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Il senso della storia

Fonte:
CulturaCattolica.it

Secondo il parere di molti commentatori stiamo vivendo dei giorni “storici”, in molti parlano di un momento epocale. Ma cosa rende storico un fatto? Cosa significa fare storia? Scriveva T.S. Eliot nei “Cori da la Rocca”: “Senza significato non c’è tempo … e un momento di tempo, del tempo diede il significato”. Il cristianesimo vede la storia come il dilatarsi nel tempo, nella contingenza e nella dialettica degli avvenimenti, del “Fatto di Cristo che contiene in sé il significato esauriente e definitivo della storia” (L. Giussani, L’impegno del cristiano nel mondo). La realtà è Cristo, scrive esplicitamente San Paolo ai Colossesi. Rileggere in quest’ottica quanto è accaduto in queste ultime settimane risulta proficuo per una sua adeguata comprensione. Ogni volta che l’ormai Papa emerito Benedetto XVI ha parlato pubblicamente della Sua scelta ha aggiunto un tassello nuovo componendo un mosaico in cui si ritrova compreso tutto il percorso del Suo Pontificato. Il 24 aprile2005, nella Messa di inizio del Suo Pontificato, disse: “Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia”. Nell’ultima udienza -tra la commozione generale frenata solo dalla serenità del suo sguardo e dalla pacatezza del Suoi gesti e del Suo linguaggio– ha ribadito che è il Signore a condurre la Chiesa e ha affermato di aver preso la Sua decisione, non per il suo bene ma per il bene della Chiesa. “Amare la Chiesa significa avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi... Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso”. Citando il dettato della Regola benedettina, all’inizio del Suo Magistero, aveva fatta Sua la massima di “non anteporre nulla, assolutamente nulla, all’amore di Cristo” . E con il gesto della rinuncia l’ha affermato esistenzialmente in modo luminoso e totalizzante. Benedetto XVI ha rinunciato a tutto e si è fatto quasi monaco, “nel servizio della preghiera, … nel recinto di San Pietro”. Ancor più disarmanti le parole pronunciate all’arrivo a Castel Gandolfo: “Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio”. Senza trattenere nulla per sé, Benedetto XVI si è nascosto al mondo e ha ribadito con la sua scelta di vita ciò che conta veramente. “Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini”. Stiamo vivendo un momento storico perché, attraverso il gesto del Papa, ha potuto risplendere Colui che è il senso della Storia. Gesù Cristo. Colui che salva il desiderio più profondo del cuore: “Tutti gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga. Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non rimangono; i libri nemmeno. L’unica cosa, che rimane in eterno, è l’anima umana, l’uomo creato da Dio per l’eternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane – l’amore, la conoscenza; il gesto capace di toccare il cuore; la parola che apre l’anima alla gioia del Signore. Allora andiamo e preghiamo il Signore, perché ci aiuti a portare frutto, un frutto che rimane. Solo così la terra viene cambiata da valle di lacrime in giardino di Dio” (card. J. Ratzinger, Messa pro eligendo Pontefice).

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