatissimo: “Vergini come marito e moglie. Lo splendore del matrimonio e della famiglia”. Secondo la vulgata corrente, vergini come marito e moglie è un ossimoro, una contraddizione di termini. Invece, è realmente così! La verginità è il fondamento, anzi, di più è l’origine da cui scaturisce il matrimonio e la famiglia cristiana.

Nel Memorandum “Activities Relevant to the study of Population Policy for the U.S.” di Frederick S. Jaffe, Vicepresidente della Federazione Mondiale per la Pianificazione Familiare, a Bernard Berelson del 11 marzo 1969, che sintetizza lo studio per evidenziare gli esempi di provvedimenti disumani per ridurre la fertilità, c’è scritto: “Ristrutturare la famiglia: a) posticipare o evitare il matrimonio; b) alterare l’immagine della famiglia ideale”. Questi disgraziati sapevano benissimo, perché il loro cornuto padrone è molto intelligente, l’importanza di avere come riferimento un certo ideale di famiglia. Noi sappiamo che tale famiglia è la Santa Famiglia che, però, non è affatto ideale, ma reale e originaria di tutte le famiglie umane come Dio le ha volute. Questo lo stiamo dimenticando anche noi cattolici, a fronte del malsano insegnamento di certi vecchi teologi (vedi qui http://www.giovaniemissione.it/index.php?option=content&task=view&id=1840&Itemid#balducci) e nuovi storici (vedi qui), le cui tesi puzzano mefiticamente di zolfo storicistico.
Noi cattolici, però, dello storicismo ce ne facciamo un baffo e aiutati dalla santa grazia cerchiamo di guardare la realtà dal punto di vista di Dio, ex parte Dei. In questa visione si colloca la frase di don Giussani, che alla domanda di padre Sicari “Quando a un coniuge succede di esser proprio, fisicamente, abbandonato, di restar solo, che senso ha ancora la fedeltà?”, risponde: “Il senso si può trovare solo scoprendo l’aspetto “verginale” della propria vocazione. Nota bene che questo aspetto era presente anche prima, anche quando il rapporto perdurava. Era già l’essenza del rapporto coniugale”. Don Giussani ci dice l’essenza del matrimonio cristiano è la verginità. Ma da dove ha origine questa verginale essenza? L’originario è Gesù, ma è indubbiamente originario pure il legame della Beata Vergine Maria con il Figlio, perché l’umanità di Gesù e Maria sono indissolubilmente legate: “Colui che la terra, il mare, il cielo / lodano, adorano e predicano, / colui che regge il triplice congegno del mondo, / Maria lo culla nel suo ventre” (“Quem terra, pontus, aethera / Colunt, adorant, praedicant, / trinam regentem machinam / claustrum Mariae baiulat”).
Padre Giuseppe Barzaghi scrive: “Nella prospettiva anagogica del cristocentrismo cosmico, cioè nella quale Cristo è colui per il quale sono tutte le cose e in cui tutto sussiste (cf. Col. 1,15-18), Dio dice tutto e totalmente se stesso in Cristo. E dice tutto il mondo in Cristo paziente e glorioso, tanto che le fondamenta stesse del cosmo sono strutturate sull’Agnello Immolato (Ap. 13,8). Si tratta di una struttura esemplare. Proprio perché esemplare, la dizione cosmica di Dio, che ha in Cristo il suo centro, ha anche nel grembo di Maria la medesima centratura. Dio dice il cosmo in Cristo attraverso il grembo di Maria e dice il grembo di Maria in Cristo che lo specifica e lo determina. Il primato è sempre di Cristo, ma l’alveo di questo primato è il grembo di Maria” (L’Originario – La culla del mondo” ed. EDS pag. 59).
C’è quindi un legame strutturale tra verginità e maternità e questo legame è rappresentato proprio in Maria Santissima, che è Vergine e Madre. Inoltre, se è vero, come è vero, che noi siamo suoi figli, allora questo legame deve sussistere anche in noi, sia pure con modalità diverse. In un’intervista di Riccardo Cascioli, mons. Negri rispose: “Quando reincontro quotidianamente nella comunione dei santi il mio grande amico monsignor Giussani, mi sento come qualunque cattolico di Milano che entra nella grande, straordinaria costruzione che la fede del popolo di Dio ha eretto alla Madonna. Ma tutta questa enorme grandezza poggia su una piccola pietra posta all’inizio, all’ingresso: «Mariae nascenti»”.
La maternità richiede accoglienza e dono, qualità tipicamente femminili. C’è poco da fare o da dire: il femminile è originario. Proprio per questo, la donna è particolarmente sotto attacco soprattutto oggi: la si vuole distruggere nella sua stessa natura: “La donna è sempre di più un campo di sperimentazione e di rieducazione pilotata dell’umanità. La donna moglie-madre era già stata messa in discussione dal vecchio femminismo, ma sul piano sociale, non ancora su quello antropologico. Si parlava di pari opportunità e il rivendicazionismo femminista lottava contro la donna “tutta figli e fornelli”. Ora la donna moglie-madre è contestata a livelli molto più profondi. Si nega la naturalità non solo del ruolo di moglie e di madre, ma anche dello stesso essere donna: la femminilità” (qui). La radice, il fondamento di questo attacco è in Ap. 12, 1-4: “Poi un grande segno apparve nel cielo: una donna rivestita del sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Apparve ancora un altro segno nel cielo: ed ecco un gran dragone rosso, che aveva sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi. La sua coda trascinava la terza parte delle stelle del cielo e le scagliò sulla terra. Il dragone si pose davanti alla donna che stava per partorire, per divorarne il figlio, non appena l'avesse partorito”.
Vale la pena rileggere con attenzione il n. 104 di Evangelium vitae: “Nel Libro dell'Apocalisse il «segno grandioso» della «donna» (12, 1) è accompagnato da «un altro segno nel cielo»: «un enorme drago rosso» (12, 3), che raffigura Satana, potenza personale malefica, e insieme tutte le forze del male che operano nella storia e contrastano la missione della Chiesa. Anche in questo Maria illumina la Comunità dei Credenti: l'ostilità delle forze del male è, infatti, una sorda opposizione che, prima di toccare i discepoli di Gesù, si rivolge contro sua Madre. Per salvare la vita del Figlio da quanti lo temono come una pericolosa minaccia, Maria deve fuggire con Giuseppe e il Bambino in Egitto (cf. Mt 2, 13-15). Maria aiuta così la Chiesa a prendere coscienza che la vita è sempre al centro di una grande lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre”.
Abbiamo visto il profondo e originario legame tra Gesù e Maria. Gesù, nella sua natura umana, necessitava di una madre e questo legame Madre e Figlio riverbera nella donna che genera la vita. E per noi maschietti? Gesù non ha un papà propriamente umano, ma ne ha uno putativo: San Giuseppe, castissimo sposo di Maria. È lui il nostro modello: il patrono dei padri di famiglia come “sublime modello di vigilanza e provvidenza”. Inizialmente, San Giuseppe non capisce cosa sta succedendo, ma, nonostante tutti i suoi dubbi, il suo primo pensiero è stato quello di custodire un mistero che pure non comprendeva. Fino ai trent’anni della vita del Messia, fu sempre accanto al figliolo con fede, obbedienza e disponibilità ad accettare i piani di Dio. Cominciò a scaldarlo nella povera culla della stalla, lo mise in salvo in Egitto quando fu necessario, si preoccupò nel cercarlo allorché dodicenne era “sparito’’ nel tempio, lo ebbe con sé nel lavoro di falegname, lo aiutò con Maria a crescere “in sapienza, età e grazia”; si è lasciato guidare dalla Provvidenza divina nel compito di proteggere e custodire la Santa Famiglia.
La protezione e la custodia di questo grande mistero che è il femminile originario appartiene alla nostra natura maschile. Mi viene in mente la canzone dei Pooh “ninna nanna” che da sempre mi commuove: “Apro gli occhi e osservo lei, lieve sonno e vita che si libera nell'anima. Taci e guarda mente mia voglio amore e amore sia, nel sonno suo lieve e silenziosa canta in lei la preghiera limpida abbracciami proteggimi”. Ora mi pare di aver intuito che questa commozione deriva proprio dall’essere uno sguardo, un istante di eternità sul femminile originario. Proprio perché dura un istante, te ne rimane nostalgia, vorresti che quell’istante si dilatasse. La nostalgia è il dolore perché si vuole tornare, i latini la chiamavano desiderium patriae, desiderio della patria.
La Santa Famiglia è proprio la famiglia originaria in cui mirabilmente coesistono verginità, coniugalità e genitorialità. Ora, a noi sposi cristiani il Signore chiede che, mediante la nostra unione, si realizzi il duplice fine del matrimonio: il bene degli stessi sposi e la trasmissione della vita. Non si possono disgiungere questi due significati o valori del matrimonio, senza alterare la vita spirituale della coppia e compromettere i beni del matrimonio e l'avvenire della famiglia. A noi è chiesto di vivere nella castità matrimoniale. Come ci dice il Catechismo al n.2362: “Gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorevoli e degni, e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano, ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 49]”. La verginità, però, in senso proprio, appartiene ai consacrati e rimanda all’eternità. Ma la verginità è pure costitutiva della famiglia originaria, quindi esiste un indissolubile legame tra noi sposi cristiani ed i consacrati per il Regno di Dio e questo legame è nella Santa Famiglia di Nazareth.
In questo senso, “gli sposi devono prima o poi avere nostalgia della verginità cristiana”, come ci ricorda don Giussani al termine di quella mirabile intervista, perché costitutivamente essenziale del rapporto coniugale, perché Cristo è al cuore del matrimonio cristiano. Perché la nostalgia Nasce Ogniqualvolta Si Trovi Altrove La Gioia Intensamente Amata.

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