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«Riportare Cristo dentro la realtà, è il segno dei tempi»

Fonte:
CulturaCattolica.it

È impressionante e commovente leggere nel libro di Savorana «Vita di don Giussani» i rapporti intensi di don Giussani con Papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e le righe straordinarie di Von Balthasar («Preghi perché la mia piccolissima opera fiorisca all’ombra della sua, immensa»). Credo che non dobbiamo sottovalutare tutto questo. Ora che emergono i tanti «laudatores» di Papa Francesco, non possiamo dimenticare che costoro hanno sempre finto di non vedere la stima che i papi hanno rivolto al movimento di Comunione e Liberazione. Basta pensare quando in Brasile Giovanni Paolo ha detto: «...che la Chiesa sia, ogni giorno di più, testimone dell’amore divino, strumento di unità, sacramento di COMUNIONE E LIBERAZIONE integrale.»
Noi non dimentichiamo. Il Giuss ha sempre insegnato una «parresia» umile e coraggiosa. Noi abbiamo imparato ad amare il Papa per quello che era e che è nella Chiesa: successore di Pietro e strumento per l’unità della Chiesa. E in questo profondo affetto siamo capaci di riconoscere il volto e il cuore di chi ci guida, senza trasformare a nostro piacere quello che i pontefici vanno affermando. Ne cogliamo certo anche le diversità, ma non le viviamo come una clava per accusare e condannare chi ha una posizione diversa dalla nostra. Non costruiamo artificiose contrapposizioni per giustificare il settarismo con cui è stato trattato il magistero di Paolo VI dopo la Humanae Vitae, Giovanni Paolo II e infine Benedetto XVI. Noi non siamo tra coloro che hanno firmato il documento pubblicato da Famiglia Cristiana per prendere le distanze dal magistero di Giovanni Paolo II (sarà per questo che non abbiamo fatto carriera?). Noi abbiamo imparato da Don Giussani a vivere intensamente il dialogo con tutti (basterebbe rileggere le pagine di Savorana sull’incontro con i monaci buddisti del Monte Koya o il dialogo stringente e appassionato con Eugenio Borgna). E abbiamo imparato che il dialogo non è un fine, ma lo strumento per un incontro reale, per il servizio alla verità. Altrimenti cadrebbe nelle secche di autoreferenzialità e di cedimenti agli idola fori, come direbbe il filosofo. Don Giussani ci ha proprio mostrato quella capacità di incontrare chiunque, con amore e rispetto, in modo da segnare la vita in modo straordinario, così che il dialogo non sia vissuto come fine, valore in sé, ma come strumento di una reale passione comunicativa, capace quindi di avvicinare uomini e culture in una fecondità che, lungi da ogni sincretismo, costruisce ponti duraturi. (Dice don Giussani che «l’amicizia [potrebbe essere l’altro nome del dialogo] è un camminare insieme verso il destino e perciò verso la verità»).
Abbiamo soprattutto imparato che la novità non è mai la cancellazione del passato, e che gli steccati (per esempio quelli che hanno fatto pensare a una Chiesa pre conciliare contrapposta alla vera Chiesa: quella che sarebbe nata dal Concilio) non aiutano nella convivenza né nella ricerca della verità. Abbiamo pianto di commozione leggendo quelle righe di von Balthasar citate sopra, perché ci hanno provocato a una responsabilità totale verso tutto e tutti (come ricordava l’autore della Lettera a Diogneto: «Ci è data una responsabilità che non ci è lecito disertare»).
Ora guardiamo con simpatia e con amore Papa Francesco, cercando di imparare da lui quello che ci vuole insegnare, e non riteniamo affatto che i migliori interpreti del suo insegnamento siano i mass-media. E se ci commuove ed affascina il modo di Francesco di incontrare ogni uomo (come ha fatto Gesù coi pubblicani e peccatori, soprattutto nello straordinario incontro con Zaccheo), sappiamo che questo è per il desiderio profondo che ogni uomo possa vedere la salvezza di Dio. (Se è lecito un paragone: Zaccheo dopo l’incontro non si è vantato di avere ospitato il Signore per i suoi meriti, ma subito ha espresso il desiderio del suo cuore di cambiare vita...).
Speriamo che tutto quello che sta accadendo, anche intorno a Papa Francesco, sia lo strumento perché gli uomini del nostro tempo, abbandonati gli schematismi e le idiosincrasie, possano guardare con semplicità di cuore la perenne novità del Vangelo.
Ma speriamo pure che i moderni clericali (quelli che guardano il Papa per avere ragione e per condannare e bastonare gli altri, come novelli «farisei» di fronte ai «pubblicani» che sarebbero i cattolici del passato, coloro che amano e seguono con fedeltà il magistero, più che i vari maîtres a penser) sappiano riconoscere che l’invito di Papa Francesco a mettere al centro Gesù, ad andare verso le periferie esistenziali, a non ridurre la vita cristiana a moralismo o ritualismo, non sono inviti a giudicare gli altri, ma strada su cui, con umiltà, incamminarsi tutti. Risuonano ancora nel nostro cuore le parole con cui Papa Giovanni Paolo II ci lanciava verso le varie periferie: «Noi dobbiamo fare tutto il possibile per portare il Vangelo come una nuova sfida, sfida del Vangelo, in tutto il mondo...» e prima: «Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace che si incontrano in Cristo redentore».
Certo, questo è il compito e il senso di ogni dialogo: «Riportare Cristo dentro la realtà, è il segno dei tempi. Riportare Cristo dentro la vita dell’uomo, la vita normale dell’uomo».

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