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Il nuovo mestiere di Marino: da sindaco a...

Fonte:
CulturaCattolica.it

Non abito a Roma, eppure proprio non ce la faccio a dire non mi riguarda. Mi riguarda eccome, il dibattito sul quartiere a luci rosse all’Eur, voluto dal sindaco Marino. Mi riguarda come donna, come madre, come insegnante. E scusate se è poco.
Mi riguarda perché il problema non è Roma soltanto. E’ la piaga della prostituzione, dello sfruttamento, del degrado di quelle vie in cui si chiede e si dà piacere in cambio di soldi. Il problema sono anche le strade di qui, gli alberghi di qui, gli appartamenti di qui, i bagni delle nostre scuole. E non sarà cambiando indirizzo a quelle strade, quelle stanze, quelle scuole che avremo sconfitto la vergogna di donne (e ragazzine!) che si vendono per pochi o per tanti soldi, costrette o non costrette dal magnaccia di turno.
Mi riguarda, l’ipotesi di un quartiere a luci rosse a Roma, come dovrebbe riguardare ciascuno di noi: maschio o femmina. Politici e forze dell’ordine facciano il loro: io non ce l’ho, la ricetta per “risolvere” il problema della prostituzione. Quel che sicuramente posso e voglio fare è assumermi fino in fondo la responsabilità educativa nei confronti delle giovani generazioni, ad esempio denunciando la mentalità che ha portato allo svilimento e alla perdita di valore e di dignità del corpo delle donne, prima ancora che ricordare la piaga dell’indigenza o la fatica a trovare lavoro, che sbatte sui marciapiedi delle poveracce, la gran parte al soldo e agli ordini di sfruttatori senza scrupoli.
Oggi, nell’indifferenza pressoché generale, pare che a dettare legge sia solo il criterio della domanda e dell’offerta. Se tanti maschi cercano piaceri fuori dalle mura domestiche, c’è bisogno di donne che si offrano fuori casa. Punto. Adulti e vaccinati, liberi tutti di vivere la propria sessualità come credono, di fare ciò che vogliono del proprio corpo. E se disturbano, spostiamoli. Chiuso il discorso.
In effetti, che dire se nelle piazze, sui giornali, alla tivù, è cinquant’anni che sentiamo slogan sul sesso libero, il libero amore, vietato vietare? «Il corpo è mio e lo gestisco io». Il sesso è stato sganciato dall’amore e dalla procreazione ed è presentato come gioco, ginnastica, sfogo di ogni pulsione, senza freni e senza remore. E a scuola? Gli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa ogni due per tre parlano di «sesso olistico» e nella fascia di età da zero a quattro anni prevedono che i bambini siano iniziati alla «masturbazione sessuale precoce», alla «scoperta del proprio corpo e dei propri genitali»; nella fascia da sei a dodici anni, oltre ad avere acquisito una completa conoscenza sessuale (eiaculazione, mestruazione, contraccezione, aborto…) sostengono che si deve imparare a provare «amicizia e amore verso persone dello stesso sesso», mentre gli adolescenti (12 – 15 anni) devono essere educati sulle «aspettative di ruolo e comportamenti di ruolo rispetto all’eccitazione sessuale e alle differenze di genere». Ancora a scuola – a scuola, sì, non su YouPorn – nei programmi di “lotta al bullismo omofobico” vengono proposti, alla secondaria di primo grado, film con accoppiate estemporanee tra adolescenti etero o più spesso omosessuali, o al biennio di un liceo si fanno leggere scene di sesso orale tra gay, senza lesinare sui particolari – sapori e odori compresi. Che dire, se per le Femen, invitate in tivù in prima serata, le tette sono «strumenti politici» e nessuno – donne in primis – ha nulla da eccepire? Se devi sudare sette camicie per far sorgere il dubbio che dare in affitto il proprio utero (costo variabile, dai 30 ai 100 mila dollari) non sia filantropismo come ci raccontano, ma un autogol? Oltre il danno, la beffa. Ti usano come contenitore, ti strappano il figlio che hai in grembo e ti fanno credere che sia cosa buona. Già, che dire?
L’esito sono corpi venduti e comprati; richieste di prestazioni, le più varie (e avariate), che se in casa francamente paiono “troppo” me le compro fuori; voglie esibite e sesso estremo in accoppiata o in multipla con e senza sex-toys (chiedete, se avete amici medici, cosa arriva in Pronto soccorso…)
L’esito sono le baby prostitute che escono di casa in felpa, jeans e scarpe da ginnastica ma nello zaino hanno nascosta la minigonna e il tacco 12, o dicono che vanno a dormire, la sera, dall’amica, e poi le vedi con il cellulare nuovo o la borsa firmata, e genitori “distratti” manco si chiedono come sia possibile.
Sono le ragazzine delle medie che fanno i “servizietti” ai maschi nei bagni della scuola per una ricarica al cellulare (è sesso sicuro, pensano. Mica resti incinta!).
Sono adolescenti che postano foto in topless sui social, come se mostrare il seno fosse lo stesso che rendere noto il colore degli occhi.
Sono maschi e femmine che pensano che i soldi possono tutto.
E’ questa banalizzazione, questo svuotamento di significato del corpo e dell’atto sessuale che porta i maschi a credere che ogni voglia vada soddisfatta subito, senza se e senza ma. E che se ti pago posso chiederti qualunque cosa. Famolo strano. Sempre di più.
Una botta e via dopo la discoteca.
Una botta e via in strada.
E mi sono tolto la voglia.
E mi sono intascata un po’ di soldi.
E ora dormiamoci sopra, noi che l’abbiamo fatto. Anche noi che non ce ne frega niente perché la cosa non ci riguarda.
Domani è un altro giorno.
Questo, invece, possiamo fare tutti. Denunciare le radici culturali di questo marciume. Contrastare questa mentalità che rende donne e uomini oggetti, che separa pene e vagina dalla testa e dal cuore, che concepisce la sessualità umana collegandola alla sola esperienza genitale e al piacere egoistico. E testimoniare ai nostri figli, ai nostri studenti, ai giovani che conosciamo, che il corpo non si vende perché non ha prezzo, e che il cuore desidera “di più” di quella botta e via. Vale per le femmine, vale per i maschi.
La liberazione della donna non sono le Femen che mettono in mostra mammelle più slogan per il piacere dei maschi che se ne fregano degli slogan e guardano – gratis – le mammelle. Non è neanche la “libertà” di scendere in strada e di farsi possedere dal miglior offerente. Liberazione non sono stati nemmeno contraccettivi e preservativi, che mettono una distanza fra te e lui, evitano le gravidanze. Grazie mille. Nessuna accortezza. Perfetto: ti uso meglio, ti uso di più.
Mi riguarda, questa storia del quartiere a luci rosse a Roma. E’ una domanda per me, adesso. Da parlarne a casa con i miei figli e poi in classe, con i maschi e con le femmine del mio liceo.
Perché non tutto è perduto.
Politici e forze dell’ordine facciano il loro. Anche i giornalisti. Le donne, tutte. E poi gli educatori, gli intellettuali, i preti. E’ così che si costruisce cultura. Così che si testimonia la dignità del corpo della donna e dell’uomo, che non sono “merce” e neanche un agglomerato di pezzi tra loro distanti e distinti.
Io, per me, rilancio questa frase, che è un impegno. «Non pensiamo solo di lasciare un mondo migliore per i nostri figli, ma cerchiamo anche di lasciare figli migliori a questo mondo».

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