“Salva la figlia, istruisci la figlia”
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Cara Anna Meldolesi,
la ringrazio, innanzitutto, per l’articolo “Salva la figlia, istruisci la figlia. L’India e la nuova campagna contro l’aborto selettivo”, comparso recentemente sul blog del Corriere della Sera, La 27esima ora. Raccontare la realtà drammatica dell’aborto – che Antonio Socci ha giustamente definito il «genocidio censurato» – è sempre un servizio alla verità.
I fatti sono inconfutabilmente quelli da lei raccontati. Su scala globale, a seguito degli aborti sesso-specifici mancano all’appello almeno 100 milioni di femmine.
Io le scrivo, però, per rispondere al suo tweet e al suo invito: «Questa battaglia contro gli aborti sesso-specifici possiamo farla insieme, prochoice e prolife».
Benissimo, io ci sto. Eccomi. Ma le pongo una domanda, e attendo risposta. Se – come ci ripetono fino all’ossessione i prochoice – con l’aborto «non si uccide una persona umana», come sarà possibile impegnarci insieme per convincere le donne e il mondo che non va bene abortire una «persona umana» di genere femminile?
Il nocciolo, cara Anna Meldolesi, è proprio qui.
Chi denuncia giustamente ciò che sta accadendo in India e in Cina, spesso è lo stesso/la stessa che non ha avuto e non ha nulla da eccepire quando intellettualesse e compagne femministe dicono e scrivono che i figli in grembo alle loro madri sono «grumi fetali», «grumi di cellule», «parassiti». O plaude all’autodeterminazione delle donne senza se e senza ma. O definisce l’aborto una conquista sociale o addirittura un «diritto umano fondamentale». O sbandiera come fosse verità rivelata la nuova bibbia per donne-senza-scrupoli: “A. La verità vi prego sull’aborto”, di Chiara Lalli. Da lì, le prossime perle di saggezza, che propongo all’attenzione sua e dei lettori. Il saggio parte dall’idea che, se abortisci, al massimo ammazzi qualcosa, non certamente qualcuno (pag. 28). Dall’auspicio che «si possa scegliere di abortire, che lo si possa fare perché non si vuole un figlio o non se ne vuole un altro, che si possa decidere senza covare conflitti o sensi di colpa» (pag. 36).
Si legge che anche nel caso di un aborto tardivo «se è una scelta della donna dovrebbe essere garantita» (pag. 34). O che «se una donna decide di interrompere una gravidanza io non posso che aiutarla» – parola di ginecologa (buona) (pag. 70). O che ci si sente incinta «o madre di qualcosa» solo se si desidera quel figlio, solo se la persona con cui si sta è quella giusta (pag. 71). Che è assai bizzarra l’idea di un cimitero per i bambini non nati, perché non si capisce «come si possa seppellire un barattolo pieno di sangue» (pag. 81). La neolingua politically correct chiama i figli non voluti «prodotti abortivi» e ben gli sta se finiscono tra cisti, garze e pannoloni, nei rifiuti ospedalieri.
Chi si scandalizza per il fatto che vengono eliminate le bambine non è sceso in piazza quando in Francia il Consiglio Superiore dell’Audiovisivo ha censurato il video “Dear future mom” pensato da Coordown, Les amis d’Éléonore e dalla Fondazione Jérôme-Lejeune per la Giornata Mondiale della Sindrome di Down.
Nel video, diversi ragazzini down cercavano di consolare una mamma che aveva scoperto di aspettare un figlio affetto dalla loro stessa sindrome. Le dicevano «non avere paura». Niente. Quel video non si può vedere perché potrebbe offendere la sensibilità delle madri che «nel pieno rispetto della legge hanno fatto una scelta diversa». In un’epoca come questa in cui a passi lunghi e nell’indifferenza generale si va verso l’ eugenetica (a proposito: dove sono finiti gli albini?), con quali argomentazioni possiamo batterci contro gli aborti sesso-specifici?
E che dire di quelli che non spendono una-parola-una nei confronti del miliardo e più di vittime innocenti dell’aborto (maschi, femmine, non fa differenza) ma si inalberano se viene fatto abortire un gorilla (Spagna docet) o definiscono «persone non umane» i delfini, o i cavalli, mentre i figli in grembo sono considerati «cose senza diritti»? Nell’era dell’indistinto e del relativismo senza limiti, il vegano pensiero ha proposto, il Giorno della memoria, una vignetta che girava nei social. A sinistra l’immagine dei binari che conducono al lager e la scritta «Il 27 gennaio del 1945 i cancelli di Auschwitz furono abbattuti»; a destra, con la foto di un maiale penzoloni, lo slogan «aiutaci a mettere una data» e l’auspicio che al più presto vengano abbattuti i cancelli dei mattatoi. Ebrei e maiali per lor pari sono.
Cara Anna Meldolesi, è con questi slogan e con questa mentalità che dobbiamo fare i conti!
E poi, tornando al nocciolo, o si ha diritto di abortire sempre, o non lo si ha mai. Con i distinguo ci si incarta. Vogliamo dire stop al feticidio femminile, ma continuate pure ad ammazzare i maschi se non volete un (altro) figlio? Non è, questa, la stessa logica per cui in India, in Cina, ora pure in Europa, si predilige il maschio e si ricorre alla selezione eugenetica di genere? Vogliamo ora dire al mondo che ci siamo sbagliati e che la vita di una femmina vale più della vita di un maschio? Rimanere incartati è questa roba qui. Fino a che qualcuno riterrà che ci siano vite degne e vite non degne, persone di serie A e di serie B, non si potrà dare inizio a nessuna battaglia che non possa dirsi già persa in partenza.
E poi, lo sa che cosa succede nelle scuole? Ha letto gli “Standard per l’educazione sessuale in Europa”, che propongono «un’idea olistica del sesso»? Entrano nelle classi gli “esperti” per la prevenzione alle malattie sessualmente trasmissibili o nelle ore preposte all’educazione sessuale, e nelle aule generalmente strizzano l’occhiolino agli studenti, usano il loro stesso linguaggio e fanno i ggiovani. Educazione affettiva fuori dalla porta, dentro si parla di preservativo e di contraccettivi. E se dopo il piacere vi accorgete che dovete fare i conti con un «dispiacere» (la gravidanza in classe si chiama così), se sorge «un problema» venite al Consultorio e vediamo come risolverlo.
Si informi e mi dica se sbaglio. Nei corsi di “educazione sessuale” non si mostrano mai i feti, mai le ecografie; non si spiega ai ragazzi la gravidanza. Vietato vietatissimo far vedere come avviene un aborto. Vietato vietatissimo guardare in faccia il figlio in grembo: quel concepito di cui si decide la sorte. Il «problema». E pazienza se tante donne poi dicono «se avessi saputo, se avessi visto, se mi avessero detto che era un bambino non avrei abortito».
Si riparta allora dall’educazione, dalle scuole, dalla stampa. Occorre lavorare insieme per testimoniare il rispetto della vita, di ogni vita sempre. Occorre smetterla con le barricate, con la lotta tra generi, con le vite degne e non degne di essere vissute. Occorre partire da quel figlio in grembo, che è la realtà. «Aspetto un bambino», si dice, quando il test di gravidanza è positivo. Il buon senso riconosce da subito che il figlio in grembo non è un’appendice della sua mamma, è “altro” da lei.
Occorre che si ribadisca che diritto umano fondamentale non è abortire, ma venire al mondo. Occorre che a scuola si faccia il contrario di quel che si sta facendo. Un patto educativo condiviso con le famiglie, che sappia coniugare educazione affettiva ed educazione sessuale, perché ai ragazzi va insegnato che il sesso non è una specialità olimpica, ma molto di più.
E poi occorre che la stampa ritrovi onestà e responsabilità e non si accontenti di fare da cassa di risonanza del pensiero unico e dei falsi miti di progresso. La decisione di abortire è un fallimento doloroso, è ora di smetterla di spacciarla per “progresso”. E se è vero che a credenti e non credenti “piace” Papa Francesco, lo si racconti fino in fondo, non facendo taglia e cuci per ridurlo alla versione politically correct. Lo si citi, finalmente, per quello che dice realmente, quando ci invita – appunto! – a combattere la «cultura dello scarto». Papa Francesco non è solo lo slogan «Chi sono io per giudicare?», buono per tutte le stagioni e per tutte le nostre intemperanze. Già nella sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium aveva ricordato che tra i «deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo».
Ma sulla tutela della vita dal concepimento alla morte naturale questo Papa si è espresso un sacco di volte (ad esempio durante il Regina Coeli del 12 maggio 2013, o il 15 maggio 2013, nell’udienza generale o il 19 agosto 2013 quando ha scritto ai partecipanti al Meeting di Rimini, o il 20 settembre 2013, parlando alla Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici, o il 24 marzo 2014, quando si è rivolto alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, o l’11 aprile 2014, incontrando il Movimento per la Vita, o l’8 maggio 2014, quando si è rivolto ai dirigenti delle Nazioni Unite, o nella predica del 18 novembre 2013… e tante tante altre volte ancora, fino ad arrivare al bellissimo discorso a Manila. Verificare per credere).
Cara Anna Meldolesi, io la faccio, con lei, questa battaglia, eccomi! Ma sappia che non sarà facile, a meno che, prochoice e prolife, non si faccia, insieme, reset di tutte le fregnacce che sin qui ho riportato pescando a campione, perché la cultura della morte – lei sì! – partorisce indisturbata le sue menzogne quotidiane. Senza eugenetica, senza leggi per il controllo delle nascite.