Da tempo diciamo che… a proposito del Papa su twitter
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Già il 17 dicembre dello scorso anno Chiara Amirante, in una interessante intervista a Radio Vaticana, prendeva posizione rispetto alla questione degli attacchi che il Papa subisce su twitter. Ora Antonio Socci scrive, sempre sullo stesso argomento: «Vorrei lanciare un appello a chi, in Vaticano, vuole veramente bene al Papa (ci sarà certamente): andare subito via da Twitter, basta, alla larga. Proteggete il Vicario di Cristo da questa umiliante gogna mediatica di cui lui è certamente ignaro. Non so quale genio abbia avuto la “strepitosa” idea di far sbarcare Benedetto XVI su questo social network, oltretutto con quella imbarazzante cerimonia del “primo tweet”. Di sicuro il Pontefice, occupato in materie ben più importanti e profonde, non conosceva questo fatuo luogo di chiacchiericcio (e spesso di insulti) che è Twitter. E si è fidato. Ma temo che nessuno gli abbia spiegato o mostrato quale disastro comunicativo e d’immagine ha prodotto la trovata: è come se fosse stato portato in una piazza ed esposto al dileggio di chiunque. E’ veramente una pena assistere a questo spettacolo: il Santo Padre, uomo mite, buono, che per i cattolici rappresenta “il dolce Cristo in terra”, ogni giorno viene svillaneggiato e deriso nei commenti ai suoi messaggi. O subissato di sciocchezze e attacchi.»
A Chiara Amirante abbiamo così risposto, dopo avere ricordato quanto abbiamo fatto e stiamo facendo in internet: «Mi auguro che il nuovo interesse per i mezzi di comunicazione avviato dalla presenza del Papa con i suoi “cinguettii” possa trovare persone capaci di “abitare questo ambiente” senza complessi di inferiorità e senza cedimenti alla logica del politically correct. Per dire quello che dice il mondo, non c’è proprio bisogno dei cattolici in rete.» E, a proposito dei «cinguettii» del Papa in rete, così scrivevamo: «Quello del Papa su Twitter è dunque un segno, un segnale per tutti noi. Beh, forse anche un segno del suo “entourage”, che accredita in tal modo uno spazio di comunicazione che ha raggiunto e di cui vuole essere autorevole riferimento (ricordo che, intorno al 2000, quando alla CEI ebbi l’occasione di partecipare ad un convegno sull’argomento, i protagonisti - ed eravamo in pochi - cercavano un accreditamento ufficiale).»
Che dire? Innanzitutto bisogna che i cattolici siano capaci di presenza in rete. E per questo c’è bisogno di unità, consapevolezza di fede e conoscenza dello strumento.
Non finirò mai di citare questa profonda riflessione di Giovanni Paolo II: «Una fede che non diviene cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta», che, unita al suo iniziale messaggio sulla presenza dei cristiani in rete indica le coordinate di una nostra presenza che sia significativa. «Internet permette a miliardi di immagini di apparire su milioni di schermi in tutto il mondo. Da questa galassia di immagini e suoni, emergerà il volto di Cristo? Si udirà la sua voce? Perché solo quando si vedrà il Suo Volto e si udirà la Sua voce, il mondo conoscerà la “buona notizia” della nostra redenzione. Questo è il fine dell’evangelizzazione e questo farà di Internet uno spazio umano autentico, perché se non c’è spazio per Cristo, non c’è spazio per l’uomo».
E poi però ritengo che – riflettendo sulla esperienza, perché è qui che si deve guardare – una presenza del magistero stesso in prima persona sia «ora» da evitare. Come è stato un messaggio il primo tweet del Papa, lo potrà essere anche il suo ritirarsi. Significherà non il cedimento di fronte alla prepotenza di molti, troppi «internettiani», ma una provocazione per riscoprire la responsabilità di una presenza in rete. Come dire: «Se credete che internet sia lo spazio libero dell’assurdo e della volgarità, forse è meglio se vi tirate da parte»!
Così si potrebbe vivere questo momento non come un fallimento, ma come un invito a una serietà nell’essere uomini che desiderano comunicare, e non offendere gratuitamente chi pensa diversamente.
Certo, in questo clima di «gender-persecution» come l’ha definito il vescovo di Trieste Mons. Crepaldi, è un grave campanello di allarme.
E allora che i cristiani raccolgano il messaggio, facendo di internet quello che – come ricordavo prima – ci ha insegnato Giovanni Paolo II.
È, questo, il tempo dei testimoni, in prima persona, che non possono delegare a nulla la responsabilità che hanno.
Noi non siamo i disertori della vita e della fede, come ci ha ricordato l’autore della Lettera a Diogneto, un cristiano dei primi secoli.